di Giorgio Langella
Ieri, 13 giugno 2018, 7 persone sono morte per infortunio mentre lavoravano. Questa è l’informazione riportata dall’Osservatorio Indipendente di Bologna. È l’ennesima, dolorosa, notizia di una tragedia senza fine che evidenzia la pericolosità di un sistema spaventoso che mette il profitto sopra qualsiasi cosa.
I morti nei luoghi di lavoro da inizio anno sono 328. La regione che guida questa spaventosa classifica è il Veneto con 37 morti. La provincia con più lavoratori morti è Treviso (11), seguita da Verona (9), Venezia (6), Vicenza (5), Padova (3), Belluno (2), Rovigo (1).
In questa guerra tra profitto e lavoro non c’è tregua. Morire sul lavoro e di lavoro è diventato abituale, quasi “naturale”. “Fa notizia” solo quando succede qualcosa di particolare o quando “non se ne può fare a meno”. Dei sette lavoratori morti ieri, nella “grande informazione” nazionale si trova (e con difficoltà) la notizia solo di un decesso.
Oggi, chi vive del proprio lavoro subisce ritmi di lavoro stressanti in cambio di retribuzioni insufficienti. Ai lavoratori viene imposta la necessità di “essere competitivi” e di abbattere i costi (tra i quali quelli della sicurezza sono, evidentemente, considerati da “lorpadroni” non necessari). Con il ricatto occupazionale si “chiede” loro di adeguarsi e di lavorare di più. Con la scusa della crisi gli si impedisce di andare in pensione. Insieme a queste condizioni di sfruttamento, la riduzione degli investimenti e degli ispettori che si dovrebbero occupare di prevenzione e controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro, rendono i luoghi di lavoro sempre più pericolosi.
Il lavoro è ormai diventato una condanna.
Bisogna invertire la tendenza. Si ripristinino le regole previste dal “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81) e la piena responsabilità dei padroni in materia di sicurezza. Si agisca non solo sulla prevenzione ma anche sulla repressione di questi veri e propri crimini in maniera da evitare la prescrizione e l’impunità per i colpevoli. Si faccia in maniera che l’innovazione tecnologica, la robotica, l’informatica non creino disoccupazione ma permettano maggiore sicurezza nel lavoro e più tempo libero a parità di retribuzione.
Non sono richieste impossibili da realizzare. È solo pretendere il diritto inalienabile a un lavoro sicuro, garantito e giustamente retribuito così come previsprevisto dalla Costituzione.