di Nicola Paolino, PCI Salerno
La prima parte delle primarie interne al Partito Democratico si è chiusa con una polemica tra Orlando e Renzi. Il Ministro della Giustizia, a caldo, ha messo in discussione, pubblicamente, il conteggio dei voti che gli sono stati attribuiti. E queste sono cose che lasciano uno strascico, quasi sempre, insanabile. Le primarie all’italiana sono uguali ad un moderno plebiscitarismo bonapartista, basato su concorrenti in cerca di gloria. Un’investitura, quasi sempre vincente, per il candidato più probabilmente prossimo ad essere anche il Presidente del Consiglio. Le primarie, con l’approfondimento delle antisociali politiche neoliberiste ed i disastri provocati dalla crisi capitalistica, iniziata nel 2007, stanno vedendo un clamoroso calo dei partecipanti, sia iscritti che non iscritti al Pd. Forse, sia Renzi che la sua ristretta cricca e lo stesso Orlando avrebbero fatto meglio se avessero preso atto di questo consolidato andamento calante! Ma si sa “finché la barca va, lasciala andare”. Fino a quando non si infrangerà definitivamente sugli scogli di una possente marea montante popolare. Il dono dell’autocritica non appartiene ai moderni cinici. Appartiene solo al Popolo. Emiliano, da baldanzoso scissionista mancato, è arcisicuro di un successo nelle “vere” primarie, quando al voto parteciperanno i non iscritti (basta soltanto dichiararsi elettore del Pd). Quanti saranno i votanti realmente elettori di quel Partito, in evidente declino, sarà impossibile stabilirlo. La verità dei fatti sta dimostrando, sempre più chiaramente, che le primarie all’italiana sono una caricatura della stessa democrazia borghese. Prima i grandi Partiti di massa, nella elaborazione delle linee politiche e nella formazione/elezione dei gruppi dirigenti, adottavano una metodologia completamente diversa. Che era la negazione della ricerca del plebiscito per il capo. Ed erano i Partiti che avevano sconfitto militarmente l’esercito tedesco ed i resti dei fascisti più fanatici e poi dato vita alla Repubblica Italiana ed alla Carta Costituzionale, basata sul Lavoro e la Sovranità del Popolo e che contiene aspetti di “democrazia progressiva”. Quella metodologia, sostanzialmente, era simile per il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista Italiano e la stessa Democrazia Cristiana, ma era adottata anche dai Partiti minori. In sintesi, i gruppi dirigenti elaboravano le loro tesi politiche e programmatiche che, successivamente, erano sottoposte prima alla discussione nei Congressi delle strutture di base, dei rispettivi partiti. Gli interi gruppi dirigenti, di tutti i livelli, si presentavano in blocco dimissionari al Congresso Nazionale. Le iscritte e gli iscritti discutevano le linee politiche ed il programma che potevano essere approvati, così come proposte oppure modificati, su specifiche questioni, con gli emendamenti. Sulla base dei documenti approvati si eleggevano, proporzionalmente, sia i gruppi dirigenti di base che i delegati ai Congressi di livello superiore. Normalmente provinciali o regionali, o di entrambi i livelli. Anche in questi Congressi si dibattevano i Documenti e gli stessi emendamenti che erano stati approvati nei Congressi di base. Poi si procedeva all’elezione dei dirigenti provinciali o regionali, a seconda dei casi, per poi passare ad eleggere i delegati al Congresso Nazionale. Sempre sulla base di una proporzionalità decisa o proposta a livello Nazionale. In genere, si trattava di un vero e proprio Regolamento Congressuale. Infine, i delegati dei Congressi, provinciale o regionale, si riunivano in Congresso Nazionale che era sovrano. In quella sede, i Documenti iniziali e gli emendamenti approvati venivano messi in discussione ed infine approvati. Il Congresso Nazionale che, di norma, veniva convocato periodicamente, poteva essere convocato anche in via straordinaria o con la richiesta di un certo numero di iscritti. Il tutto era sancito nello Statuto, discusso ed emendato nel precedente Congresso. Lo Statuto successivo, normalmente, veniva sottoposto a revisione sulla base della verifica pratica. Di norma, il Congresso Nazionale veniva aperto da un rapporto delle attività svolte ed era letto dal Segretario uscente. Anche se non mancarono dei cambiamenti legati ai nuovi rapporti di forza. In ognuno di quelle Assise, dopo un ampio ed articolato dibattito sui risultati ottenuti o sperati, sull’attualità politica, interna ed internazionale, si eleggeva il nuovo gruppo dirigente che, a sua volta, confermava il segretario uscente o ne eleggeva uno nuovo.
Come si può facilmente intuire, quella modalità di preparazione dei documenti politici, del dibattito e dell’elezione dei gruppi dirigenti, ad ogni livello, procedeva dall’alto al basso e dal basso all’alto. Era una modalità circolare che si basava sulla cultura comunista, socialista e democristiana, allora largamente maggioritarie. Lo scopo dichiarato era quello di ricercare una sintesi unitaria oppure tesi differenti, se non contrapposte. In buona sostanza, la metodologia adottata era complessa perché doveva dare vita a linee politiche non verticistiche e formare gruppi dirigenti capaci e solidali. Soprattutto competenti ed espressione della Società e delle sue complesse articolazioni. Quelle metodologie nascevano da una aperta lotta per l’egemonia perché, aspetto non trascurabile, dovevano essere congiuntamente una barriera insormontabile, in grado di impedire l’assalto alla Repubblica Italiana, fondata sul lavoro, da parte di piccoli gruppi reazionari o a colpi di Stato. Minacce di questo tipo non sono mancate né mancheranno. I tre grandi partiti di massa avevano messo profondissime radici in tutta la Società. Quei Partiti, le loro culture, ispirarono anche la formazione dei Sindacati Confederali: Cgil, Cisl e Uil. Ed anche innumerevoli strutture organizzative dei contadini, degli artigiani e dei commercianti che, coralmente, diedero vita ad una intensa attività di partecipazione attiva, in tutti i campi. Lo stesso sistema elettorale proporzionale, che riuscì a garantire una reale rappresentanza sociale capillare, fu alla base di un miglioramento generale della qualità della vita di tutto il Popolo. E fu la democrazia rappresentativa che avvicinò di molto l’emancipazione dal bisogno. Ovviamente non fu una festa da ballo! Perché furono necessarie numerose e prolungate lotte di massa, per poter realizzare ogni avanzamento, Anche perché non mancarono diversi tentativi di far tornare indietro la cultura del lavoro e dei diritti civili conquistati.
Quella realtà, frutto di un confronto, a volte anche aspro, fu alla base di un grande riscatto anche nel Mezzogiorno d’Italia. Il confronto tra i due sistemi sociali, politici ed istituzionali, quello e questo di oggi non ha termini di paragone che reggano. Ad una fase di relativa emancipazione individuale e collettiva dal bisogno ne seguì un’altra di gravissimi cambiamenti, sia sul piano della politica che dalla degenerazione proprio di quei partiti che tanto avevano dato alla formazione dell’Italia moderna. E, con il passaggio dal proporzionale al maggioritario, si favorì la formazione dei partiti personali che si fecero portatori delle sfrenate politiche neoliberiste, con cui avviarono la demolizione dello stato sociale, della civiltà del lavoro e del diritto. Tutto ciò che aveva favorito e determinato un significativo avanzamento del popolo lavoratore e della cultura fu sottoposto a revisione negativa. A questo hanno fatto seguito ed ulteriore sviluppo negativo la costituzione del Pd e del Movimento 5 stelle che della personalizzazione della politica ne hanno fatto quasi una “religione” esclusiva e dogmatica. Renzi e Grillo hanno trovato terreno “fertile”. Il primo ha trasformato le primarie in un mezzo plebiscitario, con un unico protagonista assoluto. Grillo, al passo con i tempi, si è inventato un partito mediatico che, di tanto in tanto, sulle questioni fa un piccolissimo gioco di domande/quiz, spacciandole per “democrazia diretta”.
Salerno, lì 06 aprile 2017