TORNARE AL LAVORO! SI, MA A QUALI CONDIZIONI?

di PCI Varese

La macchina produttiva del paese va rimessa in moto in tempi brevi; così chiedono in molti tra politici, economisti ed imprenditori e lo comprendiamo anche noi, perché gli effetti di un blocco ad oltranza delle attività sarebbero devastanti per la già fragile struttura economica del paese. Consci dei rapporti di forza sia interni (di classe) che esterni (nella “catena globale del valore”) non ci facciamo illusioni: il conto sarà salato e verrà presentato ai lavoratori, ai pensionati e alle loro famiglie.

Passeremmo dal contare i morti al contare i disoccupati e, anche se Governo e opposizioni fanno a gara a chi promette maggiori aiuti alle famiglie e alle imprese in difficoltà a causa del lock-down, il massiccio intervento economico necessario per tamponare l’emergenza non farà che esporci ulteriormente a speculazioni finanziarie sul debito  pubblico e a rafforzare le catene che ci legano all’Europa delle Banche e dell’austerity, con l’imposizione di ulteriori “riforme strutturali”: nuovi tagli sul welfare, sulle pensioni, sulla Sanità fino alla svendita degli asset pubblici («Siamo pronti ad impegnare i palazzi del Governo»…).

Pensiamo inoltre  che nessuno si voglia rassegnare ad un futuro da “sussidiati” per noi e i nostri figli, ad una classe lavoratrice che si vuole ridotta ad esercito industriale di riserva per le multinazionali che verranno a fare “shopping” di marchi, brevetti, “eccellenze” e maestranze. imponendo ulteriore moderazione salariale e aumento dei ritmi di lavoro con il ricatto delle delocalizzazioni (già pare che FCA stia pensando ad una temporanea riduzione degli stipendi del 20% su tutte le sue aziende…).

Questo non vuol dire però che si possa accettare, magari tra pochi giorni (il nuovo termine è il 13 Aprile secondo l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio), che fabbriche, uffici e magazzini possano diventare nuovi focolai di contagio, così come lo sono stati gli ospedali, con il personale sanitario costretto a  lavorare in condizioni indegne di paese civile, o i supermercati e le industrie rimaste aperte. Non possiamo accettare che venga vanificato quanto fatto fin’ora (tardi e male a dire il vero, particolarmente in Lombardia) per limitare la diffusione del virus e ritrovarci, in nome del profitto, con una nuova ondata di  ricoveri, decessi e ulteriori restrizioni dei diritti civili.

Per questo chiediamo che ci si mobiliti al più presto per uno screening generale almeno sui lavoratori ancora attivi e su quelli che verranno richiamati al lavoro, si mobilitino ed attrezzino i laboratori anche privati, gli ambulatori e il personale della Medicina del Lavoro o quant’altro sia necessario affinché siano in grado di effettuare tamponi in tempi rapidi e controlli a tappeto agli operai, ai lavoratori della logistica e del commercio, agli edili e agli impiegati in modo da isolare i contagiati (a questo punto utilizzando la cassa malattia) affinché si possa riprendere a lavorare e produrre in sicurezza continuando poi a monitorarne lo stato di salute e vigilando sul rispetto delle direttive sanitarie.

Il costo di questa operazione, per quanto elevato, sarà sicuramente minore (economicamente ma soprattutto in termini di “costo umano”) sia di un blocco ad oltranza della produzione che di un rientro al lavoro “indiscriminato” e senza controllo.

Come Federazione di Varese del Partito Comunista Italiano, consci e testimoni della gravità della situazione, lanciamo un appello ai lavoratori e alle lavoratrici, ai Sindacati e a tutte le forze politiche affinché si faccia pressione sulle Amministrazioni Locali, Provinciali, Regionali e Statali perché il necessario rientro al lavoro sia sicuro non solo in termini di ripresa economica ma anche, e soprattutto, in termini di Salute Pubblica.

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