di Fosco Giannini e Lucia Mango
L’attuale fase politica italiana, segnata dal controverso tentativo di costruzione del governo da parte di Lega e M5S, appare sul piano politico e sociale di non facile analisi. E’ compito dei comunisti, dunque (a partire dagli “strumenti” di analisi materialista di cui dispongono) cercare di mettere a fuoco una lettura di ciò che sta accadendo, che non si pieghi sulla mera contingenza e, soprattutto, non sia subordinata ai soli dati di superficie.
Tentiamo di inquadrare ciò che sta accadendo: in premessa va messa a fuoco la dura reazione dei poteri forti, del grande capitale italiano filo europeista e totalmente filo atlantico, della grande borghesia italiana e della quasi totalità dell’apparato mediatico italiano, all’ipotesi di un governo M5S-Lega. Dobbiamo essere chiari nel fotografare la realtà delle cose, lo scontro di classe di cui i comunisti sono consapevoli richiede totale senso di verità: il potere economico italiano teme un governo Di Maio-Salvini. E lo teme sino al punto di scatenare contro “i nuovi barbari” (così i grandi media italiani ed europei hanno definito leghisti e grillini) tutta la propria potenza di fuoco. Lo stesso Presidente Mattarella, in relazione alle prime e risolute risposte di Di Maio e Salvini ai burocrati dell’Ue, che in questi giorni hanno intimato a Lega e M5S di non cambiare le politiche italiane, volte all’accettazione acritica dei vincoli liberisti di Bruxelles e di Maastricht, ha tuonato (inopinatamente rispetto al proprio compito di “arbitro”) contro ogni possibile cambiamento di linea politica rispetto all’assunzione piena del precedente governo a guida PD sia delle linee di “sacrificio popolare” imposte dall’Ue, sia di quelle che ci subordinano totalmente all’imperialismo USA e alla NATO.
I comunisti devono chiedersi se il grande potere economico e politico italiano debba davvero temere che un eventuale governo M5S-Lega possa rompere seriamente con i vincoli dell’Ue e con la storica subordinazione dei governi italiani agli USA e alla NATO. Affermiamo chiaramente di no: molteplici sono già stati, infatti, i segnali volutamente disseminati e resi platealmente pubblici da grillini e leghisti, volti a riaffermare “come prioritaria” per l’Italia l’Alleanza Atlantica e“senza discussione” la partecipazione organica dell’Italia all’Ue.
Il punto è che sono state sufficienti alcune osservazioni critiche, alcuni “distinguo” di Salvini e Di Maio per seminare il panico nel campo del grande potere economico, politico e mediatico italiano. Salvini, nella misura in cui non ha accettato supinamente l’ultimo intervento armato degli USA in Siria, ribadendo la propria contrarietà alle sanzioni USA e Ue contro Putin (questioni certamente non di poco conto) e respingendo gli odierni diktat di Bruxelles; Di Maio pur sostenendo Salvini solamente nella risposta dura agli euro burocrati.
I comunisti sanno, al di là dei contraddittori aspetti contingenti, che l’impossibilità, da parte di Lega e M5S, di spingersi sino in fondo nella lotta contro l’imperialismo USA e la NATO e contro l’Ue, risiede nella loro stessa natura ideologica e politica, non conseguentemente antimperialista e anticapitalista, ma segnata da un populismo e da un qualunquismo che, se fino ad oggi ha pagato, alla lunga costringeranno leghisti e grillini (qualora continui a prevalere la linea Di Maio) a spostamenti ondivaghi, con un chiaro destino: la stabile ricollocazione nel campo liberista e capitalista. Se qualcuno, anche in certa sinistra “comunista”, crede di individuare nella Lega e nel M5S le nuove avanguardie della lotta antimperialista e contro l’Ue, crediamo che avrà ben presto un amaro risveglio.
Tuttavia è compito dei comunisti rimarcare il disagio, la paura che il potere economico e politico avverte di fronte ad un possibile governo M5S – Lega, un governo che, ancor prima di nascere, non fa dormire sonni tranquilli alla borghesia, che era avvezza alle politiche molto amiche del PD.
Poggia tutto su questa paura, per altro, il tentativo del PD di rilanciare e fare proprio “il governo del Presidente”, un governo che chiuderebbe l’ipotesi di alleanza M5S – Lega, cancellerebbe ogni vago timore di politiche non totalmente subordinate all’Ue e alla coppia USA-NATO e, con i voti di Berlusconi (a cui l’Ue chiede insistentemente di riscendere in campo, liberandosi dalle “forze populiste” e al quale i poteri forti italiani hanno riconsegnato, con lo stesso obiettivo politico che ha Bruxelles, la possibilità di ricandidarsi) rimetterebbe in campo un nuovo “ governo del Nazzareno”.
La seconda questione è proprio quella relativa al PD: pare davvero risibile il tentativo del “reggente” Martina di attaccare il costituendo, ipotetico governo M5S-Lega, definendolo tout court e sprezzantemente ‘di destra’ (categoria utilizzabile per altre questioni, come quella del razzismo sempre presente nella Lega e talvolta malcelato nel M5S), visti i propositi di cancellare la legge Fornero, “ la buona scuola”, il jobs-act e l’annunciata volontà di ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, di introdurre una forma di “reddito di cittadinanza” e di “rivedere i Trattati dell’Ue”.
Il PD battezza oggi un eventuale governo M5S-Lega come governo di destra attraverso una critica centrale: “Dove trovate le risorse per cancellare la legge Fornero e sostenere gli altri progetti? Siete degli avventuristi pericolosi e mettete in crisi il progetto stesso dell’Ue”. Ed è a partire da questa critica che, in modo paradossale e surreale, il PD definisce se stesso e la propria politica (subordinazione totale agli USA e alla NATO, Fornero, buona scuola, jobs-act e via liberalizzando e privatizzando) “di sinistra”.
Siamo alla commedia all’italiana!
I comunisti credono invece che, a partire dalla loro ambigua, e per molti aspetti ancora oscura, natura politica e sociale, il M5S e la Lega non troveranno la forza di reperire le necessarie risorse per rendere credibili le loro proposte. Risorse che potrebbero trovarsi solo attraverso una patrimoniale progressiva (mentre la flax-tax della Lega e di Berlusconi, accettata dal M5S, va in senso esattamente contrario: alleggerire in senso progressivo -chi più ha meno paga- la tassazione sulle ricchezze, nell’illusione tutta liberista di una liberalizzazione positiva, ai fini della crescita economica, del capitale), una lotta totale contro la grande e diffusa evasione fiscale da parte del capitale industriale e finanziario, una vera e propria guerra contro le mafie, una lotta di liberazione vera dall’Ue, dagli Usa e dalla NATO, il rilancio del ruolo dello Stato nell’economia, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il rafforzamento del salario reale anche attraverso il rilancio dello stato sociale: tutti obiettivi di lotta non contemplati dalla natura politica e ideologica promiscua che segna la Lega e una parte, in questo momento maggioritaria, del M5S.
Dal quadro politico in divenire, anche se apparentemente molto confuso, i comunisti devono trarre lezioni per il presente e per il futuro: è del tutto evidente che la crescita della Lega e del M5S si sia poggiata, essenzialmente, su di una critica violenta (fatta fuori dal governo!) alle politiche liberiste dell’Ue. Da quella critica, sia per il M5S che per la Lega, sono conseguite le critiche (giuste e coerenti) alle politiche subordinate del PD, divenuto nel tempo il vero Partito di Bruxelles, della BCE e del FMI in Italia. Da quelle critiche all’Ue sono conseguite le critiche della Lega alla legge Fornero, base materiale di una vasta organizzazione di consenso popolare per Salvini e sempre da essa sono conseguite le proposte di politica sociale del M5S che, attraverso il progetto del reddito di cittadinanza (già annacquato dalla Lega) ha conquistato la vastissima miseria popolare del sud d’Italia.
La lezione è chiara: la sinistra italiana ed europea (e in essa aree di comunisti che non hanno capito, per troppo ardore “spinelliano” verso “l’Europa unita”) ha consegnato alle destre e alle forze populiste e qualunquiste la critica all’Ue e per questo ha pagato un prezzo altissimo, avvicinandosi all’estinzione politica. Alla luce di ciò vi è un punto centrale che la realtà delle cose non può mettere in discussione: poiché il tipo di costruzione liberista e neoimperialista dell’Ue è il fatto storico che segna la fase e attorno al quale ogni altro processo si organizza e ne consegue, occorre che i comunisti divengano, strategicamente, il cardine attorno al quale ricostruire un fronte comunista, di sinistra di classe e di popolo, che abbia il compito di portare sino in fondo la lotta contro l’Ue (e contro l’imperialismo Usa e la NATO), che si distingua dalle destre populiste e con ogni probabilità parolaie, per il fatto che quella lotta dovrà essere, appunto, strategica, non volta solamente a piccole, quanto inessenziali, modifiche interne all’Ue (“modifiche dei Trattati”, come asseriscono, in senso forse involontariamente socialdemocratico, sia Salvini che Di Maio) e che quella lotta dovrà indicare uno sbocco finale, che non potrà che essere quello di rendere autonomi lo Stato, la politica e l’economia dell’Italia, autonomo il destino del popolo italiano, sino alla scelta di collocare il nostro Paese in orbite e relazioni internazionali diverse rispetto all’Ue, all’occidente capitalistico e agli USA.
E’ del tutto evidente che un partito comunista, che voglia svolgere questo ruolo di cardine di un fronte vasto di lotta (e il nostro PCI vuole svolgerlo), debba avere sempre presente il rapporto dialettico tra l’autonomia del pensiero e della prassi comunista e l’unità con le forze di lotta e di classe. Senza settarismi pseudo-identitari né cessioni letali di sovranità. Ma costruendo la lotta, l’unità e il nuovo orizzonte.
C’è una questione, infine, che la fase pone sotto i riflettori ma che non viene debitamente analizzata dai comunisti e dalle forze della sinistra di classe e che è, invece, questione centrale: il M5S ha ottenuto circa il 33% dei voti, con 11 milioni di elettori. Come dimostrano i flussi elettorali esso ha conquistato una parte rilevante di voti provenienti dal mondo operaio, del lavoro, della precarizzazione e del non lavoro; ha conquistato una parte vasta di voti provenienti dal PD, dalla sinistra moderata, dalla sinistra di classe e comunista. E ciò ci deve consigliare di guardare attentamente alla durissima lotta interna che già si è aperta nel M5S tra un’area già governativa e un’altra che con più coerenza si rifà al proprio elettorato di sinistra (ci dice niente la proposta che in questi giorni Grillo ha rilanciato, di fronte all’involuzione europeista e governista di Di Maio, di un referendum sull’euro?). Non dovremmo andare troppo lontano dal vero, asserendo che oggi, all’interno del 33% di voti ottenuti dal M5S, un 18% abbondante sia definibile come voto di sinistra e che almeno un 6-7% sia di sinistra di classe e comunista. Possiamo presumere anche che tra gli 11 milioni di cittadini e lavoratori che hanno sostenuto il M5S almeno 5/6 milioni provengano dal “popolo della sinistra” oltremodo deluso. E’ da questo punto di vista che la battaglia interna che si è aperta nel M5S non può lasciare indifferenti i comunisti e al sinistra di classe, soggetti che con questa battaglia devono interloquire (come devono interloquire, attraverso la proposta di un progetto forte che si basi su di un pensiero forte, con quel circa 30% di cittadini e lavoratori che non vanno più a votare) al fine della ricostruzione di un fronte ben più largo dell’attuale, ancora troppo fragile e invisibile alle masse, di comunisti, di sinistra di classe e di popolo.