XX CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA PORTOGHESE

Il Dipartimento Esteri del PCI ha creduto opportuno tradurre e divulgare, in questa fase in cui è più che mai importante allargare la discussione e far circolare le idee nel campo comunista e rivoluzionario – questi importanti estratti delle Tesi ( approvate all’unanimità e dal titolo “Con i lavoratori e il popolo. Democrazia e socialismo”) del XX Congresso del Partito Comunista Portoghese, svoltosi ad Almada dal 2 al 4 dicembre 2016.

Mano a mano pubblicheremo i vari capitoli delle Tesi, ancora in traduzione. Iniziamo pubblicando l’Indice generale delle Tesi ( a piè pagina) e il Capitolo I, “ Situazione Internazionale”. Ringraziamo la compagna Nunzia Augeri, del Dipartimento Esteri del PCI, per il grande lavoro svolto nel tradurre le Tesi. ( Fosco Giannini, responsabile Dipartimento Esteri PCI).

 

 

Capitolo I

La situazione internazionale

  • La crisi del capitalismo

Il giudizio espresso nel corso del XIX Congresso sull’evoluzione del sistema capitalistico e sull’approfondirsi della sua crisi strutturale resta più valido che mai, in un contesto che conferma il carattere oppressivo, aggressivo, predatorio e di sfruttamento del capitalismo.

Gli sviluppi successivi riflettono il pericoloso rafforzarsi dei caratteri più negativi del capitalismo: una centralizzazione e concentrazione mai viste del capitale e della ricchezza; un attacco brutale per incrementare le sfruttamento e compromettere i diritti sociali; il dominio del capitale finanziario e speculativo sull’economia; l’attacco alle libertà e ai diritti democratici; ingerenze illecite e ricatti diffusi; la concentrazione del potere nelle mani di istituzioni sovranazionali; l’appropriazione diretta di ricchezze e materie prime; militarismo e aggressioni contro Stati sovrani; i pericoli di una guerra di proporzioni incommensurabili; le violazioni della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.

Il mondo si confronta con una crisi iniziata nel 2007/2008, che è la più seria e prolungata dopo la Grande Depressione del 1929. La crisi non può essere dissociata dalla realtà che vi sottende, la crisi strutturale del capitalismo.

E’ una crisi globale che tocca l’intero pianeta. Contrariamente a quanto preteso dai propagandisti della classe dominante, le radici del problema vanno ricercate nel centro imperialistico.

I tre poli della Triade (USA, Giappone, Unione Europea) e, più in generale, i paesi capitalisti più avanzati, soffrono la stagnazione o almeno una crescita economica molto debole. Gli indicatori macroeconomici come il PIL, gli investimenti produttivi e l’occupazione, non hanno ancora recuperato i livelli del 2008, malgrado i tentativi di rivitalizzare l’economia mediante colossali iniezioni di contante, tassi di interesse bassi o addirittura negativi e la caduta del prezzo del petrolio. Intanto le sofferenze continuano ad accumularsi nelle banche centrali, le grandi istituzioni finanziarie sono al limite del fallimento e crescono i fattori che suggeriscono un nuovo picco di crisi di enormi proporzioni.

Negli Stati Uniti, la situazione economica è caratterizzata da un rallentamento della crescita, dalla caduta degli investimenti, un’interruzione nella caduta dell’occupazione e un ritardo nell’aumento degli interessi. Ciò costituisce uno dei principali fattori di rischio per la situazione economica a livello mondiale.

Il Giappone, che da vent’anni si trova in stagnazione e deflazione, si dirige ancora una volta verso una pericolosa deriva militarista, con il cambio della sua Costituzione e la partecipazione ad azioni militari estere.

La crisi nella e della Unione Europea ha sperimentato in questo periodo nuovi e seri sviluppi che ne hanno posto in questione la stessa esistenza. L’incapacità di uscire dalla stagnazione e rivitalizzare l’economia; le crescenti contraddizioni interne, di cui il referendum inglese è solo un esempio; l’influsso dei rifugiati e dei migranti con le drammatiche circostanze connesse; il crescente scontento popolare per le politiche anti-sociali dell’UE e per le imposizioni sovranazionali, sono tutti fattori che ben meritano una menzione. I rapporti fra l’Unione Europea e gli USA e la NATO sono diventati sempre più stretti, anche se ciò non esclude rivalità e contraddizioni fra i partner.

Il disagio di cui soffrono i sostenitori dell’Unione Europea è un sintomo della gravità della crisi. Ma intanto, la tendenza che prevale nei circoli europei è di “andare avanti malgrado tutto”, riaffermando neoliberismo, militarismo e federalismo.

Dopo un periodo in cui la Cina e gli altri “paesi emergenti” potevano vantare alti tassi di crescita del PIL, questi paesi – e soprattutto quelli che dipendono dall’esportazione di petrolio e di altre materie prime – sono stati duramente colpiti dal persistere della crisi ciclica. La caduta dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli ha gravemente colpito i paesi della periferia. Il rallentamento dell’economia mondiale e la manipolazione politica dell’arma del petrolio, il cui prezzo è al minimo storico, ha avuto un serio impatto sociale e politico nei paesi produttori e in altri con cui intrattengono stretti legami economici.

La Cina, con il suo peso economico e con la sua partecipazione nella divisione internazionale del lavoro, continua a essere un fattore di primaria importanza negli sviluppi internazionali. Il suo ruolo attivo nelle relazioni internazionali, nel contesto dei BRICS, (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e in altre sedi internazionali, si trova nettamente in contrasto con gli scopi e le istituzioni dominate dagli USA e dalle altre potenze imperialistiche.

Le questioni relative all’energia e all’ambiente hanno acquistato grande rilievo nella vita dei popoli e nelle relazioni internazionali. Le risorse naturali, per la loro importanza e per il fatto di essere quantità finite, sono diventate un fattore chiave nei contrasti economici, politici e geostrategici fra le grandi potenze, e rappresentano un pretesto per tentativi di dominio mondiale.

Le conseguenze sociali dei processi di concentrazione e centralizzazione del capitale – meno di 1400 multinazionali controllano più del 60% dell’economia mondiale – dello sfruttamento sempre più intenso e della natura sempre più aggressiva dell’imperialismo sono diventate più acute. Il capitalismo aumenta l’ingiustizia sociale e le diseguaglianze, incluso nei paesi capitalisti più avanzati. Centinaia di milioni di lavoratori devono affrontare la disoccupazione e l’insicurezza del lavoro. L’incapacità di soddisfare le necessità più elementari dell’essere umano, la povertà, la fame, la malnutrizione, la mancanza di cure mediche, il lavoro minorile e schiavistico, la tratta di esseri umani, il commercio di organi, lo sfruttamento sessuale, tutto questo dimostra la natura criminale e disumana del capitalismo.

Le politiche di sfruttamento che negano i diritti più elementari dei popoli, il dominio economico che condanna numerosi paesi al sottosviluppo, e le guerre provocate dall’imperialismo sono alla radice degli attuali flussi migratori.

La gravità della crisi strutturale del capitalismo si riflette nella ovvia incapacità della classe dirigente a trovare soluzioni per riavviare la crescita economica in maniera sostenuta. I classici strumenti “anti-ciclici” proposti dalle teorie economiche borghesi hanno esaurito la loro utilità. Le iniezioni di contante e i tassi di interesse molto bassi hanno generato un’eccessiva liquidità che viene sempre più sottratta agli investimenti produttivi per dirigerla alla speculazione finanziaria e ai flussi criminali; i centri finanziari off-shore sono parte integrante dell’operatività del sistema capitalista, in cui l’evasione fiscale si combina con il riciclaggio del denaro sporco proveniente dal traffico di droga, di armi e di esseri umani, e con il finanziamento del terrorismo. La combinazione di aumento della liquidità e instabilità politica ed economica mondiale aumenta la dimensione e la volatilità dei flussi finanziari, con un impatto devastante su paesi e intere regioni. Sull’onda della rivoluzione informatica e del suo impatto, dello “choc tecnologico”, di cui è un esempio la teorizzazione della “quarta rivoluzione industriale” – si ricercano nuovi processi industriali e nuove “catene di valori” per far uscire le economie capitalistiche dalla loro attuale stagnazione.

D’altra parte le misure adottate sono determinate dal “big business” impegnato nella speculazione finanziaria, e non affrontano alla radice le cause della crisi. Servono perciò solo a prolungarla e a rendere più violento il prossimo impatto.

Le difficoltà per realizzare plusvalore prodotte dalla crisi aggravano le contraddizioni e gli scontri fra i grandi gruppi monopolistici sostenuti dai rispettivi Stati, aumentando pericolosamente il pericolo di interventi violenti e di conflitti militari. L’idea che sia necessario distruggere forze produttive considerate “in eccesso” – un processo già in corso, che ha portato ad alti tassi di disoccupazione e allo spettacolo di morti e rovine causate dalla guerra – ha condotto i settori più reazionari e aggressivi dell’imperialismo a puntare sempre più sulla guerra come “uscita” dalla crisi e come modo di recuperare alti tassi di profitto.

Di fronte all’incertezza del futuro, la caratterizzazione della fase attuale del capitalismo risulta decisiva per intensificare la lotta di liberazione dei lavoratori e dei popoli. E’ fondamentale prestare la massima attenzione ai fatti e ai processi che possono esercitare un grande impatto nelle interrelazioni fra le forze presenti sullo scenario mondiale.

Gli Stati Uniti restano la maggior potenza egemonica capitalistica e lo Stato più potente del pianeta. Sarebbe pericoloso sottovalutarne l’enorme potenziale economico, scientifico, tecnologico, militare e ideologico. La maggior parte delle grandi imprese transnazionali ha lì la propria base. Ma gli USA stanno sperimentando un declino del loro peso relativo e tentano di contrastarlo imponendo il loro dominio nelle relazioni economiche e portando avanti una strategia aggressiva tesa a sottomettere o distruggere chiunque osi resistere.

Nell’attuale contesto di “guerra monetaria”, il ruolo egemonico del dollaro USA come riserva e come moneta di scambio universale viene sempre più messo in dubbio, in particolare con gli accordi monetari promossi dalla Cina, e cresce la domanda di riforma del Fondo Monetario Internazionale.

I cosiddetti accordi di libero scambio promossi attivamente dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, sono strumenti poderosi per il dominio imperialistico nell’economia e nella politica. Se non vengono bloccati, tali accordi facilitano le attività predatorie delle grandi transnazionali e lo strapotere degli Stati nazionali. Ne sono esempi il Transatlantic Trade and Investments Partnership (TTIP) fra gli USA e l’Unione Europea, il Trans-Pacific Partnership (TPP), l’Alleanza del Pacifico e gli accordi bilaterali che gli USA stanno usando per superare la storica sconfitta del Free Trade Area of the America (FTAA) e il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) con il Canada.

Il risultato delle recenti elezioni presidenziali negli USA, con la vittoria di Donald Trump, non rappresenta nulla di estraneo al sistema, ma mette in luce i gravi problemi, le contraddizioni e le diseguaglianze che percorrono il paese, nonché le divergenze all’interno della classe dirigente, che si sono aggravate con la crisi, con sviluppi difficili da prevedere nell’atteggiamento neoliberista aggressivo tenuto dalle successive amministrazioni del paese.

E’ in corso un complicato processo di riaggiustamento delle forze presenti sullo scenario mondiale, con importanti ripercussioni economiche, politiche e geostrategiche – con numerosi paesi che cercano di affermarsi e dimettersi in relazione reciproca in vari modi, alla ricerca di una via di sviluppo che prescinda dallo schema di riferimento dell’egemonia imperialistica. Vale la pena seguire con attenzione questi tentativi. Il loro risultato dipende dallo sviluppo delle lotte della classe operaia, dei lavoratori e dei popoli, per i loro diritti e la loro sovranità, e dalle azioni e dal coordinamento degli Stati che si oppongono al dominio imperialistico.

Mentre la crisi strutturale del capitalismo intensifica le contraddizioni inter-imperialistiche – come rivelano le “guerre economiche” che si scatenano in vari settori – gli avvenimenti internazionali mostrano come il big business e le grandi potenze imperialistiche usano sedi come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’OCSE, il G7, la Commissione Trilaterale, il Forum Economico Mondiale di Davos, le riunioni del gruppo Bilderberg per elaborare la propria ideologia e coordinare le strategie allo scopo di imporre le loro politiche di sfruttamento e di oppressione nazionale.

Dall’altra parte, processi come i BRICS e l’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, di cooperazione economica e politica, hanno contribuito al processo di riaggiustamento delle forze in campo, minando l’egemonia dell’imperialismo e delle sue strutture internazionali.

Nel frattempo, sono sorte articolazioni diversificate fra diversi paesi, basate su obiettivi e scopi di partecipazione e di azione, in particolare a livello regionale, intorno a legami storici o all’uso di una determinata lingua comune, come la Comunità dei paesi di lingua portoghese.

Nei sistemi politici liberal-borghesi che esistono in quasi tutti i paesi capitalisti sviluppati e in particolare nell’Unione Europea, la politica di sfruttamento che ha condotto alla soppressione dei diritti sociali e ha limitato le libertà e le garanzie ha causato la punizione elettorale dei partiti più strettamente identificati con il sistema politico di destra e le sue politiche. La crisi dei partiti socialdemocratici deriva dalla loro collaborazione con i partiti reazionari, dalla loro adesione alle politiche neoliberiste e dal ruolo che hanno svolto di manutengoli dell’imperialismo.

L’intensificarsi della crisi strutturale del capitalismo nei paesi capitalisti sviluppati, accentuata a partire dal 2007, porta le classi dominanti a cercare di contrastarne gli effetti mediante il ribasso dei salari, la ridefinizione del lavoro nel processo produttivo e la liquidazione dei diritti economici, sociali e culturali. Ne sono eloquenti espressioni l’esplodere delle diseguaglianze; la riduzione del monte salari nella distribuzione del reddito nazionale; l’accelerata concentrazione della ricchezza e dei redditi nel big business; l’aumento dell’uso dei subappalti nelle catene produttive e distributive globali; l’intensificarsi del lavoro, l’attacco ai diritti dei lavoratori e la liquidazione della contrattazione collettiva; la riduzione di imposte sui profitti, concentrate invece sul lavoro e sui consumi di massa; la pressione per smantellare e privatizzare le funzioni sociali dello Stato e per sostituire i sistemi di sicurezza sociale con misure assistenziali; l’attacco ai principi e alle norme internazionali contenute in testi come le Carta delle Nazioni Unite, la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, e varie convenzioni internazionali adottate dall’ILO.

Gli eventi recenti, come l’emergere della cosiddetta economia digitale e un maggior uso delle tecnologie come la robotica per sostituire il lavoro vivo hanno portato alla reviviscenza di tesi datate come “la fine del lavoro” e “il lavoro senza futuro”. L’iniziativa dell’ILO sul futuro del lavoro, che culminerà nel 2019 con il centenario dell’organizzazione e le cui conclusioni ne guideranno l’azione nei prossimi decenni, con la sua ambiguità può contribuire a sostenere quelle tesi. Si tratta di un dibattito vecchio quanto il capitalismo stesso, che acquista nuove espressioni man mano che si accelera lo sviluppo delle forze produttive. Questo sviluppo è altrettanto reale quanto il risorgere di vecchie forme di sfruttamento sotto l’etichetta della “modernizzazione” delle relazioni industriali. L’uso di piattaforme tecnologiche per reclutare i lavoratori può portare a un aumento della precarietà di massa, eliminando diritti sociali e del lavoro, ma non cambia – anzi conferma – la natura intrinseca di sfruttamento del capitalismo; l’introduzione di robot nell’economia può alimentare il sogno di un capitalismo senza lavoro, oltre alla costruzione dei robot stessi, ma non rappresenta la “fine del lavoro” e neppure elimina il bisogno di consumare una produzione in aumento; il maggior uso di subappalti può accentuare la divisione internazionale del lavoro, spostare più lavoro e imprese dal “centro” alla “periferia” e inasprire le lotte dei lavoratori.

La crisi dei capitalismo e il suo percorso confermano le tesi fondamentali del marxismo-leninismo circa le leggi che governano il capitalismo e i popoli nel suo stadio imperialistico, in particolare: la legge sulla tendenza alla diminuzione dei tassi di profitto e la finanziarizzazione dell’economia, sottraendo il capitale agli investimenti produttivi per trasferirlo alle attività speculative; la legge sull’impoverimento relativo e assoluto, con l’adozione di politiche tese a ridurre i salari e i redditi e ad aumentare l’esercito di riserva di forza-lavoro; la legge dello sviluppo diseguale, che comporta cambiamenti inattesi e significativi nella classifica relativa delle potenze imperialiste, intensificando le contraddizioni inter-imperialistiche, a volte tacitate e celate dalla cooperazione di classe contro il comune nemico – la classe operaia, i lavoratori e i popoli; la tendenza alla stagnazione, che si riflette nella caduta dei tassi di crescita del PIL nei maggiori paesi capitalisti, negli ultimi anni; l’intensificarsi della natura parassitaria, decadente e criminale del capitalismo, che si manifesta in alcune caratteristiche del sistema come il complesso militare-industriale e la scia di morte e distruzione causata dalle aggressioni imperialistiche, o come la fioritura di attività criminali e di corruzione che sono parte attiva dell’operatività del sistema.

La crescente associazione e dipendenza dal big business in ogni paese e la fusione del potere dei grandi monopoli transnazionali con il potere politico nei maggiori Stati imperialisti e nelle istituzioni sovranazionali che hanno creato, suggerisce che ci saranno nuovi sviluppi nel capitalismo monopolistico di Stato e in quali modi concreti si manifesterà nei diversi paesi.

L’incapacità del capitalismo di superare le proprie contraddizioni si manifesta nella crisi attuale enei suoi sviluppi. In primo luogo nella contraddizione fra capitale e lavoro e nella lotta continua sul plusvalore, una lotta che investe il punto nodale del modo di produzione capitalistico, insieme con altre lotte che stanno aumentando. La contraddizione fra la natura sociale della produzione e la sua appropriazione privata non è mai stata così acuta, e la concentrazione del capitale su scala gigantesca insieme con la sua fusione con gli apparati statali, e l’anarchia nella produzione, confermano la necessità di un sistema che razionalizzi l’uso di mezzi e risorse cosicché possano venir messi al servizio della società, invece di minacciarne l’annichilimento. La contraddizione fra le ampie possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnologia per risolvere i più gravi problemi dell’umanità e l’aggravarsi di tali problemi è il risultato dell’appropriazione di tali successi da parte del big business. Queste contraddizioni coincidono con una riduzione della base sociale che appoggia il capitalismo, per via della concentrazione monopolistica e del sempre maggiore sfruttamento delle classi e dei gruppi sociali anti-monopolistici.

Tutto ciò dimostra che si stanno creando le condizioni oggettive su scala globale per superare il capitalismo in modo rivoluzionario a favore di una transizione, con vari mezzi, fasi e stadi, verso una formazione economica e sociale più alta – verso il socialismo e il comunismo.

 

  • L’attacco imperialistico  

In un contesto internazionale caratterizzato dall’aggravarsi della crisi strutturale del capitalismo e da un processo complicato e contraddittorio di riaggiustamento delle forze sullo scenario mondiale, l’imperialismo intensifica il suo attacco violento e variato, sempre più contrastato da lavoratori e popoli che resistono e lottano per difendere diritti e sovranità. Uno scenario che aumenta il pericolo che i settori più reazionari e aggressivi dell’imperialismo optino per la guerra e il fascismo.

L’imperialismo, in particolare quello degli Stati Uniti, usa varie forme e mezzi – economici, finanziari, monetari, politici, diplomatici, militari e ideologici – per cercare di contrastare il proprio declino economico relativo e per imporre la propria egemonia su tutto il mondo.

La sua ambizione ultima è quella di assicurare la libera circolazione del capitale, di costringere i mercati ad aprirsi al big business e ad accettare il potere arbitrario delle grandi transnazionali, di garantirsi il controllo dei mercati, del commercio e delle vie dell’energia; di impadronirsi delle risorse naturali; di intensificare lo sfruttamento; di garantirsi il dominio economico e politico di intere regioni; di assicurarsi il controllo delle tecnologie e degli sviluppi tecnologici, in particolare in settori come l’energia, l’ambiente, la sanità, le comunicazioni e l’informazione; di prevenire i processi di affermazione progressista e rivoluzionaria; di imporre e garantire il proprio dominio geostrategico.

L’attacco dell’imperialismo continua a focalizzarsi sulle regioni ricche di risorse naturali, di materie prime e vie dell’energia, e su regioni importanti sotto il profilo geostrategico, come quelle con mercati in via di sviluppo e dove emergono interessanti relazioni economiche e commerciali.

Si tratta di un attacco che usa molteplici organizzazioni internazionali e relazioni diplomatiche. In alcuni casi, prende la forma di guerra economica con l’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie e di blocchi contro paesi che vogliono affermare e difendere la propria sovranità.

L’interventismo e il bellicismo imperialistici – che investono praticamente tutti i continenti – suscitano serie preoccupazioni perché comportano il pericolo di un’escalation e della generalizzazione di conflitti militari sullo scenario mondiale su una scala imprevedibile e con imprevedibili conseguenze.

Gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea, con i loro alleati, sono responsabili di tutti i maggiori conflitti militari attualmente in corso.

La NATO continua ad esistere e rafforza il suo ruolo come strumento più importante e pericoloso dell’aggressione imperialistica. Ciò avviene sotto l’egemonia degli USA, per quanto le contraddizioni inter-imperialistiche siano destinate ad acutizzarsi man mano che si aggrava la crisi.

Ai vertici in Galles (2014) e a Varsavia (2016) la NATO ha affermato apertamente ancora una volta la sua natura aggressiva, e rafforzato il ruolo dell’Unione Europea come suo pilastro europeo, promuovendo la propria espansione in Europa e la partnership in tutto il mondo, ed esercitando pressioni per aumentare la spesa militare nei bilanci nazionali. Le grandi potenze della NATO, e in particolare gli USA, sono responsabili della corsa ad armamenti sempre più poderosi e sofisticati, della modernizzazione dell’arsenale nucleare, e di una vasta rete di basi militari che copre tutto il mondo. In questo contesto, l’installazione del sistema anti-missilistico in Europa e in Asia è particolarmente preoccupante, giacché rappresenta una seria minaccia all’equilibrio strategico nucleare del mondo.

Le guerre di aggressione in Medio Oriente e in Asia centrale, la destabilizzazione in America Latina, i processi che tendono a destabilizzare e ricolonizzare l’Africa; la spinta della NATO verso l’Europa orientale avendo di mira la Russia; la crescente militarizzazione in Asia e nel Pacifico che tiene di mira la Cina sono tutti esempi del confronto in escalation dell’imperialismo.

L’attacco imperialistico cerca di impedire e prevenire l’esercizio della sovranità nazionale, dirigendosi in particolare contro Stati che in qualche modo rappresentano un fattore di disturbo per l’imposizione del potere egemonico dell’imperialismo, e in particolare dell’imperialismo statunitense.

Gli Stati Uniti, in combinazione con gli alleati, cercano di imporre un ordine mondiale subordinato agli interessi e al dominio dell’imperialismo, e costituiscono la minaccia più grave per i popoli del mondo. Quel disegno si scontra con i paesi che affermano e difendono la propria sovranità, la propria indipendenza e il diritto allo sviluppo, e che agiscono in accordo con la Carta delle Nazioni Unite. Malgrado la grave incertezza che segna l’evoluzione della situazione internazionale, sarebbe semplificatorio ed erroneo stabilire un’equazione fra le prese di posizione di questi paesi e l’azione aggressiva dell’imperialismo, riducendo così l’attuale aggravarsi della situazione internazionale a un puro contrasto inter-imperialistico.

L’imperialismo, che dispone di un potente arsenale di mezzi di spionaggio, organizza una serie di operazioni di destabilizzazione ed ogni genere di colpi di Stato, imponendo regimi specifici, impegnandosi in aggressioni militari ed occupazioni territoriali, promuovendo la frammentazione e la balcanizzazione di interi Stati, stabilendo protettorati e istituendo strutture di potere sovranazionali che sottraggono sovranità a Stati formalmente indipendenti.

Normalmente tali ingerenze vengono realizzate manipolando e distorcendo quelle che erano in origine genuine espressioni di malcontento popolare. Queste azioni sono accompagnate da campagne sistematiche su tutti i media, destinate a celare gli obiettivi reali e le conseguenze di tali azioni aggressive, così da rendere più difficile denunciarle e condannarle ed esprimere la solidarietà anti-imperialistica.

“I diritti umani”, “il diritto di difendersi”, “la difesa della democrazia”, “la guerra al terrore”, “la minaccia posta dalle armi di distruzione di massa”, “gli interventi umanitari”, “la lotta alla corruzione”, “la guerra preventiva”, sono gli argomenti spesso usati per giustificare le azioni illegali e criminali dell’imperialismo, per impedire ai popoli di decidere il proprio destino.

Le ingerenze e le aggressioni degli USA e dei suoi alleati contro la sovranità dei popoli, sia per garantirsi il controllo su determinate risorse o per rimuovere governi poco obbedienti, sono precedute da operazioni massicce e prolungate per preparare l’opinione pubblica a ciò che deve succedere. Vengono usati vari pretesti per creare un ambiente in cui vengano accettate acriticamente e perfino ritenute giustificabili.

Il fatto che vengono ignorati i bisogni più elementari di milioni di esseri umani e la distruzione di interi Stati sono la prova del costo delle azioni di destabilizzazione e delle aggressioni dell’imperialismo. Le drammatiche circostanze attuali dei flussi di rifugiati provenienti dal Medio Oriente, dall’Asia centrale e dall’Africa, in fuga dalla morte e dalle devastazioni causate dal bellicismo e dai saccheggi dell’imperialismo, sono la desolante testimonianza della vera natura del capitalismo.

Le ingerenze e le aggressioni del capitalismo comprendono, fra l’altro, l’adozione e l’imposizione di una serie di misure esterne di natura politica, diplomatica, giuridica, finanziaria o economica spesso contrarie al diritto internazionale, l’uso di Organizzazioni non governative (ONG), di fondazioni e altre strutture e il sostegno e la promozione di forze reazionarie interne, anche di natura fascista, e delle loro azioni violente e terroristiche – di cui è un esempio l’Ucraina.

Nel suo attacco, l’imperialismo fa un uso crescente del terrorismo, sia di Stato con i suoi interventi aggressivi diretti, o creando, sostenendo e manipolando gruppi caratterizzati da azioni criminali e dall’uso del terrore. Contrastare il terrorismo significa combatterne le cause – politiche, economiche e sociali – come le ingerenze e le aggressioni che lo alimentano, affermando nello stesso tempo i valori di libertà, democrazia, sovranità e indipendenza degli Stati, e della pace.

Per dare copertura alla sua strategia di aggressione e di dominio, le potenze imperialistiche tentano di controllare e manipolare l’ONU, in un processo che va contro la Carta delle Nazioni Unite ed è diretto a pervertire e distruggere il diritto internazionale, facendo dell’ONU e delle sue istituzioni e agenzie una struttura sottomessa che appoggia i loro interessi e le loro strategie e diventa complice delle loro guerre e aggressioni. Questa tendenza va combattuta.

Il big business e le forze politiche che ne difendono gli interessi cercano di adottare e di imporre misure antidemocratiche per limitare, reprimere e perfino criminalizzare le lotte sociali; limitare le attività sindacali; porre limite alle attività politiche; limitare i diritti e le libertà fondamentali; favorire l’istituzionalizzazione dell’anticomunismo e dell’antisovietismo; perseguire e rendere illegali i partiti comunisti e altre forze rivoluzionarie, progressiste e democratiche; militarizzare la sicurezza interna e aumentare il controllo, violando la privacy dei cittadini con il controllo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; assediare, boicottare e destabilizzare i paesi che affermano la propria sovranità e optano per politiche alternative, democratiche, progressiste e rivoluzionarie; intensificare, estendere e minimizzare le ingerenze, i ricatti e le imposizioni di governi e politiche contro la volontà dei popoli; imporre trattati internazionali e il potere delle istituzioni sovranazionali contro la volontà degli Stati sovrani e contro i legittimi interessi dei loro popoli.

Le politiche destinate a intensificare lo sfruttamento e l’impoverimento, a incrementare il lavoro precario e la disoccupazione, a esercitare l’oppressione, in particolare quella nazionale, e a stigmatizzare i migranti hanno creato il terreno fertile per la diffusione di ideologie razziste e xenofobe da parte di forze di estrema destra e di gruppi fascisti.

Man mano che si intensifica la lotta di classe, aumenta l’attacco ideologico in vari settori, nel tentativo di nascondere la vera natura del capitalismo e la possibile alternativa di emancipazione sociale rappresentata dall’ideale e dal progetto comunista.

Su questo sfondo, vengono favoriti l’oscurantismo e la ristrettezza mentale, i valori più reazionari, antidemocratici, xenofobi e razzisti; si istituzionalizza la beneficenza; si manipolano le religioni e il misticismo, si favoriscono gli estremismi religiosi, le sette e le diatribe confessionali.

Le società che controllano la rete mondiale di comunicazione internazionale, la cui proprietà è sempre più concentrata in grandi monopoli dell’informazione, al pari dei sistemi educativi, svolgono un ruolo chiave nel supportare l’attacco ideologico dell’imperialismo.

  • La lotta dei lavoratori e dei popoli

L’approfondirsi della crisi strutturale del capitalismo e l’offensiva dell’imperialismo provocano seri scontri sulle questioni relative alla classe, allo sviluppo, alla questione nazionale e ai rapporti di forza nel mondo.

Lo scenario attuale è caratterizzato da un acuto inasprirsi della lotta di classe in cui si trovano strettamente connessi gli elementi di classe e nazione.

Malgrado andamenti assai diversi, con la coesistenza di regressi e progressi delle forze progressiste, in cui si fronteggiano pericoli e opportunità, la lotta dei lavoratori e dei popoli che ne risulta è caratterizzata soprattutto da una tenace resistenza, che acquista grande importanza e centralità nel contenere l’attacco dell’imperialismo, nel difendere i diritti acquisiti, i diritti sociali e le funzioni sociali dello Stato, in particolare per pensioni decenti.

La lotta della classe lavoratrice e dei popoli per i loro diritti e le loro aspirazioni è il fattore più importante di resistenza e di progresso, che contribuisce decisamente alla convergenza di altre classi e settori anti-monopolistici per realizzare cambiamenti in senso progressista e rivoluzionario.

Una lotta la cui dimensione acquista un significato ancora maggiore nel contesto di una profonda offensiva ideologica, una crescente azione repressiva, una persecuzione politica accompagnata da tentativi di criminalizzazione, che toccano in particolare il movimento sindacale con orientamento di classe.

Si sviluppa anche la lotta di altre classi e settori anti-monopolistici. Le loro organizzazioni, con i rispettivi contenuti e obiettivi di lotta, assumono forme molto diverse. E’ il caso degli agricoltori, che sono stati protagonisti di azioni importanti in tutti i continenti, per la difesa del diritto a possedere e usare la terra, contro la liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli e la natura di sfruttamento dell’agro-business; è il caso di intellettuali e tecnici, settori sempre più “proletarizzati”, soggetti a un alto livello di precariato, che partecipano sempre più alla lotta generale in difesa dei diritti politici, sociali e culturali; dei giovani, per il diritto al lavoro e contro l’insicurezza, in difesa dei sistemi di istruzione pubblica, della pace e dell’accesso alla cultura; delle donne, che lottano contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione, per i diritti sessuali e riproduttivi e contro il traffico di esseri umani; dei popoli indigeni, contro l’esclusione e la discriminazione sociale e per il riconoscimento dei loro diritti.

La lotta contro la privatizzazione di settori strategici e in difesa dei servizi pubblici mostra un’amplissima partecipazione in tutti i continenti. La lotta contro la liberalizzazione del commercio mondiale e contro la firma di trattati di libero scambio, e in difesa dell’uso sostenibile delle risorse naturali e ambientali, in particolare per l’accesso all’acqua, comportano un intenso confronto ideologico.

Ci sono momenti importanti di convergenza nella lotta per la pace, contro il militarismo, contro la corsa agli armamenti, contro le ingerenze e le guerre imperialistiche e in solidarietà con i popoli in lotta, in difesa dei principi proclamati nella Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, che acquistano sempre maggiore importanza e centralità. Bisogna ricordare la lotta contro la NATO e per il suo scioglimento, che si esprimono nelle azioni durante i vertici e le esercitazioni militari dell’Organizzazione.

Ci sono state frequenti mobilitazioni contro il razzismo e la xenofobia, in solidarietà con i rifugiati e per i diritti dei migranti.

Ci sono state lotte contro l’ideologia e l’azione delle forze fasciste e di estrema destra, compresa la condanna del colpo avvenuto in Ucraina. Il pericoloso emergere di queste forze pone la necessità di più ampie convergenze in difesa della libertà e della democrazia e contro il fascismo.

Il cosiddetto Movimento del Social Forum (World Social Forum e i suoi diversi livelli) ha perduto peso nel contesto delle lotte che si svolgono in tutto il mondo. E’ ancora valida la tesi per cui i forum e i movimenti “inorganici”, che dimostrano il contrarsi della base sociale del capitalismo, sono attraversati da un intenso scontro ideologico e che da soli non sono in grado di andare oltre lo stadio della critica e della rivolta e raggiungere più alti livelli di lotta.

La lotta dei popoli contro l’imperialismo e la sua aggressiva strategia di ricolonizzazione, in difesa del diritto allo sviluppo, alla sovranità e all’indipendenza nazionale, acquista sempre maggiore importanza.

In America Latina, i processi democratici di natura progressista, che affermano la sovranità nazionale e l’anti-imperialismo, si potenziano e rafforzano ad opera di meccanismi di cooperazione e integrazione – come l’Alleanza Bolivariana dei popoli d’America o i trattati commerciali come l’ALBA-TCP, che include Bolivia, Cuba, Ecuador, Nicaragua e Venezuela – hanno assunto una grande importanza per la regione e per il mondo intero. Tali processi hanno portato a grandi progressi nella condizione sociale delle masse popolari, nella lotta ideologica, nel processo di riaggiustamento delle forze a livello mondiale, nella cooperazione economica Sud-Sud e nel contesto dei BRICS. La vittoria della Rivoluzione cubana contro i tentativi di isolamento da parte degli Stati Uniti è inseparabile da questa realtà.

Oggi questi processi affrontano una vasta operazione che combina insieme il grande capitale latino-americano (subordinato al grande capitale transnazionale), le forze revansciste di destra e di estrema destra e l’imperialismo statunitense ed europeo. Unendo questa offensiva all’impatto esercitato dalla crisi del capitalismo su economie come il Brasile o il Venezuela, quelle forze hanno usato gli strumenti che detenevano – il potere economico e giudiziario, il settore dei media – per tentare, d’accordo con i centri imperialistici, di invertire quei processi, come in Honduras e in Paraguay, o come tentano di fare in Brasile con un colpo di stato istituzionale, o in Venezuela, mediante la destabilizzazione politica e il sabotaggio economico. Paesi come la Bolivia e l’Ecuador sono soggetti a processi analoghi. In Colombia c’è una grande lotta per raggiungere la pace con la giustizia sociale, con il fattore fondamentale del successo del processo di pace. La teoria della “fine del ciclo” in America Latina è di fatto una forma di pressione ideologica per porre limiti alla lotta per l’emancipazione della regione, per diffondere il conformismo e la sensazione di sconfitta.

Malgrado la battuta d’arresto nello sviluppo di questi processi in America Latina, i progressi ottenuti rappresentano innegabili e importanti affermazioni di sovranità; vanno nella direzione del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei popoli; sono dei passi avanti verso lo sviluppo e la trasformazione, il che costituisce un contributo alla lotta più generale dei popoli per la loro emancipazione, per la giustizia, l’eguaglianza, il progresso sociale e la pace.

I popoli dei paesi arabi e del Medio Oriente continuano la loro dura lotta per i diritti nazionali, politici e sociali.

Caduti in una spirale di violenza imperialistica, alcuni popoli e Stati della regione resistono contro l’azione prepotente di destabilizzazione e di guerra. Il terrorismo, alimentato dalle maggiori potenze imperialistiche, dalla Turchia e dai paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, viene usato contro i paesi presi di mira dall’intervento imperialistico. L’Iraq, distrutto dall’invasione imperialistica, è sprofondato nel caos, e fronteggia una guerra permanente e le divisioni settarie. La Siria e il suo popolo continuano la lotta in difesa della propria sovranità e integrità territoriale, affrontando la barbara aggressione dell’imperialismo. Continuano dei grandi movimenti di resistenza, come è il caso della resistenza popolare dello Yemen contro l’aggressione dell’Arabia Saudita, del popolo del Bahrein per la democrazia e i diritti umani, o del popolo libanese in difesa dell’integrità territoriale e dell’indipendenza e contro la corruzione del regime confessionale. Il popolo palestinese continua la sua eroica lotta contro l’occupazione da parte di Israele, in condizioni molto difficili, per il diritto a costituire uno Stato palestinese indipendente, contro la scandalosa impunità dei crimini e del terrorismo di Stato assicurata a Israele. La firma di un trattato nucleare con l’Iran e l’appoggio russo alla resistenza dello Stato siriano contro l’aggressione sono due fattori che ostacolano l’imperialismo nel raggiungere i suoi obiettivi nella regione.

In Africa, si sviluppano importanti lotte di lavoratori in diverse zone e con espressioni molto significative. I popoli e gli Stati africani affrontano grandi sfide nella lotta contro il neo-colonialismo, contro le manovre di ingerenza e le guerre e contro la presenza militare straniera. Come quella di Francia o degli USA con AFRICOM – che vogliono imporre il loro dominio politico ed economico, nonché avere il controllo e rapinare le immense risorse del continente. L’aggressione e la distruzione della Libia, le operazioni militari in Mali, le ingerenze nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana sono esempi di questa azione dell’imperialismo.

Continua la lotta del popolo Saharawi per l’autodeterminazione, l’indipendenza e il diritto sovrano a vivere liberamente nella loro patria.

Le cosiddette “primavere arabe” che sono fiorite in vari paesi del Nord Africa e anche in Medio Oriente si sono trasformate in guerre di aggressione e di distruzione di Stati e in una situazione che favorisce il dominio dell’imperialismo.

Numerosi paesi africani resistono alle strategie di destabilizzazione che profittando delle contraddizioni, delle sfide e dei complessi problemi che esistono – molti dei quali ereditati dal colonialismo, dal continuo dominio economico dell’imperialismo e dall’istigazione a divisioni, conflitti e guerre – tendono ad allontanare dal potere le forze che hanno diretto la lotta per la liberazione nazionale dei loro popoli e che non rinunciano ad affermare la sovranità e il diritto allo sviluppo dei loro paesi, come è il caso – per esempio – del Mozambico o dell’Angola. Mentre è compito dei popoli africani decidere il loro presente e il loro futuro, liberi da ogni ingerenza esterna. Esiste un grande bisogno di solidarietà basata sui principi di sovranità nazionale e di indipendenza, di integrità territoriale, pace, diritti, progresso sociale, amicizia e cooperazione.

In Asia, l’Afghanistan resta sprofondato nella distruzione e nel caos della guerra, dopo l’aggressione imperialistica e l’occupazione. In tutto il continente si sono sviluppate lotte di grande scala della classe operaia e di altri lavoratori, nonché dei contadini, con grandi movimenti in India, in Bangladesh e in Corea del Sud. Ci sono state lotte importanti contro il militarismo, le basi militari straniere e per la pace, come in Giappone.

I maggiori centri imperialistici hanno sperimentato lotte o esplosioni di rivolte dirette contro le loro contraddizioni più evidenti. E’ stato il caso degli Stati Uniti, con importanti giornate di lotta in difesa del diritto al lavoro, contro la diseguaglianza e la discriminazione razziale.

In Europa, i lavoratori e il popolo hanno sviluppato lotte importanti contro l’attacco ai diritti sociali, per il salario, per il diritto al lavoro e i diritti del lavoro, contro l’imposizione della cosiddetta “austerità”, contro le ingerenze e le pressioni esterne, in difesa dei diritti democratici.

La sfida sempre più ampia contro il processo di integrazione capitalistica dell’Unione Europea rappresenta un avanzamento nella lotta per un’Europa di cooperazione e di Stati sovrani eguali nei diritti, in progresso e in pace.

In questo senso, ed entro la struttura di cooperazione del continente europeo – un fine da raggiungere sulla base di uno sforzo che deve essere comune e non imposto o unilaterale – il PCP si è impegnato a livello istituzionale nella costituzione del Gruppo della Sinistra EuropeaUnita/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL), allo scopo di salvarne la natura confederale, l’’identità e l’indipendenza in rapporto ad altre aree o strutture di cooperazione. Un intervento che si svolge malgrado le difficoltà e i limiti derivanti dalla composizione eterogenea del Gruppo e dai tentativi del Partito della Sinistra Europea di strumentalizzarlo. Il PCP continua a impegnarvisi allo scopo di far sentire una voce alternativa entro il Parlamento europeo, come opzione rispetto alle forze della destra e della socialdemocrazia, nel rispetto dell’indipendenza ideologica e politica di ognuno dei suoi componenti e attenendosi strettamente al suo carattere confederale.

La situazione richiede di rafforzare la lotta e di far convergere la classe lavoratrice con altri settorianti-monopolistici. C’è necessità di una maggiore cooperazione e coordinamento fra le forze anti-imperialistiche, in particolare per azioni di lotta congiunte o convergenti, per rafforzare la solidarietà con i popoli in lotta, specialmente con quelli in prima linea contro l’offensiva dell’imperialismo. Una necessità che non è compatibile con ambiguità o errori nell’individuare il nemico principale, e che va basata su una valutazione appropriata e sulla determinazione di obiettivi di lotta comuni e convergenti.

Nel quadro della relazione dialettica fra piani nazionali e internazionali, le sfide nella lotta contro l’imperialismo si giocano nell’arena nazionale, come terreno centrale e decisivo della lotta di classee della trasformazione sociale. Ma la situazione esige che, a partire dallo spazio nazionale, si stringano i legami di solidarietà e di cooperazione che dovrebbero unire i comunisti e le altre forze anti-imperialiste.

La “fuga” verso soluzioni e movimenti sovranazionali, non sostenuta da concreti processi di lotta a livello nazionale, come ha dimostrato la realtà, porta all’imposizione di “modelli” e “ricette”, a spinte inconcludenti di natura volontaristica o riformistica, che portano a divisioni e distorsioni di movimenti, forze e processi.

Il Fronte anti-imperialista, che oggettivamente si amplia con l’intensificarsi dell’offensiva dell’imperialismo e dei crescenti scontri fra paesi e popoli per il dominio egemonico, è attraversato da contraddizioni e ambiguità che pongono grandi sfide all’intervento dei partiti comunisti e alla loro azione per costruire alleanze sociali e politiche e per stabilire una connessione fra la lotta per l’emancipazione sociale e la questione nazionale.

Per quanto riguarda l’articolazione internazionale della lotta, c’è un bisogno speciale di rafforzare le strutture internazionali, come il Consiglio Mondiale della Pace (WPC), la Federazione Mondiale della Gioventù Democratica (WFDY), la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (WIDF), la Federazione Sindacale Mondiale (WFTU), e la Federazione Internazionale dei Combattenti della Resistenza (FIR), misurando il loro ampio carattere anti-imperialista.

I paesi che hanno come linea guida e obiettivo la costruzione di una società socialista – la Cina, la Repubblica Democratica Popolare di Corea, Cuba, il Laos e il Vietnam – nella grande differenza di situazioni in base al grado di sviluppo economico e sociale e ai modelli socio-politici – costituiscono un importante fattore di contenimento dell’imperialismo e dei suoi obiettivi di dominio mondiale. Oggi è sempre più chiaro che questi paesi sono soggetti a una serie di pressioni economiche e finanziarie, a operazioni di destabilizzazione e di ingerenza, all’offensiva ideologica e all’assedio geostrategico che, insieme con gli effetti della crisi del capitalismo ai quali non sono immuni, condizionano il loro sviluppo, le loro scelte di politica economica e le loro relazioni internazionali.

Nello stesso tempo, e in relazione dialettica fra le questioni interne e le condizioni esterne, i paesi che hanno come obiettivo la costruzione di una società socialista affrontano sfide e contraddizioni che in alcuni casi fanno sollevare legittime preoccupazioni e dubbi sulla loro situazione ed evoluzione.

Il PCP segue l’evolversi di questi paesi e le linee guida dei rispettivi partiti comunisti, sia per quanto riguarda i compiti interni sia per la situazione internazionale. Ricusando l’idea di modelli unici di trasformazione sociale e affermando il proprio progetto di costruzione di una società socialista in Portogallo, il PCP trova che l’evolversi di quei paesi dovrebbe continuare a meritare un’osservazione e un’analisi attenta e permanente, sia delle loro esperienze e successi, sia delle questioni e dei disaccordi, alcuni di principio, generati da certe linee guida in alcuni di quei paesi, indipendentemente dalle loro specificità, dai loro percorsi e dalla loro storia, in particolare le linee guida che si distanziano dai principi e dalle caratteristiche tipiche delle società socialiste in costruzione, sia in termini di organizzazione economica che di sistema politico.

La lotta e la resistenza dei popoli di quei paesi contro l’offensiva dell’imperialismo esige che noi ci si associ non alle campagne tese alla destabilizzazione e all’aggressione, ma alla solidarietà con tutti coloro che difendono la sovranità e la pace.

La lotta dei lavoratori e dei popoli mostra debolezze e insufficienze che non vanno ignorate nella definizione della via verso l’emancipazione sociale. Tuttavia la risposta popolare, di classe e di massa di fronte all’approfondirsi delle contraddizioni del capitalismo era ed è l’elemento principale che permette di contenere l’offensiva del grande capitale e dell’imperialismo. Con le sue esperienze, le sue vittorie, i suoi insegnamenti e la sua eredità storica, era ed è un importante fattore di prevenzione di sviluppi ancora più gravi della situazione internazionale, impedendo alla classe dirigente di agire liberamente. Essa era ed è il fattore che assicura il necessario accumulo di forze per costruire delle alternative sulla base di convergenze fra la lotta della classe operaia e quella di altri settori anti-monopolistici, e la solidarietà con i popoli e le nazioni in lotta.

Riconoscere la gravità della crisi del capitalismo e la necessità e tempestività di superare il capitalismo non dovrebbe portare a sottovalutarne il potere materiale e ideologico e la capacità di resistere e adattarsi, evidente nella sua abilità a contenere e perfino neutralizzare e strumentalizzare poderosi movimenti di lotta popolare, e a invertire e sconfiggere processi effettivi di trasformazione progressista e rivoluzionaria.

In quanto partito patriottico e internazionalista, il PCP considera della maggiore importanza il rafforzamento, l’unità e la crescita della capacità di azione del movimento comunista rivoluzionario internazionale.

Il movimento comunista rivoluzionario internazionale e la cooperazione e la solidarietà internazionali saranno più forti se si rafforzerà il legame di ogni partito comunista, di ogni forza rivoluzionaria, con le masse e le diverse realtà nazionali, e se si sarà in grado di definire un programma e dei compiti adeguati.

Basandosi sulla sua esperienza di 95 anni di lotte e sull’esperienza storica dei comunisti e dei rivoluzionari di tutto il mondo, agendo in accordo con il principio dell’internazionalismo proletario, il PCP si impegna a rafforzare la cooperazione e la solidarietà reciproca fra i partiti comunisti, contribuendo ad approfondire il dibattito e pronto in ogni momento a valutare contenuti e iniziative che promuovano azione unitaria.

In questo senso, il PCP presta particolare attenzione allo sviluppo di relazioni bilaterali di amicizia e cooperazione, nonché di forme e processi di cooperazione multilaterale e di azione comune e convergente, per rafforzare l’unità nell’azione e per affermare l’ideale e il progetto comunista.

A livello europeo, il PCP ha sempre agito per unire i partiti comunisti e per portarli più vicino ad altre forze progressiste e di sinistra, considerando peraltro le diversità di contesto, riflessioni e proposte, nel rispetto della loro indipendenza, mettendo in primo piano le questioni più sentite da parte dei lavoratori e dai popoli, la lotta contro il blocco imperialista dell’Unione Europea, in favore di un’Europa di cooperazione fra Stati sovrani ed eguali, di progresso e di pace, per un’Europa dei lavoratori e dei popoli.

La realtà ha confermato la posizione del PCP circa il Partito della Sinistra Europea. Di fatto, questa struttura di natura riformista e sovranazionale – che deriva dalla decisione degli USA di creare “partiti politici europei” – ha introdotto nuovi fattori di divisione, straniamento e malintesi, e ha ostacolato i progressi verso la cooperazione e la solidarietà fra i comunisti e le forze progressiste in Europa, il che si riflette in altre aree di cooperazione, in particolare nel GUE/NGL nel Parlamento europeo.

Il PCP ha prestato particolare attenzione alle Riunioni Internazionali dei Partiti Comunisti e dei Lavoratori (IMCWP), ospitando la 15.ma riunione a Lisbona, nel 2013. Si tratta di un processo multilaterale, che malgrado insufficienze, difficoltà e aspetti negativi che possono sorgere – e il PCP si impegna a trovare soluzioni e superarli – ha contribuito a migliorare la conoscenza reciproca a spingere verso l’adozione di una serie di linee guida per un’azione comune e convergente da parte dei partiti che vi hanno aderito.

Il PCP considera che sono motivi di grande preoccupazione sia lo sviluppo di tendenze socialdemocratiche e liquidazioniste – di adattamento al sistema, abbandonando i riferimenti ideologici, i principi organici e gli obiettivi strategici caratteristici di un partito comunista – sia le pratiche e le concezioni dogmatiche e settarie- che puntano all’introduzioni di modelli unici di trasformazione sociale e ad iniziative che strutturano dei poli antagonistici; ciò non solo non contribuisce a rafforzare il movimento comunista e l’unità d’azione dei comunisti, ma anche introduce nuovi fattori di divisione e di malintesi che ostacolano i necessari progressi nella solidarietà internazionale fra i comunisti, e fra questi e le altre forze progressiste e di sinistra.

Dal tempo del nostro XIX Congresso,insieme con elementi positivi di recupero di influenza da parte di alcuni partiti, sono emerse grandi difficoltà causate da atteggiamenti negativi e dall’abbandono dei principi stabiliti per le relazioni fra i partiti comunisti – eguali diritti, indipendenza, rispetto reciproco, non ingerenza negli affari interni, franchezza e mutua solidarietà – evidenti in atteggiamenti egemonici e in importanti divergenze nell’analisi della situazione internazionale, sulla strategia e la tattica nella lotta per il socialismo, che hanno impedito la franca e fraterna discussione per riavvicinare le posizioni e per esaminare i problemi comuni, con grave danno dell’unità e della capacità di intervento del movimento comunista e rivoluzionario internazionale.

Consapevole della complessità e delle esigenze dell’attuale situazione internazionale e che i partiti comunisti e le altre forze rivoluzionarie hanno traiettorie, esperienze e radici sociali diverse, lottano in condizioni diverse, sono in stadi diversi della lotta per il socialismo e affrontano compiti immediati diversi, il PCP ritiene che le naturali differenze di opinione, e anche qualsiasi differenza, non dovrebbero impedire la cooperazione nella lotta contro il nemico comune, e l’azione comune o convergente per l’emancipazione dei lavoratori e dei popoli.

I comunisti hanno una responsabilità speciale e un’eredità e un’esperienza uniche nella costruzione di alleanze sociali e politiche, che possono bloccare gli obiettivi imperialistici sia a livello nazionale che internazionale.

L’attuale situazione internazionale dimostra la particolare importanza dello sviluppo della cooperazione dei partiti comunisti con altre forze democratiche, progressiste e anti-imperialiste, contribuendo – con l’affermazione dei propri obiettivi e senza stemperare la propria identità – allo scambio di esperienze e all’unità d’azione per la realizzazione di compiti e obiettivi immediati nella lotta. In questo senso, il PCP si impegna alla solidarietà internazionale con le forze sociali e politiche che nei rispettivi paesi lottano in difesa degli interessi dei lavoratori e dei popoli, e per ampliare e incrementare il fronte anti-imperialista. Il PCP segue con interesse i forum di cooperazione e solidarietà, come il Forum di San Paolo, come gli altri enti di cooperazione fra le forze rivoluzionarie e progressiste d’America Latina e del Caribe.

La crisi strutturale del capitalismo e l’attacco violento dell’imperialismo rendono necessario rafforzare la cooperazione e la convergenza delle forze patriottiche, progressiste e rivoluzionarie, che devono unirsi in un ampio fronte anti-imperialista, per bloccare l’offensiva dell’imperialismo e rendere possibile la costruzione di un nuovo ordine internazionale di pace, sovranità e progresso sociale.

La realtà dimostra che è necessario un forte e vigoroso movimento comunista e rivoluzionario internazionale, che devono esistere di forti partiti comunisti e rivoluzionari che portino avanti la resistenza e la lotta dei lavoratori e dei popoli in difesa dei loro diritti, per progredire verso la trasformazione sociale e il superamento rivoluzionario del capitalismo.

1.4 Il socialismo, l’alternativa al capitalismo

Il capitalismo non è il sistema finale della storia dell’umanità. Il suo superamento rivoluzionario, la costruzione di una società senza sfruttatori e sfruttati, sono principi posti dai socialisti e dai comunisti come esigenze del presente e del futuro.

Lo straordinario accentuarsi della socializzazione della produzione (determinata dallo sviluppo di scienza e tecnologia, dall’internazionalizzazione di tutte le sfere della vita sociale e da una concentrazione e centralizzazione del capitale mai viste), la crescente contraddizione fra il carattere sociale della produzione e la sua proprietà privata, hanno fatto maturare le condizioni materiali per una rivoluzione socialista, quale che ne sia la forma che possa prendere. L’esigenza di una nuova società è determinata dalla natura stessa del capitalismo e dalla necessità di superare le sue insormontabili contraddizioni.

Ma il processo di sostituzione della formazione socio-economica capitalistica con il socialismo nonè automatico. Esso esige la creazione di condizioni oggettive e soggettive: l’intervento creativo della classe lavoratrice e delle masse; un’avanguardia rivoluzionaria in grado di dirigere in ogni paese la lotta per la conquista del potere da parte dei lavoratori; l’applicazione del marxismo-leninismo, concezione dialettica e materialistica del mondo, strumento di analisi nonché utensile e guida per l’azione.

Marx ed Engels, sulla base del materialismo storico e dialettico e degli studi concreti sulla società capitalista, hanno scoperto le leggi del sistema capitalista e hanno dato sostanza teorica alla missione storica della classe lavoratrice e alla necessità di una rivoluzione socialista come condizione per la libertà delle forze produttive, il cui sviluppo è ostacolato e devastato dai rapporti di produzione capitalistici. La pratica ha poi definitivamente dimostrato la necessità e la possibilità di una nuova società. Con la Rivoluzione d’Ottobre, di cui celebriamo il centenario nel 2017, e altre rivoluzioni che si sono svolte nel XX secolo, il socialismo non è più un sogno, un’utopia, un’aspirazione, un ideale di liberazione umana e sociale, ma è diventato una realtà concreta.

La conquista del potere da parte del proletariato russo, sotto la direzione del Partito bolscevico di Lenin, rappresenta un gigantesco balzo in avanti nel processo di liberazione dei lavoratori e dei popoli, che ha inaugurato una nuova era nella storia dell’umanità, il tempo della transizione dal capitalismo al socialismo. Aprendo vie ignote di costruzione sociale e sconfiggendo l’aggressione dell’imperialismo, l’Unione Sovietica ha vinto malgrado i pregiudizi e l’arretratezza ancestrale, e in un breve periodo storico è diventata una grande potenza industriale, con grandi successi politici, sociali e culturali, che hanno messo in evidenza la superiorità del nuovo sistema sociale e hanno esercitato una grande attrazione fra i lavoratori e i popoli oppressi di tutto il mondo. Con i suoi successi e la sua politica di pace e di solidarietà internazionale, col ruolo decisivo che ha svolto nella sconfitta del nazifascismo, esercitando un poderoso contrappeso alla politica di aggressione e sfruttamento dell’imperialismo, l’Unione Sovietica e i paesi socialisti hanno rappresentato il principale fattore di conquiste sociali e di straordinari progressi rivoluzionari del XX secolo.

La scomparsa dell’Unione Sovietica e la sconfitta del socialismo nell’Europa dell’Est non negano il bisogno di costruire una nuova società senza sfruttatori e sfruttati, in cui le straordinarie conquiste del genio umano non siano più al servizio di un’oligarchia finanziaria sempre più ristretta, ma vengano poste al servizio del popolo. Non si può negare l’impatto negativo di quegli avvenimenti nel quadro dei rapporti di forza globali, sulla coscienza delle masse e sullo sviluppo della lotta per il superamento rivoluzionario dell’imperialismo. Ma questo fatto non cambia il carattere di base del nostro tempo, e neppure mette in questione la direzione dello sviluppo storico. Al contrario, oggi più che mai, di fronte alla natura oppressiva, aggressiva, predatoria e di sfruttamento del capitalismo, il socialismo emerge con rinnovata modernità come bisogno oggettivo nel processo di emancipazione universale dei lavoratori e dei popoli. L’obiettivo del socialismo nella lotta dei popoli si afferma con crescente chiarezza come prospettiva e condizione inseparabile dalla completa liberazione umana e dalle sue conquiste.

La campagna sulla “morte del comunismo” e sul “declino irreversibile” dei partiti comunisti si confronta, per la sua credibilità, con l’aggravarsi della crisi strutturale del capitalismo e con la dimostrazione della sua incapacità a dare risposta ai grandi problemi dell’umanità. Ma la campagna continua, in particolare con grandi operazioni di falsificazione storica, che vanno combattute. Il movimento comunista internazionale, avvezzo a imparare dalle esperienze, sia positive che negative, rifiuta la negatività e l’assenza di speranza con cui la classe dominante cerca di smobilitare la lotta delle masse. Questo peraltro non significa disconoscere che il superamento rivoluzionario del capitalismo è un processo complesso, irregolare e diseguale, con vittorie e sconfitte, arretramenti e conquiste.

L’esperienza dimostra che la via verso la rivoluzione socialista, che è diversificata e segue ritmi diversi da paese a paese, obbedisce peraltro ad alcune leggi generali, che la prassi ha confermato, e che riguardano l’importanza della teoria, il ruolo della classe lavoratrice e dei suoi alleati, l’impegno creativo delle masse nella costruzione del proprio destino, la questione dello Stato e della proprietà dei principali mezzi di produzione, il ruolo dirigente del partito. Leggi generali ma non “modelli”; bisogna evitare la tentazione di copiare l’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre, che non ha valore universale ma corrisponde alla concreta realtà della Russia di allora, come sottolineava lo stesso Lenin: “Tutte le nazioni raggiungeranno il socialismo, ciò è inevitabile, ma non tutte ci arriveranno nello stesso modo…”.

La via verso il socialismo e le caratteristiche fondamentali della società socialista in Portogallo sono inseparabili dalle peculiarità che ne segnano la storia, dalla realtà sociale e dal contesto internazionale in cui si muove il nostro paese. Considerando la ricca esperienza del movimento comunista internazionale, e cercando di apprendere dalle esperienze storiche di costruzione del socialismo, è sulla base della realtà portoghese e dell’esperienza dei comunisti portoghesi che il PCP ha elaborato un progetto di società socialista e comunista per il Portogallo, le cui linee principali sono sistematizzate nel suo programma “Una democrazia avanzata – i valori di Aprile nel futuro del Portogallo”. Come si dichiara in quel programma: “All’orizzonte dell’evoluzione sociale si trova il comunismo – un sogno millenario dell’umanità progressista, una società senza classi, di abbondanza, di eguaglianza sociale, di libertà e cultura per tutti, di iniziativa e creatività individuale e collettiva, una società di lavoratori liberi e coscienti in cui il lavoro non sarà solo una fonte di ricchezza, ma un’attività creativa e una fonte di gioia, libertà e valorizzazione personale, e in cui la pace, la salute, la cultura, il riposo, l’equilibrio dell’ambiente, l’azione collettiva e il valore degli individui saranno componenti della felicità umana”.

 

Indice

Cap. I

Situazione internazionale

1,1 La crisi del capitalismo

1.2 L’offensiva imperialistica

1.3 La lotta dei lavoratori e dei popoli

1.4 Il socialismo, l’alternativa al capitalismo

Cap. II

Situazione nazionale

2.1 La politica di destra e la situazione del paese

2.2 L’evoluzione dell’Unione Europea

2.3 La situazione economica, sociale, culturale e politica

2.4 L’azione del governo PSD/CDS-PP

2.5 Le elezioni dell’ottobre 2015 e la nuova fase della vita politica nazionale

2.6 La situazione economica

(…)

2.12 Politica patriottica e di sinistra

Cap. III

La lotta di massa e l’alternativa

3.1 La lotta di massa

3.2 La lotta della classe operaia e dei lavoratori il motore della lotta di massa

3.3 La lotta delle altre classi, strati e gruppi sociali e popolazioni

3.4 Le organizzazioni ampie della classe operaia e deo lavoratori. Il Movimento sindacale ampio

(…)

3.8 Il sistema politico e partitico

3.9 La lotta per l’alternativa patriottica e di sinistra

3.10 Rafforzare il PCP e la lotta di massa, costruire l’alternativa

Cap. IV

Il Partito

4.1 L’identità del Partito e la sua affermazione

4.2 L’azione del Partito

4.3 Linee guida prioritarie

4.4 Dirigenza

4.5 Quadri

4.6 Organizzazione

4.7 Organizzazione, interventi, legame con le masse

4.8 Lotta ideologica

4.9 Informazione, propaganda, media e attività editoriale

4.10 Fondi

4.11 Attività internazionale e azione internazionalista

4.12 Nota conclusiva

 

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