LUCCA E VERSILIA: dall’assemblea fondativa del 9 Ottobre

di Stefano Lodi Rizzini, neo eletto Segretario della Federazione del PCI Lucca e Versilia

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Il primo elemento che voglio richiamare dalle linee politiche, tracciate nei documenti approvati a Bologna,  è la visione internazionalista del PCI e l’importanza di analizzare e comprendere fenomeni globali per dare risposte locali coerenti e realmente rivoluzionarie, cioè non estemporanee o localistiche ma capaci di affrontare il cambiamento dello stato reale delle cose in modo sistemico e complessivo.

Come da tradizione, il PCI è un partito che traguarda il proprio impegno politico quotidiano cercando di avere un quadro d’insieme chiaro a livello internazionale, consapevole che le tensioni e le disuguaglianze sociali ed economiche che avvengono nei singoli paesi si sviluppano, secondo l’analisi marxista, nel contesto di un conflitto globalizzato tra capitale e lavoro, ovvero tra chi quotidianamente trova ogni via per accumulare capitali a scapito di diritti sociali, civili e delle condizioni di vita di milioni di persone, e chi, sul piatto della bilancia di questo scontro asprissimo che avviene quotidianamente e in ogni luogo del mondo, può contrapporre solamente il proprio lavoro.

Una lotta impari che i primi, i capitalisti, negli ultimi anni hanno intensificato e che i secondi, sfilacciati e disarticolati, subiscono desolatamente.

Sempre per gli interessi economici di pochi si provocano guerre, si sostengono false rivoluzioni colorate, si destabilizzano intere aree del mondo, favorendo l’avanzata di nazionalismi xenofobi – quando non apertamente nazisti – e fondamentalismi funzionali a mantenere un clima di terrore nel quale è più facile per molti governi perseguire la progressiva riduzione degli spazi democratici e delle libertà personali.

Sempre per lo stesso motivo, le migrazioni bibliche degli ultimi anni, delle cui cause l’occidente è tra i primi responsabili, sono strumentalmente e vergognosamente utilizzate per alimentare una guerra tra poveri indigeni e poveri migranti che devia lo sguardo dell’opinione pubblica dal fatto che il responsabile delle drammatiche condizioni degli uni e degli altri, alla fine, è sempre il medesimo.

In questo contesto, il PCI ha il compito, nel nostro paese, della ricostruzione di una coscienza di classe, della tessitura di un filo rosso che tenga assieme le rivendicazioni di lavoratori, giovani, anziani, poveri e diseredati di diversa provenienza, perché solo stando uniti e affrontando insieme questa battaglia comune è possibile resistere e non essere travolti.

Sempre nel solco del conflitto tra gli interessi di pochi che posseggono la maggior parte della ricchezza del pianeta e i moltissimi che hanno sempre meno, rientra la riflessione sulla natura di questa Unione Europea che pone le compatibilità economiche e il PIL al di sopra della vita stessa delle persone, come sta accadendo in Grecia e come è già in parte è già accaduto in Italia con l’obbligo imposto dell’introduzione del pareggio di bilancio, con il Jobs Act e la precarizzazione del mercato del lavoro, con la riforma delle pensioni, con lo spostamento sostanziale di interi settori del welfare state in mano ad interessi privati e, a chiudere il cerchio, con il tentativo di modificare la Costituzione riducendo gli spazi democratici per impedire che i cittadini e i lavoratori possano riprendere in mano il proprio destino. Costituzione che per la banca d’affari americana JP Morgan rappresenta solamente un fardello da togliersi di dosso.

L’Unione Europea, questa Unione Europea che non tutela gli interessi dei propri cittadini, rappresenta un reale ostacolo allo sviluppo economico, sociale e civile del nostro Paese e contrasta, nei fatti, con i principi di democrazia, equità, giustizia sociale sanciti dalla nostra Costituzione.

Infine, in contrasto con il ruolo che il nostro paese dovrebbe avere, anche per la posizione strategica al centro del Mediterraneo, di soggetto di mediazione tra culture che sostiene la pace e la collaborazione tra i popoli nell’ambito di una visione multipolare del mondo, la partecipazione alla NATO rappresenta oggi un nodo scorsoio da cui liberarsi. Una NATO non più strumento di difesa, ma sempre più proiezione militare degli interessi economici statunitensi e occidentali e minaccia oggettiva alle prospettive di pace nel mondo.

Per comprendere quanto sta accadendo a livello locale e per individuare azioni materiali di cambiamento, è necessario avere gli strumenti per analizzare e decifrare fenomeni di carattere globale e ciò che li muove, cercando di mantenere assieme gli interessi delle classi sociali subalterne che in ogni posto del mondo sono costrette a lottare per i propri interessi di fronte ad un capitale globale sempre più vorace e aggressivo.

In questa direzione si comprende quanto sia importante che il partito, a tutti i livelli, attivi occasioni di formazione per sviluppare nei propri gruppi dirigenti e nei propri militanti la capacità dianalisi e comprensione di fenomeni globali e geopolitici complessi. Solo in questo modo potremo lavorare consapevolmente per ricomporre una classe che possa tornare a comprendere chi sia realmente lo sfruttato e chi lo sfruttatore, riequilibrando quel conflitto tra capitale e lavoro che fino ad oggi vede un solo combattente in campo.

Il secondo punto da affrontare è il rapporto tra il PCI, la Sinistra e il PD.

Parto da un presupposto, apparentemente banale, ma che deve essere ben compreso: il posizionamento di classe di un partito non si valuta sulla base di quanto esso “racconta” o in base a ciò che ci piacerebbe, ma solamente sulla base delle scelte politiche di fondo che questo compie quotidianamente. Scelte che vanno ad incidere sulla pelle di persone in carne e ossa.

E’ per questo che oggi il PD, per buona pace dei propri elettori, non può che essere considerato un partito di centro destra: semplicemente perché sostiene politiche di centro destra quando non espressamente reazionarie.

Se fino alle ultime esperienze amministrative era stato possibile mantenere distinti i piani nazionali da quelli locali, cercando sui territori accordi su base programmatica, le scelte del governo Renzi, dal Jobs Act all’abolizione dell’articolo 18, dalla riforma delle pensioni all’attacco alla sanità e alla scuola pubblica, sono atti che superano una linea di demarcazione che pone il PD in una posizione assolutamente incompatibile con gli obiettivi e le prospettive del Partito Comunista Italiano.

Infine, l’attacco alla Costituzione portato dal governo Renzi, che vede il PCI impegnato sul fronte opposto e con il massimo sforzo per sostenere le ragioni del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo, rappresenta l’ultimo e insormontabile scoglio che impedisce, oggi, ogni possibilità di accordo con i democratici.

Per chi non vedesse differenza tra una posizione di estrema chiarezza, come questa, e una chiusura ideologica o settaria tipica di altri soggetti politici comunisti, deve considerare che tale decisione non è dogmatica o ideologica ma è legata ad un’analisi oggettiva e attuale della fase.

Nel caso di un cambio radicale delle condizioni politiche nel nostro Paese, il Partito, nella sua massima espressione rappresentata dal Congresso nazionale, e tra due congressi dal Comitato Centrale, individuerà, assieme al corpo del Partito stesso una nuova linea e diverse compatibilità.

In questa fase, sostenere il Partito Democratico e le sue politiche locali significherebbe:

  • da un lato trasferire su di noi le fortissime contraddizioni che oggi sono solo in capo al PD, partito che definisce se stesso di sinistra ma sostiene politiche di destra;
  • dall’altro, per mitigare localmente il forte impatto di tali politiche sulla vita dei cittadini, contribuiremmo ad edulcorare l’immagine del PD rispetto alle responsabilità oggettive e dirette che ha nell’attacco allo stato sociale, al mondo del lavoro e agli spazi di democrazia, dilatando i tempi per l’esplosione di tali contraddizioni nel Paese e in seno al PD e, di conseguenza, assumendoci in quota parte la responsabilità di prolungare la durata del governo e la prosecuzione delle attuali politiche liberiste che mirano a costruire un modello economico e sociale profondamente diverso da quello pensato dai padri costituenti.

In questa fase, l’obiettivo del contrasto al governo di Renzi e del PD che ne sostiene la linea è da ritenersi assolutamente prevalente rispetto all’opportunità di un qualsiasi accordo politico a livello territoriale.

Dobbiamo invece impegnarci, già da domani e con piena consapevolezza, per arrivare nel tempo a determinare le condizioni per governi locali del PCI o di coalizioni di sinistra.

Come ha più volte ribadito il segretario nazionale, alle prossime elezioni politiche il partito si presenterà con il proprio simbolo e con una chiara proposta politica, e noi, sul territorio, dovremo lavorare perché tale progetto acquisti progressivamente forza e significato.

Dal punto di vista elettorale locale, il PCI cercherà interlocuzioni e convergenze a sinistra, nel rispetto reciproco e nella piena agibilità politica e autonomia, presentandosi con il proprio simbolo, proprie liste e propri candidati.

Su specifici temi locali che possono incidere in modo determinante sulla vita materiale dei lavoratori e delle categorie sociali più deboli, il Partito Comunista Italiano, come da tradizione, si impegnerà assieme a chiunque altro sia sensibile a tali temi.

Tenuto conto che questo è un congresso di natura organizzativa, credo sia opportuno entrare nel merito delle regole del vivere comune, di come il Partito ha deciso di organizzarsi e di quali siano i metodi per la definizione delle linee politiche che declinano sul territorio le linee generali decise al congresso.

In questo contesto, il PCI ha deciso di praticare il centralismo democratico, termine usato per esprimere un fondamentale principio di democrazia interna per cui tutti gli iscritti hanno il diritto e il dovere di intervenire attivamente nelle diverse istanze del partito per concorrere alla definizione della linea politica.

Per questo è assicurata la libera espressione del pensiero di ciascuno, la socializzazione delle esperienze acquisite e la costruzione, attraverso il dibattito all’interno degli organismi, di una decisione collettiva che sia sintesi delle posizioni espresse.

Per questo, gli organismi dirigenti, ad ogni istanza, devono farsi garanti della più ampia e libera discussione all’interno delle strutture di partito e, terminata la discussione e presa a maggioranza una decisione da parte di ciascuno degli organismi dirigenti, questa è vincolante per tutti.

Ciò stimola lo sviluppo delle posizioni personali in forma libera e responsabile ed impegna tutti gli iscritti a lavorare per il rafforzamento del partito attraverso il primato dell’unità politica e del suo gruppo dirigente.

Dal momento che l’unità politica, ideologica ed organizzativa del partito è ritenuta un valore ed è garanzia essenziale per la realizzazione del suo programma, nel PCI è espressamente vietata l’organizzazione in correnti.

A livello provinciale, il Partito affida al Comitato Federale, l’organismo che andremo a eleggere stasera, l’importante ruolo di direzione politica di tutte le organizzazioni di partito della federazione e di controllo dell’attività delle sezioni.

Il Comitato Federale è tenuto ad assicurare scrupolosamente l’esecuzione delle proprie decisioni, è responsabile della corretta applicazione della linea del partito e delibera, nell’ambito delle indicazioni politiche elaborate dal livello nazionale e regionale sulle alleanze alle elezioni amministrative locali e sulle liste.

Se l’organizzazione è importante, tuttavia non è sufficiente. Il Partito si presenta infatti all’esterno anche attraverso l’impegno quotidiano e il volto dei suoi militanti e del suo gruppo dirigente. Compagne e compagni che hanno ognuno la propria storia, un proprio percorso politico, un proprio profilo personale.

L’impegno per far crescere il nostro partito e farlo tornare effettivo riferimento per le classi sociali che vogliamo rappresentare non sarà facile e richiederà ad ognuno di noi un cambio di passo e un diverso atteggiamento. La credibilità e gli spazi politici non ci saranno concessi per decreto, ma dovremo conquistarceli, con la pratica politica quotidiana, con la nostra serietà, con una grande capacita di analisi, con il confronto quotidiano, avanzando proposte qualificate e chiare. Per ricostruire un partito sano, forte e credibile è necessario che ognuno di noi torni sui banchi di scuola, a studiare e a confrontarsi con buone le buone pratiche che esistono in altri Paesi e a riallacciare connessioni col territorio.

E’ necessario ritornare ad esercitare la pratica comunista della critica e dell’autocritica, per migliorare giorno dopo giorno se stessi e con noi il partito.

Dal momento che dovremo costruire la nostra credibilità nell’ambito di un difficile confronto politico, non potremmo più procedere in modo approssimativo, senza un coordinamento efficace tra le diverse articolazioni territoriali e senza una strategia comunicativa condivisa. Per sostenere questi obiettivi sarà importante un capillare lavoro di formazione quadri.

Nel nostro agire quotidiano dovremmo ritrovare il piacere di utilizzare il pronome personale NOI, come cifra dell’orgoglio di appartenere ad una comunità politica forte e coesa, rispetto all’autoreferenzialità dell’IO. Per questo dobbiamo ricercare un confronto quotidiano con le compagne e i compagni, perché è solo così che si rafforza una comunità politica, perché è così che ci si comporta in un partito comunista. Ogni compagna e ogni compagno dovrà impegnarsi al massimo per superare atteggiamenti “autarchici disfunzionali” che contrastino o rallentino l’attuazione delle linee politiche e una sana e robusta crescita del partito.

Spetta a noi riportare nella discussione politica la questione morale di cui parlava Enrico Berlinguer e la diversità comunista. Solo in questo modo riusciremo a tornare ad essere percepiti come soggetto politico serio, utile e reale riferimento delle classi sociali che diciamo di voler rappresentare.

Concludo questo mio intervento con la consapevolezza che il lavoro da fare sia tanto e che non sarà facile riconquistare una piena agibilità politica e la fiducia dei lavoratori nel contesto di una profonda crisi economica, ma anche sociale, civile e morale. Ma è proprio nel mondo reale che dovrà muoversi il Partito Comunista Italiano che stiamo ricostruendo: partendo proprio dalle condizioni materiali di vita dei giovani, dei lavoratori, delle famiglie.

Tuttavia, per la prima volta, siamo sulla buona strada, con una linea politica definita e con il futuro finalmente nelle nostre mani. Da domani il gruppo dirigente federale sarà impegnato al massimo per iniziare quel lavoro di tessitura sociale, di confronto con il mondo del lavoro e dell’associazionismo, della scuola, con i giovani, per tornare tra la gente, cercando di costruire un partito comunista aperto, ma dalle idee chiare, disponibile al confronto ma intransigente nella propria autonomia, che torna a studiare ed è capace di avanzare proposte per il reale cambiamento dello stato di cose presenti e che non ha paura a dare battaglia per i principi in cui crede.

Intanto, come primo obiettivo, da domani tutte le strutture del territorio saranno impegnate per sostenere le ragioni del NO alla riforma costituzionale del governo Renzi, una battaglia che riassume in se non solo scontro feroce tra mercato e democrazia ma, nelle ricadute materiali, il conflitto tra gli interessi di pochi e le condizioni di vita reale di milioni di persone.

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