Conclusioni di Mauro Alboresi, segretario nazionale del PCI, alla manifestazione nazionale “Per un’Europa sociale, dei popoli, dei lavoratori” tenutasi a Firenze il 16 Marzo 2019.
Desidero innanzitutto esprimere un sentito ringraziamento a coloro che in rappresentanza di diverse realtà hanno consentito, con il loro qualificato intervento, la riuscita di questa nostra manifestazione. Il tema affrontato, l’Europa, la sua realtà, le sue prospettive, si è da tempo imposto all’attenzione generale. Il titolo che abbiamo inteso dare a questa iniziativa “Per un Europa sociale, dei popoli, dei lavoratori” non è casuale, come non casuale è la sottolineatura “dall’Atlantico agli Urali”. Esplicitiamo in tal modo il nostro obbiettivo, sottolineiamo il nostro no al processo di Unione Europea che si è affermato, del quale l’Euro è il collante, per ciò che è, per ciò che si propone di essere. E’ con tale posizione che come Partito Comunista Italiano siamo da sempre in campo, ed abbiamo deciso di impegnarci nella raccolta delle firme necessarie per poterci presentare alle prossime elezioni europee. Siamo consapevoli delle difficoltà connesse a tale scelta, ma fermamente convinti della necessità di dire la nostra. Come sottolineato dalla relazione introduttiva, la posizione del PCI muove da un’articolata ed attenta analisi circa la realtà con la quale si è chiamati a misurarsi, dal bisogno di un’alternativa. Tale analisi, le proposte che ne discendono, sono largamente presenti nell’appello congiunto per le elezioni del Parlamento Europeo recentemente sottoscritto da tante forze comuniste, anticapitaliste, antineoliberali, di sinistra ed ecologiste europee. Un appello importante, al quale abbiamo convintamente aderito, che sottolinea un’altra Europa come possibile, necessaria, Un appello che opportunamente invita i lavoratori, i giovani, le donne, e in generale i popoli degli stati membri dell’UE a sostenere con il proprio voto le forze che sono impegnate in tale direzione, sottolineando la necessità di rafforzare il gruppo della sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica (GUE/NGL) al parlamento europeo, rimarcando l’azione comune che esso esprime nel rispetto delle differenze, percorsi , esperienze, peculiarità delle sue componenti. Si, anche per noi non possono esservi dubbi: occorre essere contro questa Unione Europea, occorre essere per un’altra Europa!
E’ un dato di fatto che il percorso che ha investito l’Unione Europea non ha portato all’Europa unita dei lavoratori e dei popoli, a quell’Europa sociale sognata dai suoi originari propugnatori, spesso citati a sproposito, strumentalizzati, bensì ad un’Europa preda della finanza. I trattati sui quali si regge, infatti, hanno creato una struttura sovra nazionale che consegna i poteri decisionali alla Commissione Europea, alla Banca Centrale Europea ( che segnatamente è un ente di diritto privato), che assieme al Fondo Monetario Internazionale costituiscono la cosiddetta Troika. Sappiamo bene che l’Unione Europea è andata configurandosi sempre più come un processo che sul piano interno è fondato sulla moneta unica, sul neoliberismo e sul mercantilismo tedesco ( centrato sulla deflazione salariale come leva per il recupero di competitività) mentre su quello esterno si basa sul crescente militarismo e su una politica estera interventista ed aggressiva subordinata alla NATO, agli USA. Sappiamo bene che il processo di costruzione della UE ha comportato sempre più la perdita di sovranità, la sottrazione di democrazia ai popoli ed ai legittimi parlamenti. E’ un dato di fatto che in conseguenza della natura, delle caratteristiche di tale processo, delle politiche affermatesi all’insegna del liberismo, dell’austerità, dei tecnocrati, al grido “Ce lo chiede l’Europa”, si è assistito nel tempo ad un gigantesco processo di privatizzazioni, alla distruzione delle capacità produttive dei paesi periferici, Italia in primis, ad un attacco senza precedenti a quel complesso di diritti, lavoro e welfare innanzitutto, che dell’Europa un tempo costituivano un tratto distintivo, in gran parte necessitato dall’alternativa rappresentata dal blocco socialista in essere. Tali scelte, tali politiche, gestite in sostanziale continuità dai governi di centrodestra e di centrosinistra, in Europa come in Italia, hanno progressivamente reso la gran parte della popolazione europea sempre più povera, insicura, sola, e la crisi finanziaria ed economica intervenuta dal 2008, acuendo tale situazione, ha determinato un crescente rifiuto da parte della stessa di questa Unione Europea ( tanti gli esempi possibili al riguardo) sancendone la crisi. Una crisi il cui sbocco è tutt’altro che definito. Siamo consapevoli del rischio concreto di un’uscita a destra dalla stessa, come testimoniano le crescenti manifestazioni nazionaliste, razziste che si registrano, riconducibili al volto più reazionario del capitalismo. Manifestazioni che trovano nella questione immigrazione, nella sua gestione, una plastica rappresentazione. Le destre reazionarie, infatti, speculando immoralmente su di essa, riorganizzano, in Europa come in Italia, consensi di massa attorno ad un’idea neofascista generale.
Tutti, a parole, riconoscono la crisi dell’Unione Europea, l’essere la stessa fortemente scossa, a rischio tenuta, ma l’orientamento generale che l’ispira non cambia. Si è discusso e si discute al più di qualche flessibilità sui vincoli al bilancio pubblico dei singoli paesi membri, a partire dall’Italia, ma assolutamente entro il quadro di compatibilità dato. Si dichiarano possibili aiuti finanziari temporanei purché ad essi corrispondano riforme strutturali coerenti con ciò. Una ricetta già nota, della quale ha fatto le spese il popolo greco. I segnali di ripresa dalla crisi economica che si registrano in Europa, limitati, contraddittori, disuguali, quand’anche confermati, non sono destinati ad invertire la situazione data, la politica in essere. Il punto è quindi quello del come rapportarsi all’Unione Europea, come affrontarne la crisi. E’ cresciuta tanto a livello di massa la convinzione che sulla base dei trattati che sorreggono l’Unione Europea non sussistano le condizioni per politiche alternative, nonché circa la loro incompatibilità con l’applicazione delle costituzioni degli stati membri. E’ ormai evidente ai più che tali trattati non possono essere modificati ( ancora al riguardo l’esperienza della Grecia, pur sorretta da un chiaro pronunciamento popolare). L’irriformabilità dell’Unione Europea è quindi molto di più di un dubbio. Noi siamo convinti che essa non sia riformabile. Noi siamo contro questa Unione Europea, siamo per un’altra Europa. Non ci convince la tesi “Serve più Europa”, ossia il rafforzamento, l’accelerazione del processo di integrazione in atto, il trasferimento di altri pezzi di sovranità nazionale alla struttura sovranazionale affermatasi, la costituzione di un esercito europeo, che sarebbe al servizio delle politiche imperialiste e repressive della UE. Per noi occorre mettere in campo un progetto di fuoriuscita dall’Unione Europea, dall’Euro ( l’una e l’altro sono inscindibili). Per noi comunisti nessuna chiusura nazionalista, questa la lasciamo alla destra, che come sottolineato è marcatamente presente in Europa, in Italia. La lasciamo alla Lega di Salvini, a Fratelli d’Italia. Evidenziamo che il governo Conte, la cui natura e contraddizioni ci sono note, ha cambiato, e di molto, il proprio profilo anti UE sottolineato in campagna elettorale, rassicurando la stessa circa le proprie politiche, la propria fedeltà ai trattati, alla NATO, consapevole che senza un allentamento della morsa di Bruxelles sul bilancio nazionale, sulla spesa pubblica, i margini per garantire quanto promesso sono alquanto esigui, e conseguentemente il suo consenso, la sua tenuta, a rischio. Per noi comunisti nessuna concessione al populismo, al quale attingono a piene mani Lega e Movimento 5 Stelle, che prescinde da un’analisi di classe, che non opera alcuna distinzione rispetto al potere, che tende ad azzerare la storia, leggendo il passato tutto in negativo ed a prospettare il futuro come inevitabilmente positivo, che si spinge sino a mettere in discussione la verità scientifica, e che consegnandosi al qualunquismo porta con sé il rischio concreto di una svolta autoritaria. Noi, il PCI, siamo per una cooperazione pan-europea tra stati sovrani, per lo sviluppo delle forze produttive dell’Italia, in cui si affermi un forte ruolo progressivo dello stato in economia, si sviluppi una forte lotta per affermare i diritti sociali e politici dei lavoratori, per respingere l’attacco alla democrazia ed alla Costituzione. Come sottolineiamo da tempo la difesa della sovranità nazionale va intesa essenzialmente nel quadro del perseguimento di un sistema economico e produttivo più giusto e più equo, in un quadro di solidarietà e cooperazione internazionale per la costruzione di azioni convergenti e lotte comuni con altri popoli e paesi in vista di un generale progresso sociale e civile. Pensiamo alla costruzione di nuove forme di cooperazione economica, politica e valutaria tra stati sovrani, a rapporti stretti tra tutte le forze della regione pan europea e mediterranea, che operino in alternativa a quella euro atlantica, che ripudino la guerra, si rendano autonomi dalla NATO e si aprano alla collaborazione con i BRICS. Nessuna confusione è possibile, quindi, fuori da un intento strumentale, tra le posizioni in campo, tra le stesse declinazioni di patria, di nazione, che può essere intesa in termini reazionari o progressivi, come la storia insegna. Il punto è, come evidenziava Lenin, se l’aspetto nazionale è un fattore di promozione o disgregazione degli interessi della classe lavoratrice. Siamo pienamente convinti, quindi, richiamandoci ancora una volta all’appello congiunto sottolineato in apertura, della necessita di unire la forze, di rafforzare le lotte per un’Europa di pace e cooperazione con tutti i popoli del mondo, per un’Europa del progresso economico, sociale ed ecologico sostenibile, per una Europa di libertà, democrazia, diritti sociali e civili, solidarietà. Agiamo di conseguenza nel nostro Paese, tenendo assieme una precisa dimensione ideale ed ideologica con una altrettanto precisa dimensione programmatica. Da qui, ad esempio, il nostro programma “Più Stato, meno mercato”, le campagne che ne abbiamo fatto discendere. Noi diciamo che occorre voltare pagina, che occorre rimettere al centro le persone, i loro bisogni, attuare politiche che rispondano agli interessi del popolo, non delle élite, che invertano la forbice delle diseguaglianze, mai così ampia. Noi vogliamo rimettere al centro un grande intervento pubblico in economia, che consenta allo Stato di essere presente in tutti i settori produttivi, in particolare in quelli più avanzati, con un conseguente ritorno di imprese di grandi dimensioni, imprescindibili per competere in settori strategici. Vogliamo un intervento pubblico che rimetta in moto il Paese attraverso uno sviluppo sostenibile, con investimenti adeguati in istruzione e ricerca, che punti alla qualificazione del lavoro, e che condizioni, anche con la leva fiscale, l’economia privata verso obbiettivi di sostenibilità ambientale. Per noi i settori industriali e dei servizi fondamentali, strategici, devono restare o tornare alla direzione pubblica. Ove necessario, lo diciamo con forza, devono essere nazionalizzati, o espropriati in base ai dettami costituzionali. Noi non siamo contro le grandi opere in quanto tali. Sappiamo che il nostro Paese, sopratutto il sud, palesa rilevanti deficit, ad esempio sulla comunicazione. Diciamo no alle grandi opere inutili e dannose, speculative. Abbiamo bisogno di altro, ad esempio di un nuovo piano di edilizia economica e popolare, agendo essenzialmente sul recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di rimettere in sicurezza scuole, ospedali, etc., di affrontare il drammatico problema del dissesto idrogeologico del territorio, della vulnerabilità sismica. Abbiamo bisogno di rimettere in campo un polo creditizio pubblico ( in Italia nessun istituto lo è, in Francia e Germania sono diversi) in grado di misurarsi con le esigenze che discendono da tale politica economica pubblica, di rispondere con logica altra da quella del mero profitto alle esigenze dell’artigianato, delle piccole imprese, ai bisogni dei cittadini. Abbiamo bisogno di rilanciare il sistema di welfare, di ribadire la centralità della previdenza pubblica, guardando anche e soprattutto alle nuove generazioni, di affermare una sanità pubblica, gratuita, di qualità, un sistema assistenziale all’altezza dei bisogni. Abbiamo bisogno di affermare un sistema dell’istruzione pubblica sempre più qualificato, sganciato dal progressivo asservimento alla logica di impresa che lo connota. Abbiamo bisogno di rimettere al centro il lavoro. Un lavoro che oggi largamente manca, come evidenziano i dati sulla disoccupazione, segnatamente quella giovanile, che è a rischio, come dimostrano i tanti casi di chiusura di imprese, di delocalizzazioni (emblematico il caso della Beckert illustratoci poc’anzi ) etc., Un lavoro che quando è presente è per tanta parte lontano dall’essere quel fattore di inclusione, di emancipazione sottolineato dalla Costituzione. Un lavoro per il quale e del quale si continua a morire, che viene posto in alternativa al diritto alla salute ( come testimonia la vicenda ILVA). Del precipitare della condizione lavorativa abbiamo avuto modo di dire in tante occasioni ( altro che la classe operaia va in paradiso, essa è precipitata all’inferno!) così come tante volte abbiamo avuto modo di dire cosa vogliamo affermare al riguardo. Ad esempio uno straordinario piano di assunzioni in tutti i settori pubblici dell’economia, a partire da scuola e sanità, la riscrittura del diritto del lavoro, a partire dalla reintroduzione e dall’estensione dell’articolo18, la riaffermazione del ruolo e della funzione della contrattazione collettiva nazionale, la legge sulla rappresentanza sindacale, l’affermazione di un salario minimo garantito a 10 euro l’ora netti, etc. E l’elenco potrebbe continuare…. Come tante volte abbiamo sottolineato le risorse per rispondere a tali esigenze ci sono, occorre andare a prenderle laddove si palesano, attraverso un’altra politica fiscale e tributaria, fortemente ancorata al dettato costituzionale, alla progressività ( altro che la flat tax, che è una politica di destra), alla lotta all’evasione ed all’elusione fiscale, che intervenga sui patrimoni, e così via. Un insieme di questioni, quelle elencate, in ordine alle quali ricerchiamo la massima unità d’azione, con l’insieme delle forze comuniste e della sinistra di alternativa presenti nel nostro Paese. Un insieme di questioni che per affermarsi necessitano della messa in discussione, della rottura della gabbia rappresentata dall’Unione Europa, dall’Euro, moneta senza stato. La nostra posizione è chiara: Europa non è Unione Europea! Ciò a cui puntiamo è la costruzione di un blocco sociale e politico che da posizioni progressiste, antifasciste, anticapitaliste si batta per la rottura dell’Unione Europea, per la fine dell’Euro e delle politiche liberiste, per la democrazia, il potere popolare, l’uguaglianza sociale. Per tutto ciò come PCI abbiamo deciso di essere in campo, ci proponiamo di raccogliere le firme per partecipare alle imminenti elezioni europee. Chiediamo una firma per iniziare, poi un voto per cambiare. Non ci facciamo illusioni, ma giochiamo questa partita sino in fondo, con il massimo impegno, mettedoci nelle condizioni di non doverci rimproverare nulla, perchè cambiare è possibile, si deve!