di Giorgio Langella, Comitato Centrale PCI
Nella campagna elettorale appena trascorsa si sono sentite promesse di ogni genere. Quello che è rimasto ai margini di uno scenario dominato da una propaganda molto prossima al “voto di scambio” (dal reddito di cittadinanza alla flat tax) è la situazione delle condizioni del lavoro e in particolare la sicurezza nei luoghi di lavoro. Solo qualche lista, silenziata dai media e risultata fortemente minoritaria (come Potere al Popolo!) ha tentato di dire qualcosa in merito. Mosche bianche nel silenzio generale.
Com’è abitudine, i morti nei luoghi di lavoro sono stati relegati all’oblio o alla “tragica fatalità” che li accompagna. Eppure sono oltre cento da inizio anno. E sono oltre 13.000 negli ultimi dieci anni se si considerano anche i decessi avvenuti con i mezzi di trasporto. Nella rimozione dall’orizzonte politico italiano di questa tragedia che pare senza fine, chi muore di lavoro, a causa di malattie professionali sono assolutamente invisibili. Inesistenti. Eppure sono centinaia, migliaia ogni anno. Un futuro drammatico per chi è costretto a subire condizioni di lavoro insufficienti e pericolose; un evidente “fastidio” per chi li considera, di fatto, un “prezzo” che è normale sostenere per garantire la competitività. Nel sistema capitalista trionfante, che sembra non avere più opposizione alcuna, i morti sul lavoro e, in particolare, quelli per malattia professionale sono diventati una conseguenza logica del modello di sviluppo. Una sorta di macrabro “investimento” frutto di un “abbattimento di costi” necessario per ottenere maggiori profitti e restare sul mercato.
Un esempio dell’indifferenza che avvolge il tema della sicurezza sul lavoro, è il “caso” (ma sarebbe doveroso usare il termine “massacro”) della Marlane-Marzotto. Sono ben oltre cento le lavoratrici e i lavoratori vittime di condizioni di lavoro che definire precarie diventa un triste eufemismo. Oltre cento persone su un totale di 1.050 che hanno lavorato nello stabilimento di Praia a Mare prima della sua chiusura definitiva.
Facciamoci alcune domande. Una percentuale di mortalità che supera il 10% può essere considerata, forse, normale? Ha, forse, una logica? Evidentemente si, per la stragrande maggioranza degli “addetti ai lavori” (padroni di imprese o di mezzi di informazionie che siano). Un’affermazione, questa si logica, se in tutti questi anni, della “questione Marlane” le associazioni padronali non hanno preso posizione e hanno detto poco o niente. E poi, ci sono state, forse, movimenti e lotte degne di questo nome da parte di grandi organizzazioni politiche e sociali per cercare, almeno, di ottenere verità e giustizia? E i “potenti” organi di informazione nazionali hanno scritto e detto qualcosa di più e di diverso da notizie di cronaca o da pseudo indagini iniziate e finite nel giro di qualche giorno? Non sembra. Solo pochi testardi ambientalisti, qualche comunista, alcuni che non sono riusciti a rimanere indifferenti, hanno mantenuto viva l’attenzione propria e di pochi altri, purtroppo troppo pochi, su quanto è avvenuto in quella “fabbrica dei veleni” calabrese che fu di proprietà di due “storiche industrie” tessili vicentine (Lanerossi prima e Marzotto poi).
Un silenzio soffocante che ha seguito e coperto questa dolorosa storia negli ultimi vent’anni e che la opprime ancora oggi.
Già, perché pochissimi sono a conoscenza che, all’inizio di febbraio di quest’anno, sono state pubblicate le motivazioni della sentenza del processo d’appello che vedeva imputati dirigenti e proprietari della Marlane, della Lanerossi, della Marzotto. Sentenza che aveva confermato quella di primo grado del dicembre 2014. Tutti assolti! Per non aver commesso il fatto, perché il fatto non sussiste, perché è passato troppo tempo dai fatti e tanti reati sono prescritti. Nessuno è stato dichiarato responsabile delle malattie e delle morti conseguenti. Di quella “epidemia” di diversi tipi di cancro (una parola, questa, diventata “politicamente scorretta”, ormai inusuale forse perché è più brutale e fa più paura del termine “tumore”) che ha colpito i poco più di mille che hanno lavorato in quella fabbrica calabrese. Persone, non numeri di una statistica, che si sono spente un poco alla volta, lentamente, nell’indifferenza generale. Morti che non hanno “fatto notizia”. Esistenze da dimenticare.
Ancora oggi è estremamente difficile reperire le informazioni su cosa sia realmente successo alla Marlane-Marzotto e sul perché di tante morti, ma se si leggono le motivazioni di quella sentenza assolutoria per tutti, dirigenti e imprenditori, qualche certezza cresce, dirompente. Perché nelle motivazioni appare chiaro e lampante che nella Marlane-Marzotto la causa di tante malattie e morti c’è ed è stata trovata. I livelli di inquinamento e tossicità, all’interno e all’esterno dello stabilimento, sono incredibilmente elevati. Esistono (sono stati chiaramente rilevati a distanza di decenni da quando, probabilmente è avvenuto l’inquinamento) e sono, ancora oggi, estremamente pericolosi per la salute e la vita di chiunque abbia lavorato in quel maledetto stabilimento o viva nelle sue vicinanze.
Di fronte a tragedie come quella della Marlane, dobbiamo decidere “che fare”.
Possiamo restare indifferenti. Sperare che “tanto qui, a noi, non succederà mai” (ma la questione dei Pfas e quanto accaduto alla Mitemi che, quando era di proprietà della Marzotto, si chiamava “Rimar” e i morti per mesotelioma nelle aziende vicentine della Marzotto che diedero origine a un’indagine, iniziata nel 2012 e della quale non si sa più nulla, smentiscono tale speranza). Possiamo aspettare fiduciosi che qualcuno risolva questi problemi. Possiamo sperare nella provvidenza o nella magnanimità del padrone. Possiamo subire le regole di un sistema spaventoso e decidere che, di fronte alla legge del profitto a ogni costo, siamo e restiamo impotenti. Che, quindi, è inutile fare qualcosa. Possiamo credere che si possano apportare solo alcuni aggiustamenti marginali a un sistema spietato e possiamo fidarci di qualche falsa promessa da campagna elettorale.
Oppure decidiamo di affrontare noi la questione. E, allora, ci ribelliamo, ci informiamo, cerchiamo di capire. Ci organizziamo e lottiamo per diventare protagonisti della costruzione di un futuro migliore.
Una scelta si impone, non si può restare nel mezzo. O l’indifferenza o la lotta. Non ci sono altre alternative né facili scorciatoie.
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I brani che seguono sono estratti dalle motivazioni della sentenza Marlane emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro il 25 settembre 2017 (assoluzione di tutti gli imputati), depositata in cancelleria in data 01 febbraio 2018. Il numero della pagina corrispondente o ogni citazione si riferisce alla parte intitolata “FATTO” delle motivazioni. Gli estratti sono stati scritti ricopiando l’originale senza apportare correzioni.
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Le condizioni di lavoro sono state spiegate molto bene, in dettaglio e con efficace realismo dal teste Luigi Pacchiano, operaio orditore, in servizio fino al 1996 (…) il colore veniva sciolto in una sorta di pozzi con chiusura in pressione, e quando si apriva il coperchio, fuoriusciva una nuvola di fumo (la famigerata “nebbia in Val Padana”). (…) L’asciugatura avveniva tramite la macchina detta <Lisciatrice>, proprio accanto al posto di lavoro di Pacchiano, che ha indicato come gli operai addetti a tale fase di lavorazione Francesco De Palma, Vincenzo Lammoglia, Tonino Maffei, Ignazio Ferrara, Peppino La Cava, risultano tutti deceduti. (…) La fabbrica in circa quarant’anni di attività, ha dato lavoro complessivamente ne tempo a 1050 operai (…) (pagg. 3-4)
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Nella relazione di consulenza tecnica d’ufficio, depositata presso il giudice del lavoro di Paola, dal Prof. Rosario Nicoletti e dall’ing. Raffaele Magnanimi (…) viene analizzata e descritta compiutamente e puntualmente tutta l’attività e le condizioni di lavoro della Marlane. Attraverso una serie di analisi su campio prelevati all’interno all’interno della fabbrica, è emerso l’utilizzo e la presenza di sostanze altamente nocive e cancerogene, come le ammine aromatiche usate per colorare i tessuti (Fenilendiammina, Anilina) e di metalli pesanti, presenti nelle malte cementizie, tra cui Cadmio, Piombo, Cromo, Nichel, Cobalto, Mercurio, dannosi per la salute. La relazione di consulenza distingue tra i periodi di attività della fabbrica, denotando grandi insufficienze nel periodo dal 1960 al 1997 (…), con un parziale, progressivo miglioramento nelle condizioni di lavoro nel periodo 1997-2004. L’indagine ha preso in esame l’ambiente interno, ma è significativa del tipo di sostanze utilzzate, e quindi fornisce riscontro al tipo di sostanza rinvenuto all’esterno dell’impianto. (pag.19). All’esterno della fabbrica, si sono concentrate le attenzioni della prof.ssa Rosanna De Rose e del dr. Giacomino Brancati, consulente della procura di Paola.
La d.ssa De Rose (…) ha quindi indicato che “dagli scassi [effettuati sotto la propria supervisione] quelle che era evidente …è che… il sottosuolo risultava rimosso”, ossia non si presentava più come in natura, risultando all’attenzione evidenti degli orizzonti particolarmente <rossastri>, anomali come colore e come granulometria del materiale, rispetto al normale orizzonte organico di superficie del terreno, che solitamente è di colore nerastro. (…) per esempio, nell’area K a sessanta centimetridi profondità (…) veniva rilevato un orizzonte di colore nero, e <untuoso al tatto>: si tratta di uno degli orizzonti che ha mostrato contenere alti tenori in alcuni metalli pesanti, quali vanadio e nichel, superiori alla norma. Nello scavo effettuato nell’area L veniva alla luce un vecchio canale di scolo dell’acqua utilizzato salla Marlane nei primi anni di attività, in cui era rimasto del sedimento, e il campione prelevato mostrava elevati tenori di cromo totale, arsenico e zinco, superiori alla norma (da tre a cinque volte maggiori dei limiti consentiti). Nell’area Z è stato trovato materiale nerastro, fibroso, con tenoti molto elevati in cromo totale (45.433 ppm rinvenuti, rispetto al limite di 800 ppm). Sempre nell’area Z, il campione Z2/2 mostra alte concentrazioni di cadmio. Nel campione W A/4 atli tenori di zinco. Ancora, nel campione A/5 tenori molto alti in cromo VI, sia pur con la precisazione che non si tratta in questo caso di un campione rilevato sul terreno ma all’interno di un bidone interrato, con presenza di materiale granulare di colore giallastro. Nel campione Z4/2 è stata rinvenuta una quantità elevata di ammine aromatiche, “una percentuale di colorante azoico enormemente elevata”, 646 grammi su chilogrammo di campione estratto dal terreno, a 170 centimetri di profondità. Secondo il parere espresso sall’esperta, trattandosi di coloranti azoici, e quindi di materiali usati dalle industrie, nell’attività di colorazione dei tessuti, il legame con la Marlane risulta quasi ovvio. A domanda se quando nella relazione la De Rosa parla di <disastro ecologico> si riferisce a quanto rilevato esattamente nell’area della Marlane, la consulente del PM non ha avuto dubbi: “è quello che possiamo dire” [pag. 40 trascrizioni]. (pagg. 19-20)
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Il dr. Giacomino Brancati, invaricato dal PM di effettuare lo studio successivo, di c.d. caratterizzazione, al fine di oggettivare un’attualità di rischio (…) ha concluso per l’esistenza di un indice di rischio )Hazard Index) ‘non accettabile’ per i bambini residenti, in relazione a diversi fattori contaminati, tra cui Arsenico, Cromo VI, Mercurio, Piombo, Nihel e Vanadio e non accettabile negli adulti residenti per Arsenico e Mercurio dal suolo superficiale e l’HI per Mercurcio dal suolo pofondo e dalla falda, oltre ad un rischio non accettabile per la risorsa idrica sotterranea, in relazione praticamente a quasi tutti i metalli pesanti rinvenuti.
In conclusione, il dr. Brancati rileva che il sollevamento di polveri dal suolo di superficie comporta il rischio che i cittadini, adulti e bambini che abitano nelle aree residenziali di Tortora Marina e di Praia a Mare, a ridosso dello stabilimento, siano esposti all’inalazione ed ingestione di polveri contaminate e quindi ad un rischio <non accettabile>, con pericolo del tutto immanente per la risorsa idrica sotterranea, che amplia ancor più l’area di rischio, al di fuori del perimetro dello stabilimento. (pag. 21)
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A ciò va aggiunta la riscontrata presenza in concentrazioni altissime nel suolo di cinque classi di metalli pesanti, per le loro caratteristiche non degradabili in forme non tossiche e nocivi per la salute umana: mercurio, piombo, cadmio, cromo, arsenico. (…) Si tratta in particolare di derivati dall’uso massiccio di bicromato di sodio, sostanza nella quale è presente il Cro,o allo stato di ossidazione VI, fatto dall’azienda Marlane al ritmo di 10-13 Kg al giorno (…) ciò spiega perché sul sito circostante l’area Marlane siano stati rinvenuti quantità eccessive di CrVI, sostanza altamente tossica e cancerogena.
Non ultimo, è da rilevare anche la riscontrata presenza di amianto, rinvenuto sotto forma di crisotilo nei campioni Z-2-3 e Z-4-4, come fibre di crocidolite nel campione I,4.
Non appaiono in grado di sovvertire il quadro appena descritto i contributi tecnici offerti dalle difese degli imputati (…) ch si limitano a individuare marginali aspetti di presunta incoerenza delle conclusioni cui sono giunti i consulenti del PM.
Dunque, la presenza massiva di contaminati nell’area antistante lo stabilimento Marlane appare conclamata e lo sversamento costante nel tempo – pur non potendone determinarsi quantità e qualità in relazione aspecifici periodi – di fattori altamenti inquinanti sul terreno circostante la fabbrica, ha contribuito a causare un diffuso inquinamento ambientale e una situazione di rischio significativo per la popolazione dell’area, soprattutto per la presenza di sostanze volatili, e di polveri sottili impregnate dai coloranti azoici e dai loro sottoprodotti, dai metalli assorbiti, dai policlorobifenili e dagli idrocarburi policiclici aromatici, trasportabili dal vento e in grado di depositarsi nelle vie respiratorie dell’uomo. La mancata rimozione dei residui di derivazione industriale della lavorazione, l’evidente loro mancato smaltimento e l’accumulo nel corso degli anni, porta a concludere che – soprattutto in riferimento ad epoche antecedenti, in cui l’impianto manifatturiero operava a pieno regime, e in cui minore era l’attenzione al rispetto dell’ambiente – l’indiscriminata operazione di smaltimento in loco, abbia determinato le condizioni per il verificarsi di un <disastro ambientale>, non solo per la presenza del colorante 2-metil-4-metossibenzennamina, ma per la presenza massiva di coloranti azoici, tra i quali la sostanza 2-metossi-4-[(2-meti-4-nitrofenil)diazenil]benzennamina, le varie ammine aromatiche, il cromo esavalente, l’amianto, i metalli pesanti, PBC e IPA, tutte sostanze di cui la nocività, tossicità e in alcuni casi la cancerogenicità sono ampiamente riconosciute dagli studi di settore e dalla comunità scientifica. (pagg. 23-24)
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Eppero’, pur dimostrata la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie ad oggetto dell’imputazione in questione, la soluzione del caso non conduce all’affermazione della responsabilità degli imputati Lomonaco, Rausse e Favrin, per carenza di prova sul versante dell’elemento psicologico.
Presenta dubbi insormontabili, infatti, la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. (pag. 24)
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La mancanza di prova – quasi l’impossibilità, sulla ‘storicità’ degli sversamenti che abbiano inciso profondamente sulle dimensioni del rischio ambientale, non consente di correlare il profilo di responsabilità personale con la specifica attività di inquinamento del terreno antistante la fabbrica Marlane, nei periodi di attività aziendale indicati. (pag. 26)
Tutti assolti! Nessuno è stato, quindi, considerato responsabile di quanto successo alla Marlane-Marzotto.
Ma l’inquinamento, il disastro ambientale è avvenuto, esiste e le vittime ci sono. Ricordiamole così come compaiono (deceduti e ammalati) nell’elenco contenuto nelle motivazioni della sentenza (pagg. 16-27 della prima parte). A queste si devono aggiungere altri 29 decessi (e 9 casi di malattia) che fanno parte di una nuova inchiesta e di un nuovo processo (in fase preliminare) denominato “Marlane-bis”, che ha avuto inizio nel 2017 e che vede imputati dirigenti e responsabili dello stabilimento calabrese e della proprietaria veneta (Vincenzo Benincasa, responsabile dello stabilimento Marlane-Marzotto con procura per la sicurezza da 1996 al 2001; Salvatore Cristallino responsabile del reparto tintoria dal 1989 al 2003; Ivo Comegna responsabile del reparto di finissaggio dal 1986 al 2004; Carlo Lomonaco responsabile dello stabilimento dal 2002 al 2003; Attilio Rausse responsabile di stabilimento dal 2003 al 2004; Silvano Storer amministratore delegato della Marzotto Spa dal 1997 al 2001; Antonio Favrin amministratore delegato e vicepresidente della Marzotto Spa dal 2001 al 2004).