Di Ufficio Stampa
“Je so’ pazzo” ha fatto girare un video che subito è stato condiviso invadendo la rete. Nel video si chiede di vederci, incontrarci per una “lista popolare” domani, sabato 18 novembre. Una grande assemblea da tenersi a Roma, al Teatro Italia, alle 11. Una scommessa che, siamo convinti, riuscirà.
Noi del PCI ci saremo.
Je so’ pazzo è, per chi non lo sapesse ancora, il centro sociale a cui fu impedito di intervenire all’assemblea del Brancaccio. E’ un centro sociale napoletano che lavora e si impegna sul territorio. Se andate sul loro profilo leggerete: “spazio liberato nel cuore di Napoli, un luogo per fare politica, attività sociali, sport, arte e cultura”.
Riportiamo il messaggio che accompagna il video e diciamo a tutte e tutti: ci vediamo domani alle 11 al Teatro Italia!
“Noi non facciamo i politici di mestiere, non abbiamo niente da perdere, quindi scusateci se parleremo schietto. Ci rivolgiamo a tutta l’Italia, a questo paese che sta scivolando nel risentimento, nell’imbroglio e nella violenza, nel cinismo e nella tristezza, e che però è pieno di gente degna, che resiste ogni giorno, che mantiene dei valori.
Ci chiediamo: perché non possiamo sognare? Perché noi giovani, donne, precari, lavoratori, disoccupati, emigrati ed immigrati, pensionati, perché noi che siamo la maggioranza di questo paese dobbiamo essere rassegnati, ingannati dalla politica, costretti ad astenerci o votare il meno peggio?
Perché dobbiamo emigrare, perché dobbiamo accettare di essere umiliati per un lavoro, perché dobbiamo farci venire l’ansia per far quadrare i conti della famiglia, perché ci dobbiamo nascondere se pensiamo cose diverse da quelle razziste e inumane urlate ogni giorno in TV? E perché se siamo donne dobbiamo accettare disuguaglianze ed umiliazioni ancora più gravi, molestie, violenza verbale e fisica?
Perché non possiamo sognare di migliorare tutti insieme la nostra condizione, di prenderci diritti e salari decenti, di poter vivere una vita collaborando con il prossimo?
Noi dopo aver subito dieci anni di crisi siamo stufi, non ce la facciamo più. Dopo anni, ed evidenti prove, abbiamo la piena consapevolezza che nessuna delle forze politiche attuali ci può rappresentare. Le loro differenze sono tutte un teatrino. Sembrano litigare ma poi in fondo sono tutti d’accordo, e nei fatti per noi non cambia niente. Anche perché non vivono le nostre condizioni.
Nessuna delle forze politiche dice: la gente ha fame, prendiamo i soldi dai ricchi che in questi anni se ne sono messi in tasca tanti, facciamo una vera patrimoniale, recuperiamo la grande evasione. Oppure: togliamo soldi alle spese militari e assumiamo giovani da mettere a lavoro per sistemare scuole, ospedali, territori, visto che abbiamo un paese che cade a pezzi. Aboliamo Jobs Act e contratti precari, lanciamo un programma di investimenti pubblici, disobbediamo a Fiscal Compact e ai tagli dei servizi…
Non lo dicono e quando pure un po’ lo dicono non lo possono fare, perché hanno tutti dei buoni rapporti da salvare, con le banche e con Confindustria. Per questo parlano, parlano. Solo noi non possiamo parlare mai. A noi ci hanno chiuso fuori dal teatrino. Ma se noi che siamo esclusi ci organizzassimo? Se saltassimo sul palco? È una cosa da pazzi, però, visto che nessuno ci rappresenta, rappresentiamoci direttamente!
Inutile aspettare che qualcuno ci venga a “salvare”. L’ultimo tentativo del genere è stato quello iniziato a giugno da Falcone e Montanari, sostenuti da diverse forze partitiche. Tentativo che ha ripetuto tutti gli schemi fallimentari della sinistra degli ultimi dieci anni, anzi peggio. È iniziato facendo parlare Gotor di MDP, cacciando dal teatro chi osava contestare D’Alema, ed è continuato in una marea di chiacchiere sterili, inseguendo Pisapia e vedendosi in segrete stanze, finché da quel teatro non sono stati cacciati proprio tutti. Perché rischiavano di decidere troppo. Rischiavano di fare una cosa troppo a sinistra.
Ecco, siamo stanchi di tutte le cose “un poco” a sinistra, di ambiguità, di mezze parole. Bisogna parlare chiaro, anche perché non c’è tempo. Dobbiamo organizzarci e usare questi mesi di campagna elettorale per parlare fra di noi, per parlare di noi, per gridare tutti insieme, per far esistere un messaggio di riscossa agli occhi di milioni di persone, perché noi esistiamo già, nei territori, nei quartieri popolari, nelle università e quotidianamente mettiamo a disposizione tempo ed energia per provare a costruire qualcosa di nuovo dal basso. E magari anche per divertirci, perché la situazione è tragica, ma lottare è bello, ti fa progettare, ti ridà un futuro, ti regala momenti di gioia
Ci hanno detto che per fare le cose ci vogliono raccomandazioni, soldi, mezzi. Ma ce l’hanno detto per scoraggiarci, o per farci andare con loro… Non è vero! Anche una persona da sola può fare la differenza, può salvare delle vite, può rendere il suo quartiere migliore. E mille persone pulite e determinate possono cambiare un paese.
Quindi iniziamo da qualche parte. E iniziamo per non smettere, per costruire qualcosa che vada da qui a cinque, a dieci anni. Ricominciamo a pensare di poter fare la storia! Perché non possiamo sognare, e realizzare un poco alla volta questo sogno?”