a cura del PCI di Salerno
Venerdì 10 febbraio a Salerno, la sede dell’Associazione “Salerno ma non solo” ha ospitato un’iniziativa del PCI dal titolo “Per una critica radicale all’Unione europea, alla NATO e all’esercito europeo – Le proposte e le lotte del PCI”.
Tra il folto pubblico convenuto, significativi gli interventi di Antonio Armenante- esponente salernitano di Pax Christi- che ha sottolineato come ormai l’Italia abbia ormai assunto il ruolo di piattaforma di lancio per tutte le missioni NATO verso l’Africa ed ha espresso la necessità di individuare forme di non violenza attive per inibire la riproduzione di dinamiche che alimentano il capitalismo e di Nello De Bellis, del Movimento Popolare di Liberazione 101, che ha sottolineato il ruolo imperialista e neocolonialista dell’UE.
Dopo i saluti del Segretario della sezione Gramsci di Salerno, Raffaele Coppola, ha preso la parola il Segretario Regionale Antonio Frattasi, che ha ricordato come iniziative legate al tema della presenza di basi NATO e dell’ US Army sul territorio campano, vedano sempre la presenza di un pubblico numeroso, proprio per i numerosi siti presenti – una decina solo nell’area del Golfo di Napoli, da Lago Patria a Bagnoli, Pozzuoli e Capodichino – sottolineando come tale presenza, oltre a costituire un serio pericolo per la popolazione che ivi risiede, abbia costituito un grosso freno allo sviluppo commerciale del Porto di Napoli.
Ha preso poi la parola Dina Balsamo, segretaria provinciale di Salerno e responsabile del dipartimento esteri del PCI Campania, la quale ha aperto la discussione mettendo in rilievo lo stretto nesso causale tra la distruzione dello stato sociale italiano, causato dalle imposizioni in materia economicadell’Unione Europea da un lato e, dall’altro, la richiesta di un maggiore impegno economico per sostenere i costi per la costruzione del nuovo Esercito Europeo sommata ad una maggiore partecipazione ai costi per il mantenimento e l’espansione della NATO, richiesti dal nuovo Presidente americano, Donald Trump.
Partendo dalle recenti dichiarazioni della Cancelliera
Merkel la quale, introducendo il concetto di “Europa a due velocità” ha, di fatto, sancito il fallimento dell’Unione Europea, ha stimolato una riflessione sui possibili scenari di uscita dal Trattato e dalla moneta unica.
L’intervento di Fosco Giannini- responsabile del dipartimento esteri della segreteria nazionale del PCI – ha centrato l’attenzione sulla natura e l’origine del progetto dell’Unione Europea, nata con il Trattato di Maastricht all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica: è questo “il giorno lungo un secolo”, individuato da Giannini, che ha consentito al capitale transnazionale europeo di unirsi per partecipare alla conquista di un immenso mercato.
A meno di due mesi di distanza dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica per mano di Gorbačëv, il 7 febbraio 1992 a Maastricht veniva firmato dai 12 Paesi membri della Comunità Economica Europea quel Trattato – vero manifesto del liberismo – che nel giro di un quarto di secolo ha innescato un nuovo fenomeno di accumulazione capitalistica attraverso l’abbattimento del costo delle merci attuato abbattendo salari, stato sociale e diritti dei lavoratori.
Giannini ha poi individuato il paradosso dell’UE: dotata di un Parlamento che non ha possibilità di legiferare ma è mero esecutore della Commissione Europea, è però dotata di una moneta comune – l’Euro – che non appartiene ad uno Stato ma alla Banca Centrale Europea – di fatto, una filiale della Deutsche Bundesbank– ma non è dotata di un sistema fiscale transnazionale, il solo strumento che permetterebbe una perequazione delle risorse in tutti i Paesi membri.
Il crollo dell’URSS, da un lato ha aperto immensi mercati da conquistare e dall’altro è apparso al capitale europeo come il dissolvimento dello spauracchio che, per 50 anni, lo aveva costretto a cercare una mediazione con le socialdemocrazie. A quel punto, caduto l’argine socialista, la lotta per la conquista di nuove fette di mercato internazionale ha potuto utilizzare gli strumenti classici del capitalismo: abbattimento del costo delle merci attraverso l’abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale.
Nemmeno questi sacrifici però sono bastati più a questo nuovo Moloch chiamato Unione Europea: come ha detto la Merkel nel Vertice tenutosi a La Vallettta lo scorso 3 febbraio, ormai occorre pensare ad “un’Europa non più tendente all’unità sovranazionale a 27 Paesi ma a cerchi concentrici, a due velocità” – sancendo, di fatto, il fallimento dell’UE e delle politiche iperliberiste imposte attraverso il Trattato di Maastrichtche hanno fatto sì che gran parte dei Paesi europei, inclusa l’Italia, si impoverissero al punto da allontanarsi sideralmente, sul piano economico e sociale, dal nucleo centrale europeo più solido e storicamente più ricco.
Ma la vera natura imperialistica dell’Unione Europea, fatta di aggressività anche in campo militare, è cosa dei nostri giorni: la nascita di un Esercito Europeo, tenacemente voluto da Germania, Francia, Spagna e Italia, con forti perplessità dei Paesi del Nord Europa -e decisamente osteggiato da una Gran Bretagna ormai fuori dall’UE- è ormai cosa fatta.
Esercito Europeo che, peraltro, non nasce in alternativa alla NATO ma subordinato agli ordini dello stesso comando NATO.
Si prevede che nel quinquennio 2017/2021 l’UE investirà 3 miliardi e mezzo di Euro in progetti militari congiunti;ed ecco riemergere da un passato che ormai si pensava sepolto la classica manovra per superare una crisi del sistema capitalistico: stimolare la ripresa delle economie nazionali attraverso il riarmo bellico.
Tutto ciò congiunto ad un rinnovato dispiegamento di forze e mezzi della NATO sul confine orientale e ad una pressante richiesta di una maggiore partecipazione alle spese per il rafforzamento della NATO stessa da parte del nuovo Presidente americano.
“Il PCI – ha concluso Giannini – partendo dall’analisi dei danni sociali provocati dall’Ue e dai pericoli democratici che essa comporta, esprime una critica radicale sull’esperienza dell’Ue e della moneta unica, definendola irriformabile. Non dobbiamo, infatti, costringerci ad un’idea riformabilità dell’ UE, ma guardare al fronte progressista mondiale ed all’esperienza dei BRICS.”
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