RICONQUISTARE LA SOVRANITA’ POPOLARE: LA BATTAGLIA POLITICA SULL’ EURO

di Dario Marini – Presidente Comitato Regionale PCI Veneto

La questione dell’euro è estremamente complessa ed articolata. In essa si intrecciano problemi politici, sociali ed economici e, noi comunisti, pur conservando la stella polare del “primato della politica”, dobbiamo sforzarci in tutti i modi sia di formulare un analisi rigorosa, sia di proporre soluzioni realiste e potenzialmente realizzabili.

Senza nessuna retorica, passateci uno slogan che ci pare efficace: parafrasando la celebre frase di Georges Clemenceau “la guerra è cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali”, dobbiamo avere ben chiaro in mente, e soprattutto saper comunicare all’esterno del Partito, che “il futuro dell’euro in Italia non può essere lasciato nelle mani di Salvini o di Grillo”. Di conseguenza, come comunisti, dobbiamo sforzarci di coniugare una rigorosa analisi di classe con lo sforzo di non cadere né nella sterile propaganda, né nella inutile demagogia. Consci che l’imputato non è l’euro in se, ma il tipo di moneta unica che è stata progettata all’inizio (l’euro delle banche e dei padroni) e l’evoluzione che essa ha subito nel corso degli anni. Procediamo per punti per facilitare la discussione.

1) Tralasciamo volutamente gli aspetti positivi della moneta unica, che, onestamente, esistono e non vanno ignorati né sottovalutati. Di essi parla quotidianamente la valanga di elogi che televisioni e giornali ci riversano addosso, con una propaganda continua ed asfissiante. Elogi urlati sempre più forte, man mano che si diffonde progressivamente fra la gente la paura degli effetti dell’euro sulle loro condizioni di vita. Si assiste, molto spesso, ad una vera e propria gara fra istituzioni e forze politiche a mostrarsi come i più convinti sostenitori delle strategie e delle scelte della BCE; le critiche e i distinguo, quando vengono espressi, sono quasi sempre improntati a cautele ambigue e a forme di servilismo che, di fatto, ne sterilizzano gli effetti politici concreti.

2)Neanche il più sfegatato paladino dell’euro può negare che vi sia ben poca sovranità nazionale senza sovranità monetaria. Senza il controllo sulla sua moneta, uno Stato in recessione incontra immense difficoltà a porre in essere politiche keynesiane per contrastare la crisi. Esso si riduce ad avere spazi di autonomia molto ristretti e finisce col trovarsi in una condizione simile a quella dei paesi del Terzo Mondo: con governi a sovranità limitata costretti a supplicare per ottenere il denaro di cui hanno bisogno.

3) La questione della “svalutazione competitiva”. Basta un po’ di buon senso e un minimo di nozioni basilari di economia per capire che uno Stato con una struttura economica molto competitiva ha anche una moneta dalle quotazioni elevate; questo perché tutti devono richiederla per comprare i suoi prodotti. La forza della moneta fa alzare i prezzi dei prodotti di questo Stato che, quindi, diventano meno convenienti e il tutto tende a tornare in equilibrio. Viceversa uno Stato che per vari motivi si trova ad essere meno competitivo o che sta attraversando un momento di crisi, avrà anche una moneta dal prezzo minore perché i suoi prodotti sono meno richiesti. Se il valore della moneta cala, per il resto del mondo è come se scendesse tutto il “listino prezzi” dei prodotti di quello stato, i quali diventano così più convenienti e più richiesti e si tende a ristabilire l’equilibrio anche in questo caso. Con l’euro accade invece che un paese poco competitivo e in gravi difficoltà (come per esempio la Grecia) si ritrovi la stessa moneta di un paese con una economia forte e in crescita (come la Germania): il “listino prezzi” della Grecia risulterà quindi troppo caro mentre quello dei prodotti tedeschi sarà troppo basso. Il risultato è che in Grecia si assiste ad un impoverimento di massa, con effetti devastanti sul livello di vita delle classi popolari, mentre in Germania si regista il record di esportazioni. Pensiamoci bene: la Grecia è certamente il caso più eclatante, ma tutti i paesi dell’Europa mediterranea presentano alcuni aspetti in comune: povertà e disoccupazione da record indipendentemente dal colore dei governi, dal livello di tasse e spesa pubblica o dal maggiore o minore ammontare del debito pubblico. Facciamo un esempio un po’ caricaturale. Se tante persone entrano in un ristorante, e tutte quelle che hanno ordinato una particolare pietanza finiscono all’ospedale, è probabile che la colpa sia del cibo. Nel “Ristorante Europa da Merkel” stanno, chi più chi meno, tutti male, tranne chi non ha ordinato la “pietanza euro” come l’Inghilterra o i gestori del ristorante (Germania). L’Italia fino ad ora si è difesa: ma la nostra moneta è troppo pesante rispetto a quella che sarebbe giusta per la nostra economia, rendendo così meno convenienti i prodotti nazionali. Al di là dei proclami renziani e dei dati relativi a microscopici progressi presentati dall’ISTAT, la disoccupazione resta un problema endemico del nostro sistema economico, perché gli stessi italiani compreranno più prodotti esteri, in quanto più convenienti, e le nostre esportazioni saranno comunque più difficili. Non è un caso che il nostro export tiene bene nei mercati del lusso, dove comunque siamo forse i primi al mondo. Ma quanto potrà andare avanti questa leadership in futuro, se non sostenuta da adeguate politiche monetarie?

3) L’egemonia tedesca. La verità è semplice, se la si vuole accettare: la Germania, grazie all’euro, ha implicitamente una moneta reale sottovalutata e quindi i suoi prodotti (indubbiamente di ottima qualità e ad alto contenuto tecnologico sia di processo che di prodotto) costano meno rispetto a quello che sarebbero costati se avessero avuto ancora il marco. Partendo da questo dato di fatto le imprese tedesche, disponendo di grandi risorse, hanno progressivamente portato avanti una politica di espansione, acquisendo molte aziende di altri Paesi dell’UE a prezzi spesso ben al di sotto del loro reale valore patrimoniale; in Italia il fenomeno è particolarmente eclatante. Molti dei gioielli del nostro sistema produttivo, specie fra le medie industrie, sono finite sotto il controllo tedesco: anche questa è comunque una perdita di sovranità nazionale. La Germania fa i propri interessi e il suo punto di vista, anche se miope ed egoistico, può essere comprensibile: sono gli altri paesi dell’area euro che devono cominciare a fare i loro.

Venendo alle proposte, al fatidico “che fare”, come comunisti veneti ci limitiamo a tre ipotesi, tenendo presente l’attuale fase (in senso leninista) e i rapporti di forza che in essa si manifestano. Rapporti di forza che, come purtroppo ben sappiamo, oggi sono nettamente a favore delle classi borghesi e, soprattutto, del grande capitale.

  1. Un’ipotesi di lungo periodo, che comunque si dovrebbe cominciare a costruire – almeno nei presupposti – già nell’immediato: creare in Europa una forte coalizione di sinistra, con una chiara connotazione di classe, in grado di mutare profondamente sia la natura stessa dell’euro, sia di conseguenza i poteri di intervento della BCE. Facile da dirsi……Comunque in questa fase e con questi rapporti di forza siamo ai limiti dell’utopia.
  2. Un’ipotesi di medio periodo: passare da una moneta unica ad una moneta comune. Moneta, quest’ultima da utilizzare per i rapporti commerciali e finanziari con il resto del mondo. Essa ci permetterebbe di porre le economie europee al riparo dalla speculazione internazionale, lasciando alle redivive monete nazionali un sufficiente margine di manovra e di elasticità. Niente a che vedere con il vecchio “serpente monetario” degli anni ’80: l’unica cosa in comune con quella esperienza sarebbe il margine di fluttuazione delle monete nazionali. La sostanziale differenza, invece, sta proprio nel fatto che allora non si scelse di fare una moneta comune di conto. In tale ipotesi potrebbe tradursi, nella sostanza, la proposta lanciata i giorni scorsi dalla Merkel: a comprova che, in essa, è presente il rischio fortissimo che sia attuata a totale danno delle economie più deboli e, quindi, anche della nostra.
  3. La terza ipotesi, la più complessa tecnicamente, e quella dell’uscita dall’euro. Il nocciolo del problema non è tanto il “dentro o fuori”, ma la tattica da seguire se si fa la scelta politica di rottamare la moneta unica. Bisogna nella sostanza predisporre il famoso piano B, senza commettere gli errori del maldestro Varoufakis. Tale piano naturalmente elastico ed adattabile al rapidissimo evolvere degli eventi, una volta messo a punto, va secretato e tenuto nel cassetto: pronto ad essere tirato fuori se le forze politiche decidono di farlo. E’ evidente che il piano di exit, per essere efficace ed impedire una fuga all’estero di capitali grandi e piccoli, deve essere annunciato ed entrare in vigore nello stesso momento.

 

 

One Comment

  1. Franco Minucci

    Francamente l’ipotesi 3 (abbandonare l’Euro) non mi pare una gran furbata ma una ricetta per il disastro. Secondo me ha più senso seguire l’esempio del Portogallo. Se le aziende ripartono e si rimettono in piede dei salari minimi dignitosi, l’economia riparte e il problema dell’Euro non si pone proprio. Solo che c’è da lavorare sodo. Visto che mandate una delegazione alla festa dell’Avante, perché non invitate i comunisti portoghesi e magari anche qualche membro del governo Costa a fare una capatina da noi?

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