Servono garanzie, non raccomandazioni!

di Mauro Alboresi, Segretario Nazionale PCI

Gli ultimi dati relativi all’incidenza dell’epidemia da coronavirus nel nostro paese, ancorché ancora instabili ed articolati sul piano territoriale, hanno generato un certo ottimismo e spinto tanti, soprattutto le rappresentanze degli imprenditori, a chiedere di dare il la alla cosiddetta fase due,
ossia alla riapertura delle attività produttive ad oggi non considerate essenziali.

In considerazione di ciò si registra una crescente articolazione di posizioni, di scelte tra i diversi livelli istituzionali, Stato e Regioni in primis, che dando l’idea di un “paese in ordine sparso”, finisce con l’alimentare
confusione ed incertezza. Il pericolo sottolineato da tanti, che non si deve correre, è quello di abbassare la guardia, con tutti i rischi a ciò connessi.

Per dare il la alla fase due, necessariamente ed opportunamente graduale, anche e soprattutto quando si tratta di attività produttive, non bastano
raccomandazioni, occorrono certezze.

La posta in gioco è quella di garantire assieme sicurezza e lavoro. Quanto definito a tal fine necessario, ad esempio la sanificazione periodica degli ambienti di lavoro, il distanziamento degli addetti, la dotazione di mascherine, guanti, calzari, detergenti, etc. deve essere garantito. In tale ottica la questione del controllo diviene decisiva.

Tale funzione non può essere lasciata alle imprese, i morti e gli infortuni sul lavoro di questi anni, infatti, ne hanno evidenziato la mancanza di volontà e di capacità assieme, essa va ricondotta alle rappresentanze sindacali, in primis agli RLS (rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza) garantendo loro il potere di sospendere la produzione in assenza di quanto prescritto per tutelare la salute degli addetti.

Purtroppo, ad oggi, anche relativamente alle produzioni considerate necessarie, poco o nulla vi è di prescrittivo, di realmente vincolante, e le forme di controllo previste sono assolutamente insufficienti. Si può e si deve cambiare. I lavoratori non debbono restare esposti alla volontà di
questo o quel datore di lavoro, nella speranza che tutto vada bene.

La posta in gioco in gioco è la salute, la vita, e ciò, per noi, viene prima di ogni altra considerazione.

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