di Fosco Giannini, segreteria nazionale PCI – responsabile dipartimento esteri
Ieri sera, giovedì 12 gennaio, tutte le televisioni, pubbliche e private, tutti i maggiori media nazionali, hanno divulgato con grande enfasi la notizia di un tentato “golpe” a Tripoli, contro il governo di Fayez Serraj. Si è manifestato, tuttavia, uno scarto tra la potenza mediatica con la quale la notizia è stata diffusa e la chiarezza stessa della notizia: se un telespettatore non fosse stato uno specialista delle questioni libiche non avrebbe capito un granché. Un’inclinazione comune però è emersa da quasi tutti i servizi: la spiccata simpatia dei media italiani per il governo Serraj e la conseguente apprensione per l’esito del supposto “golpe”.
Che cosa è accaduto, in effetti, ieri a Tripoli? Le milizie e i gruppi armati dell’ex premier di Tripoli, Khalifa al – Ghwell, leader legato al fronte dei Fratelli Musulmani, hanno di nuovo tentato, come nell’ottobre 2016, di riprendere il potere. Perché “riprendere il potere”? Perché sino al 5 aprile del 2016 Khalifa al – Ghwell – una delle tante “schegge impazzite” prodotte dai devastanti attacchi imperialisti, che hanno portato ad una neo tribalizzazione della Libia post gheddafiana – aveva a Tripoli il bastone del comando. Ma al – Ghwell, pur non mostrando mai posizioni conseguentemente antimperialiste, né “progressiste”, non era certo vissuto dagli USA, dalla NATO e dall’intero fronte imperialista volto a dividersi la Libia, come un servo fedele e facilmente manovrabile. Cosicché nel 2016 Obama (assieme alle forze occidentali, tra le quali spicca il governo italiano di Renzi, volto a tornare a svolgere un ruolo neo coloniale in Tripolitania) decide che è tempo di far fuori al – Ghwell e portare al governo di Tripoli un uomo molto più affidabile e servile. La scelta degli USA, di Renzi, dell’Occidente intero e – dunque- dell’ONU cade su Fayez Serraj, che ha tutti i requisiti per ratificare il potere imperialista in Tripolitania, per riconsegnare il petrolio agli USA e agli italiani, dopo che negli anni ’70 il colonnello Gheddafi l’aveva strappato loro e legittimamente riportato al popolo libico. Fortissime sono state le pressioni politiche sviluppate dal fronte imperialista sul piano internazionale affinché Serraj sostituisse al – Ghwell. Scattarono contro al – Gwell le due tattiche tipiche dell’ imperialismo di questa fase: la sua demonizzazione sul piano personale e le sanzioni contro di lui e contro il Presidente del Parlamento della Tripolitania, Nouri Abu Sahmain, sanzioni lanciate dall’Unione europea (soggetto principe del fronte imperialista e neo coloniale), che prevedevano il congelamento dei beni di al – Gwell e Nouri Abu Sahmain e il divieto, per loro, di poter viaggiare.
L’alibi imperialista per giungere a tutto ciò è stato il seguente: il governo al – Ghwell è contro l’unificazione della Libia, da Tripoli a Tobruk; il che è vero, ma è soprattutto vero che al – Ghwell è molto meno addomesticabile per i denti imperialisti di quanto lo sia e lo sarà Serraj.
Accade, quindi, che nel marzo del 2016 tutto il poderoso fronte USA – NATO- UE – ONU, spodesti con la forza Khalifa al – Gwell (che governava dal 31 marzo del 2015) e accompagni letteralmente al governo il proprio pupillo, Serraj. Quello della presa del potere di Serraj, a nome degli USA, dell’UE e del governo Renzi è un giorno tragicomico: Serraj, con lo spazio aereo chiuso dal governo al- Gwell in carica, arriva via mare, a bordo di una motovedetta della Marina proveniente da Misurata e si insedia nella base navale di Abu Sittha, che diverrà il suo “quartier generale”. Detto davvero pomposamente, poiché l’arrivo di Serraj non avviene certo sotto la scorta di un grande esercito, in grado di intimorire militarmente al – Ghwell ma alle spalle del nuovo capo del governo di Tripoli c’è tutto il potere occidentale. E tanto basta. E’ da questo spodestamento violento, appoggiato dalle forze imperialiste, che risorgono, di volta in volta, i sogni di rivincita (come quello, armato, di questi giorni) di al- Gwell, che certo non è da considerare un eroe antimperialista, ma solo un altro personaggio minore salito sul palcoscenico della cronaca libica di questa fase attraverso la scala della distruzione e della polverizzazione della Libia da parte della grande armata imperialista.
Durante la fase di passaggio dei poteri da al – Ghwell a Serraj, il capo del governo Renzi, in visita a Washington da Obama, “prese il coraggio a piene mani” e affermò, categorico, che l’Italia non sarebbe intervenuta militarmente e di nuovo, in Libia. Certo: poiché già sapeva che al – Ghwell sarebbe stato spodestato da lì a poco e sostituito con “l’amico degli italiani” Serraj e che nell’ormai prossimo bombardamento USA e NATO dei primi d’agosto 2016 all’Italia si sarebbe chiesto “solamente” di fornire le basi militari USA E NATO, dislocate in Italia, per il nuovo attacco. Quando l’attacco USA e NATO partì, il governo italiano dichiarò, il primo agosto del 2106: “L’Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia” .
Si sa che non era così e non era per questo che decollarono i cacciabombardieri della NATO contro la Libia dalle portaerei del Mediterraneo e dalle basi in Giordania e i droni Predator armati di missili “Helfire” da Sigonella.
Perché il nuovo attacco contro la Libia, nell’agosto 2016? La verità la rivelò, allora, Paolo Scaroni, che già aveva, da capo dell’ENI, manovrato per ratificare la divisione delle regioni libiche (divisione funzionale alla spartizione imperialista del petrolio libico) e che in quella nuova fase di guerra del 2016 era vicepresidente della Banca Rothschild. Disse, dunque, Scaroni al “Corriere della Sera”, andando all’essenza delle cose: Occorre finirla con la finzione della Libia, Paese inventato dal colonialismo italiano. Si deve favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi, spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto, ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche, presenti in Tripolitania e Cirenaica.
Dalle parole di Scaroni è ancora più facile capire il senso del nuovo attacco USA e NATO (col totale appoggio di Renzi, che “non voleva fare la guerra”) contro la Libia nell’agosto del 2016. Il senso di quell’attacco era proprio quello di ratificare sul terreno le divisioni profonde che si erano costituite in Libia in seguito all’attacco imperialista del 2011, sfociato nell’assassinio di Gheddafi. Dividere la Libia in tre diverse zone (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) d’influenza e di dominio imperialista. La Tripolitania, sulla quale doveva svilupparsi l’influenza italiana, doveva essere liberata dal governo al – Ghwell (poco amico dell’Occidente, non sufficientemente suddito del fronte imperialista e della NATO) e affidata ad un vero amico del mondo bianco, civile e Occidentale: Fayez Serraj. Per questo cambio di potere il governo Renzi mise a disposizione, senza neanche mettere al voto in Parlamento la questione, la base di Sigonella. Le sue mani non sono lo stesso sporche di sangue, pur avendo affermato, Renzi, che “l’Italia non sarebbe intervenuta militarmente?”. Non è anche il suo lo stesso neo colonialismo assassino, ebbro di petrolio libico, come quello USA e UE? Le stesse scelte in campo diplomatico indicano che proprio quella del neo colonialismo era la strada cercata dal governo Renzi: l’Italia è stata infatti il primo Paese ad aprire la propria sede diplomatica a Tripoli, due anni dopo le violenze tra milizie rivali. E in queste ore, ore del supposto “golpe” di al- Gwell, è il nuovo ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, ad affannarsi nel tranquillizzare gli interessi economici italiani in Tripolitania, ribadendo che il “golpe non esiste ed è una farsa”.
Ma, al di là della Tripolitania, com’è ora la situazione in Libia? Nel Fezzan, nel cuore del deserto del Sahara, regione ricchissima di petrolio (che Gheddafi aveva nazionalizzato) e snodo delle vie per l’Africa nera, il Califfato spera ancora di riorganizzare le forze. Proprio qui, nel Fezzan, si è sviluppata, sulle macerie libiche prodotte dalla guerra USA-NATO, la più forte presenza dell’Isis in Libia. E a ciò va aggiunto un fenomeno: l’acutizzazione dello scontro tra i due gruppi etnici principali, Tuareg e Tebu, segno della neo tribalizzazione post Gheddafi, portata dritta dritta dalle bombe NATO. In Cirenaica – est della Libia – invece, la situazione sembra sfuggire di mano agli USA e al fronte imperialista. Il generale Khalifa Haftar, da due anni dominus della Cirenaica, già tra i comandanti dell’esercito di Gheddafi, sembra mano a mano delineare un proprio progetto di nuova unità libica non subordinata agli USA e alla NATO. Il rapporto tra Haftar e la Russia di Putin sembra rafforzarsi di settimana in settimana. Nelle stesse ore in cui a Tripoli tentavano di nuovo di insorgere le milizie di al- Gwell, il generale Haftar sembra si trovasse a bordo della portaerei russa “Ammiraglio Kuznetsov”, approdata nei mari libici, e dalla portaerei sembra abbia parlato col ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu.
Un dato, se confermato, sarebbe fortemente rivelatore della fase libica: il tentativo “golpista” di al – Gwell sarebbe partito in coincidenza dell’assenza da Tripoli di Fayez Serraj, in viaggio per l’Egitto nel tentativo di convincere il Cairo a sostenere il proprio governo e rompere col generale Haftar. Un tentativo di “conquista del Cairo” che appare davvero disperato. Inutile.
L’intero quadro libico attuale, anche a partire dal tentativo “golpista” di al – Gwell a Tripoli, sembra chiaramente e fortemente evocare due grandi questioni: primo, l’orrore provocato dalle guerre imperialiste, l’inferno prodotto in Libia dalle bombe della NATO, la distruzione dell’unità di un popolo e del suo Paese, una colpa terribile ed eterna che il mondo occidentale tende a rimuovere ma già degna di una nuova Norimberga; secondo, l’alta possibilità del fallimento, comunque, del progetto strategico di quelle guerre, volto – nell’essenza – a riportare la Libia e il suo petrolio sotto il dominio diretto e speculativo delle forze imperialiste, progetto che davvero può polverizzarsi nell’ascesa del generale della Cirenaica Khalifa Afthar, nuovo uomo forte libico, che può verosimilmente puntare – anche attraverso la sponda russa – ad unire la Libia, sottraendola al comando totale di Washington. Anche attraverso la linea che sembra indicare, per ora, Putin: un compromesso “dinamico” tra lo stesso Afthar e Fayez Serraj, che certo evocherebbe una bel altra Libia, rispetto a quella genuflessa agli USA e all’UE che doveva sorgere attraverso le bombe della NATO.
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