SULLA QUESTIONE DELLA CATALOGNA. Un contributo alla discussione

di Giusi Greta Di Cristina; Dipartimento Esteri PCI, responsabile America Latina

Nel grande caos generato dalla “questione catalana” molti hanno preferito non prender parola, almeno fino a osservare un epilogo che probabilmente si registrava – già dall’inizio – come nulla di imprevedibile ed anzi scontato. E non solamente per la risposta messa in campo attraverso le forze armate dal governo centrale di Madrid – che va sempre e comunque sconfessata, si badi bene – ma proprio per la natura stessa di un “conflitto interno” che ad occhi allenati alla teoria marxista e leninista sarebbe dovuta risultare ben chiara.

Si è altrove letto e scritto di una questione confusa, di difficile decifrazione. Eppure confuso ci è parso essere esclusivamente l’immenso gozzoviglio di posizioni anche antitetiche che inneggiavano alla stessa cosa: l’indipendenza.

Ma trattavasi effettivamente di indipendenza?

Nel 1914 Lenin scriveva un interessante documento, a guisa di risposta alle differenti teorizzazioni rispetto l’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli. Ne riproponiamo alcuni stralci come lente attraverso la quale leggere gli eventi odierni non solo per il fatto di essere leninisti, non solo per la drammatica attualità e simmetria delle situazioni (nonostante i cento e più anni di differenza che passano tra il documento e i fatti odierni), ma anche e soprattutto perché riteniamo che valga ancora il monito “senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”.

Scriveva Lenin: “Dal punto di vista dei rapporti tra le nazionalità, le migliori condizioni per lo sviluppo del capitalismo sono indubbiamente date dallo Stato nazionale. Naturalmente, ciò non vuoi dire che, sul terreno dei rapporti borghesi, un tale Stato escluda lo sfruttamento e l’oppressione delle nazioni. Significa soltanto che i marxisti non possono perder d’occhio i potenti fattori economici che producono la tendenza alla formazione degli Stati nazionali. Significa che, nel programma dei marxisti, «l’autodecisione delle nazioni» non può avere storicamente ed economicamente altro significato che l’autodecisione politica, l’indipendenza politica, la formazione degli Stati nazionali.”.

Chi ha dunque, erroneamente, affermato in queste settimane che gli Stati nazionali non riguardano i comunisti sta facendo un torto alla teoria granitica del padre dell’unica Rivoluzione che ha davvero cambiato la fisionomia al mondo, ribaltando le sorti dei popoli oppressi e sfruttati.

Non già quindi, afferma Lenin e affermiamo noi, è automaticamente giusta una causa che suggerisca la separazione di una parte geografica dal resto della Nazione, né è giusto automaticamente appoggiare la lotta di chi dice di volersi liberare da uno Stato oppressore.

Parlando del caso specifico, parlando di quel che è avvenuto in Catalogna, possiamo parlare di liberazione di un popolo da una Nazione che lo opprime? Possiamo parlare di lotta di liberazione? Possiamo parlare di lotta di classe?

Molte bandiere si sono viste in appoggio a Puigdemont e alla sua dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna, immediatamente smentita dal governo centrale. Si è detto – quantomeno con leggerezza, con giudizi sommari per nulla propri del marxismo – che da una parte della barricata, quella catalana, ci stessero i comunisti, da quella unionista invece i fascisti. Si è detto che la volontà di separazione riguardava addirittura i sentimenti di guerriglia mai sopiti tra repubblicani e franchisti.

Peccato che si parlasse di secessione, non di repubblica.

Come spesso accade, anche per quel che concerne la questione catalana bisogna essere molto cauti e per nulla tranchant nell’elaborare giudizi. Abbiamo già affermato che l’evoluzione violenta dello scontro è da rigettare, ma non perché la lotta dei popoli non rischi o non valga il sangue, ma semplicemente perché si è esasperato – volutamente? – il sentimento popolare. E chi c’era dietro questa esasperazione se non il medesimo Puigdemont, che non poteva non essere consapevole di star effettuando una mossa illegittima?

Nello specifico, qual era l’obiettivo di Puigdemont?

In una intervista molto netta, Eduard Navarro, Segretario generale del PSUC VIU (la cui lettura è possibile a questo link http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/28513-dobbiamo-collegare-luscita-dal-conflitto-nazionale-della-catalogna-con-una-proposta-repubblicana-e-federale) ha bene espresso che in un passato anche molto recente, l’ex oramai presidente della Catalogna ha più volte condiviso la linea del governo del PP del presidente Rajoy, non facendogli mancare il suo appoggio nelle votazioni di leggi fiscali o più generalmente non disdegnando l’indirizzo economico del governo centrista di Madrid. Ha anche affermato di voler dare vita a una nuova Nazione, quella catalana, che non ha intenzione affatto di uscire dall’Unione Europea.

Date le caratteristiche iperliberiste, pro- banche, pro-finanza che segnano il volto dell’UE allo stato attuale, come può la secessione catalana apparire desiderabile agli occhi dei comunisti?

Dice bene il segretario del PSUC VIU Navarro – parole che tra l’altro anche il PCE ha più volte espresso – a voler vedere come unico fatto positivo da far scaturire da questa situazione il rafforzarsi della richiesta di porre fine a una monarchia invisa alla maggioranza degli spagnoli, che fino all’ultimo ha preso parola per schierarsi con l’ala più reazionaria di questo conflitto. Ciò che è necessario è aprire un varco all’elaborazione federalista e socialista dello Stato spagnolo.

Puigdemont, al contrario, non ha mai neppure lontanamente fatto trasparire una qualsivoglia volontà di trasformazione in senso federalista e socialista della futura nazione catalana. Prova ne è che il 30 di ottobre l’ex presidente catalano e cinque dei suoi ex ministri hanno preso un’auto, guidato fino a Marsiglia e di lì preso un volo per chiedere asilo politico al Belgio. Ma c’è una ragione politica – o forse più di una – per aver scelto il Belgio: Puigdemont e i suoi non hanno chiesto aiuto a socialisti o verdi, ma ad Alleanza Neo-fiamminga, un partito di destra, vicino alle posizioni catalane poiché punto centrale del suo programma è l’indipendenza delle Fiandre, anche in questo caso nel quadro dell’Unione Europea.

E non lo riteniamo un caso l’aver scelto come suolo in cui chiedere sicurezza e protezione quello belga. Juncker ha più volte espresso la sua vicinanza a Rajoy in questa vicenda: probabilmente si è voluto assicurare “fedeltà” alla bandiera UE. Intanto Puigdemont ha incassato proprio oggi l’appoggio di 200 sindaci indipendentisti, che hanno marciato a Bruxelles al grido di “libertà”. Libertà da cosa, però? Anche qui i casi più disparati, da chi non riconosce l’UE, a chi invece garantisce la posizione di vicinanza all’UE.

E il popolo? Dove lo abbiamo lasciato il popolo? A scannarsi per le piazze, a dividersi sulla lingua, la letteratura, la musica. Come se la convivenza fra popoli differenti fosse un male molti, troppi hanno ceduto all’inganno di sirene rivoluzionarie, forse perché affamati di rivoluzione lo siamo tutti, in questo stanco Continente.

 “Rispondere «sì o no» alla domanda di separazione di ogni nazione? Sembra una rivendicazione molto «pratica». In realtà è assurda, metafisicamente teorica, e porta praticamente alla subordinazione del proletariato alla politica della borghesia. La borghesia pone sempre in primo piano le sue rivendicazioni nazionali. Le pone incondizionatamente. Il proletariato le subordina agli interessi della lotta delle classi. Teoricamente, non si può dire a priori se la rivoluzione borghese democratica sarà portata a termine dalla separazione di una nazione determinata o dalla sua eguaglianza di diritti con un’altra nazione. In entrambi i casi, al proletariato importa di assicurare lo sviluppo della propria classe, mentre alla borghesia importa ostacolare tale sviluppo, subordinandone gli obiettivi agli obiettivi della «propria» nazione.”.

Chiediamoci sempre dove stanno le rivendicazioni dei popoli nel senso dei diritti sociali, dell’avanzamento e del miglioramento delle condizioni e, perché no, della distruzione dello stato borghese: dove staranno esse lì devono stare i comunisti.

 

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