Sulla formazione del consenso

di Nuccio Marotta, Segreteria Regionale PCI Toscana

Nell’elaborazione analitica che ha accompagnato il percorso verso il Congresso Costituente del Partito, fin dalla prima fase dell’Associazione, abbiamo evidenziato con grande consapevolezza come la martellante manipolazione ideologica delle coscienze  da parte del capitalismo vincitore, innanzitutto attraverso i media, abbia costituito nel tempo uno strumento formidabile nella costruzione del consenso, a scapito di una classe dei subalterni sconfitta, abbandonata e alla mercé dell’armamentario valoriale dell’avversario, a cui è  stata indotta ad aderire anche e soprattutto contro i propri interessi.

Basti pensare alla rassegnata accettazione della disarticolazione e della precarietà istituzionalizzata del lavoro, del dogma del sistema capitalista come unica possibilità lavorativa o ancora al continuo vagare sulla tematica migranti tra un  approccio esclusivamente umanitario e quello xenofobo razzista da guerra intestina, senza mai riuscire a ricondurla alla sua vera essenza all’interno del conflitto di classe.

Questa attività circuente è ben lungi dall’esaurirsi, al contrerio viene condotta  senza soluzione di continuità con sagacia e, bisogna ammetterlo, con subdola bravura.

Un capillare e camuffato stillicidio che sfugge ad una comprensione immediata e che inculca delle logiche interpretative dei fenomeni che finiscono per apparire come delle realtà insindacabili.

Nell’opera ambiziosa di radicamento del Partito e di ricostruzione di una coscienza di classe sarebbe un errore ritornare a declassare questo aspetto.

Perché oggi, per la riproposizione della questione comunista, per un rilancio ideologico e per la crescita del Partito utile a tale scopo (che è bene in ogni frangente ricordare come quello essenziale per la scommessa politica, caparbia, ma convinta, che abbiamo messo in campo), assume la stessa valenza delle campagne sull’Unione Europea, sulla Nato, sulla Sanità, sulla Scuola e sulla Rappresentanza, anzi ne dovrebbe costituire un preambolo.

Ritorna il nodo del controllo ideologico, la necessità di intercettare la costruzione di tale consenso, di studiare l’avversario di classe per sovvertire quella egemonia culturale che oggi esercita.

Abbiamo letto del cosiddetto “Young 7”, con protagonisti studenti provenienti da ogni parte d’Italia, voluto dal ministro dell’Istruzione per imitare i fasti del G7 a Taormina e magnificarne le sorti (e questo potrebbe bastare).

Per non parlare del copione denso di sgomento e costernazione per le vittime di atti  terroristici  (vittime sacrificali e inconsapevoli, come potrebbe capitare a ciascuno noi) messo puntualmente in scena, in modo alquanto farisaico, dagli stessi che detengono le maggiori responsabilità per l’acuirsi dei radicalismi e della loro capacità di fare proselitismo.

Fenomeno terroristico causato e impunemente alimentato dalle politiche di aggressione e di rapina strategicamente perseguite, dalla  disintegrazione materiale ed identitaria di quelle comunità regionali non assoggettate e che si pongono d’ostacolo agli interessi imperialistici, ma fatto percepire, in una vorticosa gara fra tutti i soggetti impegnati, come una catastrofe naturale che si abbatte senza preavviso sul virtuoso mondo occidentale, alla stregua di un terremoto.

Un mistificante scontro di civiltà  strumentalmente utile per chiamare a raccolta tutti in difesa del fortino assediato, che in traduzione simultanea vuol dire difesa di un sistema di produzione capitalista senza lacci e lacciuoli, fatto di disuguaglianza, libertà di sfruttamento a pieno regime e precarietà di vita a vita.

Ma c’è un caso oggi emblematico che dilaga sempre più, accuratamente incontrastato da chi gestisce il potere per conto altri, e che a prima vista potrebbe apparire come un faccenda di costume, ma su cui non è lecito distrarsi perché rischia di depositare il messaggio che sottintende irrimediabilmente e a lungo nel senso comune.

Mi riferisco alla richiesta di donazione volontaristica attraverso sms e altro ad Associazione o Istituzioni private per la ricerca scientifica contro ogni forma di malattia o come aiuto umanitario per debellare fame e mortalità infantile.

A prescindere da come ognuno soggettivamente si possa porre al cospetto del tema, è indubbio però che come comunisti ne dobbiamo fare una lettura di carattere politico, di cultura politica sociale ben precisa.

C’è un concetto di fondo che viene veicolato, inconsciamente o volutamente poco cambia: in materia non è più tempo di politica sociale, di  intervento pubblico, di stato sociale (obsoleto e frutto di un compromesso socialdemocratico novecentesco ormai inutile), ma quello di demandarne la soluzione alla sfera caritatevole, al buon cuore delle persone (che oltretutto presume stipendi altissimi vista l’enormità del numero di richieste), secondo un’angolazione degenerativa dell’aspetto solidaristico.

E lo si fa ancora una volta impunemente con un continuo ricatto morale alla sensibilità individuale. Tutti vediamo quotidianamente le vigliacche immagini di bambini denutriti con le mosche agli occhi o con gravi deformità, che imputano allo spettatore quasi la responsabilità di quello che sono costretti a vedere.

Credo, allora, che occorra rintuzzare questo lavorio sottotraccia di eterodirezione dei comportamenti individuali e collettivi, cercando di attrezzare il Partito con un gruppo di lavoro che si occupi di controinformazione, con azione combinata tra il Dipartimento formazione e cultura per la produzione degli elaborati e il Dipartimento comunicazione ed informazione per la loro diffusione, soprattutto attraverso i social, utilizzandoli così in un modo più politicamente proficuo e non per sterili e molto spesso dannosi battibecchi.

 

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