TESI 9
EMERGENZA AMBIENTALE: UN FONDAMENTALE BANCO DI PROVA PER I COMUNISTI
LA PRODUZIONE CAPITALISTICA E IL LIMITE DELLE RISORSE
- Le problematiche ambientali e il conflitto tra capitale e natura in esse tematizzato sono imprescindibili per interpretare le contraddizioni della società contemporanea: ciò vale per questioni di rilievo planetario come anche in riferimento ai problemi di assetto del territorio. Mai come oggi, tali temi costituiscono un versante essenziale nell’analisi delle strutture economico-sociali del capitalismo e, conseguentemente, nell’elaborazione di una strategia politica di trasformazione della società vigente. Il concetto di limite delle risorse, sempre più centrale nell’approccio alle questioni ambientali, resta comunque connesso all’analisi dei processi produttivi, essendo le condizioni fisiche esterne (o naturali) parte delle condizioni della produzione (assieme al lavoro umano, alle tecnologie e agli strumenti utilizzati nel processo produttivo). La produzione insomma fa i conti sin dall’inizio con la natura in senso lato, sotto la forma di mezzi di sussistenza (ad esempio la fertilità della terra) e mezzi di lavoro (cascate d’acqua, fiumi, legname, carbone ecc.).
- Nel corso della sua storia, lo sviluppo capitalistico ha evidenziato, accanto alla contraddizione tra capitale e lavoro, l’approfondirsi – oggi in progressione geometrica – di un conflitto con la natura, cioè con le condizioni di produzione naturali (che esso tende a logorare): il modo di produzione capitalistico, teso alla realizzazione del massimo profitto senza la pianificazione di uno sviluppo controllato, provoca il crescente logoramento e la vanificazione delle risorse naturali.
L’allargarsi della “natura umanizzata” determina contestualmente la riduzione di quella disponibile o umanizzabile. Ossessionato dalla ricerca dell’innovazione di processo (ovvero taglio dei costi) e dell’innovazione di prodotto (ovvero allargamento del mercato) – entrambi funzionali allo spasmodico processo di accumulazione – il capitalismo non può evitare di scontrarsi con i crescenti (e autoprodotti) limiti di spazio, buona terra, aria pulita, acqua, materie prime, energia etc.
Sulla base di tali acquisizioni analitiche e in considerazione dei giganteschi danni già inferti all’equilibrio del nostro ambiente, vanno avanzate urgenti e concrete proposte per il breve e per il lungo periodo.
AMBIENTE, CLIMA,TERRITORIO, SALUTE: UN FRONTE DECISIVO DELLA LOTTA ANTICAPITALISTA
- I cambiamenti climatici, la distruzione del territorio e delle risorse naturali, l’inquinamento e le malattie generate dal modo di produrre capitalistico nell’industria e nell’agricoltura colpiscono da vari decenni l’intero pianeta. In Italia queste catastrofi sono aggravate dalla natura franosa e sismica di buona parte del territorio nazionale, dal dissesto idrogeologico, da 70 anni di malgoverno nell’uso del territorio (cementificazione eccessiva del suolo agricolo e di rive e alvei dei fiumi, grandi opere infrastrutturali dannose oltre che inutili, trivellazioni in terra e in mare, abusi e condoni edilizi ecc.), da una gestione della mobilità di persone e merci e da una produzione di energia subordinate al profitto dei grandi gruppi industriali e petroliferi. Questo modello di produzione, oltre a comprimere i costi e a sfruttare il lavoro umano, distrugge le risorse naturali e ambientali, sia quelle utilizzate nei processi produttivi, sia a seguito di emissioni inquinanti nell’aria, nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo, nei corpi degli esseri viventi.
- Il superamento del capitalismo coincide anche con la modifica radicale di alcuni paradigmi: 1) la “natura”, la terra in cui abitiamo, non deve più essere l’entità, inorganica ma imprevedibile, da controllare, da sottomettere con la tecnologia e da sfruttare, come l’aveva concepita la rivoluzione scientifica dell’ inizio del XVI secolo, funzionale all’inizio dell’accumulazione capitalistica (concezione che ancora prevale in Occidente); 2) il territorio, contenitore di tutte le attività umane e supporto delle stesse condizioni di vita degli esseri viventi, deve diventare un bene collettivo , in quanto è sempre più scarso e non riproducibile; un bene da tutelare, anche riportando la produzione di cibo a una agricoltura ecosostenibile, e da usare con estrema accortezza, al di sopra della proprietà privata o pubblica di porzioni di suolo; 3) la produzione deve essere conseguente a una decisione collettiva sul che cosa, per chi, quanto e come produrre. Di questi ultimi quattro aspetti, i primi tre presuppongono una fase di superamento del capitalismo; meno difficile è invece operare fin da oggi sul come produrre, passando dalle energie di origine fossile a quelle rinnovabili, dall’uso di materiali e sostanze tossiche per l’ambiente e per la salute ad altre compatibili, a tecnologie risparmiatrici di acqua ed energia, a prodotti concepiti per durare nel tempo, riparabili, riusabili e riciclabili alla fine del loro ciclo di vita, senza produrre scarti e rifiuti. Quest’ultimo obiettivo comporterebbe perdite occupazionali in alcune attività industriali, da superare con la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, con la produzione di energia da fonti rinnovabili, con l’estensione delle attività di cura del territorio (rigenerazione socio-economica delle zone collinari e montane, rinaturazione ove possibile delle sponde fluviali, rimboschimenti ecc), delle città (recupero edilizio ed energetico e riuso degli edifici, riqualificazione delle periferie e degli spazi aperti ecc.), dei borghi antichi, dell’immenso patrimonio storico-artistico di ogni epoca e ovunque collocato, e delle persone (servizi pubblici di base a disposizione di tutti e tutte).
- E’ bene insistere sulla necessità che settori strategici quali l’energia o l’acqua siano controllati da aziende nazionali pubbliche: questa caratteristica, sebbene non garantisca di per sé una condizione sufficiente, è sicuramente condizione necessaria per l’avvio di un diverso modello di sviluppo. Se lo Stato si riappropriasse di questo tipo di aziende si otterrebbero due risultati immediati: 1) la disponibilità delle conoscenze acquisite sino ad oggi (elemento fondamentale per monitorare le risorse e le potenzialità del territorio); 2) la possibilità di definire progetti mirati di ricerca e sviluppo in questi settori, basando su essi una strategia industriale che sia nell’interesse unico della soddisfazione del bisogno di approvvigionamento nazionale (comprendendo in esso la compatibilità con le fragilità dell’ambiente territoriale). Il cambiamento del modello di sviluppo è, per noi, terreno di lotta comune con il sindacato e con molti movimenti ambientalisti nazionali e comitati locali, spesso oggettivamente anticapitalisti anche se talora operano per un unico isolato obiettivo o settore.
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