Referendum su diritti del lavoro e cittadinanza: ci siamo stati e ci saremo!

L’esito del voto referendario dell’otto e nove giugno è inequivocabile.

Soltanto il 30,6% degli aventi diritto si è recato alle urne, Toscana ed Emilia-Romagna sono le regioni che hanno fatto registrare la maggiore partecipazione al voto, Trentino-Alto Adige, Calabria e Sicilia si collocano all’ultimo posto.

Tra coloro che sono andati a votare il sì ai quattro quesiti referendari inerenti al lavoro oscilla tra l’89,1% del primo e del terzo quesito (reintegro in caso di licenziamenti illegittimi, tutela contratti a termine) l’87,4% del quarto (responsabilità infortuni sul lavoro) e l’87,6% del secondo (licenziamenti e limite indennità).

Il no si attesta al 12,6% per quanto riguarda il quarto quesito, al 12,4% il secondo ed al 10,9% i restanti due; in termini assoluti si tratta di circa dodici milioni di voti a favore di contro a circa un milione e mezzo.

Più articolato è risultato il voto inerente al quinto quesito (cittadinanza italiana) in quanto il sì si è attestato al 65,5%, equivalente a circa nove milioni di voti, mentre il no ha registrato il 34,5%, ossia circa quattro milioni e mezzo di voti.

Tutto ciò conferma, indipendentemente dal sì o dal no, un approccio al voto ponderato, trasversale, in particolare sul quinto quesito.

Sulle ragioni di una così ampia astensione si è discusso e si discuterà molto.

Ad essa hanno concorso molteplici fattori: in primo luogo l’appello promosso in tal senso dalle forze di governo, da alcune delle più alte cariche dello Stato, con buona pace del ruolo di super partes che dovrebbe caratterizzarle; la campagna promossa da tanta parte del sistema mass mediatico, sempre più asservito ai poteri forti, che ha dato fiato ad una lettura distorta, strumentale dei contenuti dei quesiti referendari.

È indubbio che un tasso di astensione così alto, il secondo di sempre, non può non essere ricondotto anche alla preoccupante tendenza da tempo in essere, come confermano le stesse elezioni politiche ed amministrative, di tante e tanti ad estraniarsi dalla partecipazione, dallo scegliere, indebolendo per quella via l’idea stessa di democrazia.

Una situazione alla quale non è estranea la perdita di credibilità di tanta parte della politica, che tra l’altro, nel caso dell’istituto referendario, ha dato spesso prova di non rispettare il pronunciamento popolare anche quando questo è ben oltre il quorum previsto (emblematico quanto relativo al nucleare ed all’acqua pubblica). 

È un dato di fatto che la scadenza referendaria in questione è stata fortemente politicizzata, strumentalizzata, vissuta come contrapposizione tra un centrodestra ed un centrosinistra che pure in ordine ai quesiti posti, ossia alle politiche del lavoro e dell’immigrazione che si voleva cambiare, hanno evidenziato nel tempo rilevanti limiti e contraddizioni, sino a palesare più di una possibile sovrapposizione.

Noi, il PCI, siamo stati al merito.

Per questa ragione abbiamo concorso alla raccolta delle firme promossa dalla CGIL, dai comitati referendari, ed abbiamo convintamente fatto campagna a sostegno del sì.

Al di là del risultato ottenuto, assai lontano da quello auspicato, della sconfitta rappresentata dalle urne, noi restiamo al merito, e continueremo a batterci affinché i diritti del lavoro si affermino in coerenza con il dettato costituzionale, perché un lavoro stabile, adeguatamente retribuito, tutelato, sicuro, divengano realtà per tutte e tutti, affinché sul tema della cittadinanza dei migranti si diano risposte all’altezza dei bisogni, fuori dall’imperante deriva reazionaria in essere.

Si, noi ci siamo stati e ci saremo.

Segreteria nazionale Partito Comunista Italiano

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