di Nicola Paolino, PCI Salerno
Per chi ha scritto il” Documento Congressuale a sostegno della candidatura di Matteo Renzi”, a segretario del Pd, l’ardua impresa di fare “il gioco delle tre carte” (questa vince, questa perde…) non è riuscita. Gli estensori doc concludono il Documento in modo inequivocabile: “Chiediamo per Matteo Renzi e Maurizio Martina un mandato (sì, proprio così!) per cambiare l’Italia e l’Europa (sì, proprio così!), per costruire un Partito “pensante” (dunque, allora prima non lo era?!) che contribuisca a tale scopo, con un leader che si candidi a guidare dapprima la nostra comunità politica e poi il Governo del Paese”. A primo “acchito”, sembrerebbe che la “corona imperiale”, sulla testa di Renzi, gliel’abbiano messa. Ma, si può anche pensare che da bonapartista se la sia rimessa da solo. O forse gliel’ha messa l’aspirante bonapartista Martina che sarà il suo vice unico. Fa senso che una parte proveniente dal disciolto PCI non riesca più a distinguere fra il giacobinismo borghese, che è rappresentato da Renzi, e il giacobinismo proletario, che può essere rappresentato soltanto dalle sfruttate e dagli sfruttati. Ma tanto si sa che quando più ci si allontana dalle proprie origini politiche tanto più si cancellano dalla propria memoria storica, acquisizioni fondamentali e decisive. Ma di quell’abbaglio in molti si sono già liberati. Si tratta sia dei compagni che dal Pd sono usciti, sia di quelli che dal renzismo si sono dissociati. Eccezion fatta per il ristretto gruppo dei fedelissimi che di Renzi hanno il culto, soltanto perché a lui devono tutto! Prima era chiaro o chiarissimo che nessuna e nessuno poteva sostituirsi alle larghe masse popolari. Tutte e tutti eravamo consapevoli che, per trasformare la società in senso socialista, occorreva l’unità di un grande o di più partiti della classe operaia, che aveva preso coscienza di sé e per sé e che la disciplina, derivante da grande dialettica interna, era determinante. Le correnti dei notabili non erano ammesse. Tra gli insegnamenti di Mao Tse Tung, il grande comunista cinese, che tuttora conservano la loro attualità, c’è quello che dice: “Il popolo e soltanto il popolo è la forza motrice che crea la Storia”, quello estremamente significativo e originale nel movimento comunista mondiale che: “se la classe operaia o la sua maggioranza non condivide un punto di vista del Partito Comunista, deve prevalere sempre quello della classe operaia” (sì proprio così!). Mao fu accorto nel precisare che “i veri eroi sono le larghe masse popolari”. Da parte sua, Enrico Berlinguer, all’apice del legame che univa il Partito Comunista Italiano alla classe operaia e della sua forza politica, ebbe a dire “che per governare l’Italia il 51 per cento dei voti non era sufficiente”. Berlinguer aveva ragione anche quando disse “che la Rivoluzione di Ottobre aveva finito la sua spinta propulsiva”. Enrico non ha mai abiurato alla trasformazione socialista dell’Italia. Ma ebbe torto quando disse che “il principio del centralismo democratico era superato”. Il fatto che il Documento pro-Renzi – “Avanti insieme” – come previsto – non sia stato sottoposto a verifica assembleare e ad approvazione collettiva, non va taciuto. Perché la dice lunga sulla finta democrazia del Pd di Renzi. Per la prima volta nel suo campo, al Lingotto di Torino, erano emersi punti di vista differenti. Di quel dibattito non c’è sintesi condivisa. Il bonapartismo renziano, ridimensionato, nel Partito e nella Società, procede a marce forzate. Tanto per il pugno di fedeli, si sa, la democrazia è un lusso, un intralcio di cui si deve fare a meno! Per gli italiani No, non lo è. Perché la democrazia serve ad organizzare la riscossa sociale contro il neoliberismo. Il 4 dicembre lo hanno dimostrato a chiare lettere! “Avanti popolo alla riscossa” è di nuovo una necessità storica inderogabile per il riscatto. Strategicamente, è meglio di un non precisato, quanto mistificatorio, “Avanti, insieme“. Verso il niente… o più semplicemente dentro l’orizzonte capitalistico.