Manovra del governo: come sfruttare il lavoro a suon di bonus. Per poi licenziare tutti

di Francesco Valerio della Croce, Segretario nazionale FGCI

E’ inutile, ogni volta che si avvicinano le elezioni quelli che ci governano sentono il bisogno irresistibile di diventare generosi e magnanimi. Come lo fanno? A suon di bonus: nel 2014 furono gli 80 euro in più in busta paga (che poi hanno restituito circa 1 milione e mezzo di persone, diventate troppo povere per beneficiare del “bonus”), nel 2015 furono le decontribuzioni unite al nuovo contratto a tutele assenti (l’unica giusta definizione del JobsAct), nel 2016 c’è stata l’apoteosi delle promesse e dei bonus (500 euro ai diciotenni, ponte sullo stretto, e chi più ne ha più ne metta).

Si avvicinano le elezioni politiche e il governo Gentiloni che fa? Naturalmente le stesse cose che ha fatto Renzi. Del resto, i pupazzi non si muovono certo d’iniziativa propria.

“Tre anni di superbonus ai giovani disoccupati”, titolano i giornali. Sembra una di quelle pubblicità per convincere a comprare l’auto nuova. Invece è solo un spot per riproporre una truffa vecchia: decontribuzioni fino al 50%, questo propone il governo, “poi una riduzione dell’aliquota contributiva di quattro punti, dal 33 al 29%, due a favore del lavoratore, due per le imprese, e per sempre”, dice Enrico Morando. Che aggiunge: “Sarebbe il completamento naturale del Jobs act e del piano avviato dal governo Renzi per la riduzione della pressione fiscale su imprese e lavoratori, con il taglio dell’Irap, dell’Ires e gli 80 euro per i lavoratori dipendenti”.

Che il vice ministro dell’Economia possa dire fesserie non sorprende, vista la graziosa compagnia di governo che di certo non lo incentiva a fare meglio, ma che non sappia far di conto è proprio intollerabile: il tentativo di far passare queste misure come egualmente vantaggiose per lavoratori e imprese è, oltre che una bugia spudorata, l’opposto di quanto la realtà empirica dei dati ci sbatte sotto gli occhi. Il risultato delle politiche di decontribuzione e sgravio (a cui la letteratura scientifica attribuisce un moltiplicatore pari a 0,7. Cioè distruttivo di ricchezza investita) è stato il licenziamento di massa dei lavoratori assunti con gli incentivi dell’INPS (più di 400 mila licenziamenti in un colpo solo), il boom del lavoro nero legalizzato e sottopagato (grazia ai voucher, ieri falsamente aboliti, oggi di nuovo in circolazione e utili per continuare a sfruttare il lavoro dei giovani), livelli di retribuzioni nette tra i più bassi della UE, col risultato che in sei anni gli occupati italiani quasi vanificano la crescita di potere d’acquisto registrata in 12 anni. L’Italia è il Paese in cui contestualmente è esplosa la miseria e il livello della povertà assoluta (oltre 4 milioni e mezzo di persone) e relativa (14%) mentre sempre più si è concentrata la ricchezza nelle mani di pochi, all’aumento di disoccupazione, precarietà e diseguaglianze è corrisposto un aumento dei profitti privati (+1,1 punti registrati nel 2016 rispetto al 2015).

Se a questo quadro si aggiunge quanto già detto a proposito degli 80 euro e le citazioni morandiane (del ministro purtroppo, non del cantante)  su Ires e Irap si scopre che nel nostro Paese è avvenuto un esproprio di ricchezza e diritti contro il popolo e a tutto vantaggio delle imprese. Il valore di queste decontribuzioni è oggi stimato intorno ai 5 miliardi, quello delle precedenti era pari a 17 miliardi. Stiamo parlando di di 22 miliardi netti finiti nelle casse delle imprese (per non aggiungere troppe altre portate a questa “grande abbuffata” – alla sola lettura capace di provocare più ribrezzo delle scene del celebre film di Marco Ferreri – citiamo sottovoce gli 8 miliardi a Monte dei Paschi di Siena con cui si è,da un lato,  salvata la banca, ma al contempo,  ripagato i debiti dei misteriosi debitori inadempienti, grandi imprese i cui nomi sono stati segretati dal voto della maggioranza di governo). Questa è proprio lotta di classe. Odio di classe, perchè loro – i padroni – ci odiano, come scriveva Edoardo Sanguineti. E non potrebbe darsi altra spiegazione quando si leggono insieme, anche se a poche righe di distanza, le cifre sulla povertà in Italia e quelle dei soldi pubblici (soldi nostri) regalate alle imprese.

E’ comico il vice ministro che perentorio avverte: chi ha licenziato nei sei mesi precedenti o licenzierà nei sei mesi successivi alla stipulazione del nuovo contratto non beneficerà degli incentivi. Peccato che fossero le stesse parole dette nel – non troppo – lontano 2014. Il risultato lo conosciamo tutti ed è stato citato più sopra.

Queste politiche, liberiste, sono politiche pro cicliche. Sono politiche che confermano e seguono i fondamentali di politica economica che hanno portato all’aggravamento della crisi capitalistica mondiale. E’ evidente che servono invece politiche anticicliche.

Alla gioventù serve ben altro: a cominciare da riduzione di orario di lavoro ed età di lavoro, un intervento massiccio dello Stato in economia a finanziare investimenti capaci di generare moltiplicazione di ricchezza investita cominciando a dire forte e chiaro che la desertificazione del Paese deve finire, le svendite e le privatizzazioni in Italia sono state una regalia e sono costate molto più di quanto abbiano reso (se hanno mai reso). Bisogna cancellare la vergogna del Jobs Act, ridando piene tutele ai lavoratori contro i licenziamenti arbitrari.  Dire NO alle imposizioni di Bruzelles, del FMI e del governo tedesco.

Per farlo, bisogna dire NO a questa manovra, a partire da un autunno di mobilitazioni e di lotte.

 

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