Tra rivolte colorate e riarmo nucleare, Russia e Cina nel mirino USA

di Francesco Valerio della Croce, segreteria nazionale Pci

Le immagini che vengono da Hong Kong, amplificate a reti televisive e sociali unificate dai media mainstream, non sono uno “scoop”: sono un nuovo capitolo delle tante rivolte/rivoluzioni colorate che, in questo caso, punta ad una provocazione pericolosa nei confronti della Cina, in un momento storico in cui essa e la sua politica godono di un prestigio e di una influenza importantissimi sul resto del mondo.

Ciò contro cui si scatenano le violente ed eterodirette proteste, è il legittimo e graduale ricongiungimento postcoloniale di Hong Kong alla Repubblica Popolare Cinese. La ricerca di una reazione “sproporzionata” è evidente -siamo, del resto, a poche settimane dalla propaganda anticinese dell’anniversario di Tienenman – come non è casuale l’ulteriore pressione che arriva direttamente da Washington contro Pechino, con l’annuncio dell’aggravio delle misure protezionistiche statunitensi che stanno inasprendo la guerra commerciale.

Un copione simile, è quello che sta andando in onda in Russia, dove la grancassa dell’informazione “qualificata” non ha alcuno scrupolo ad associare asserite manifestazioni libertarie al nome di un personaggio come Aleksei Navalny (“democratico made in Usa”, come definito da Manlio Dinucci), noto tanto per essere oppositore di Putin quanto un provocatore e nazionalista intollerante, slegato da qualsiasi forma di significativo consenso popolare.

Da non sottovalutarsi, in un quadro così delineato di serio tentativo di destabilizzazione del continente asiatico, è il nuovo focolaio di conflitto, apertosi tra Pakistan ed India, a seguito della decisione del presidente indiano di stralciare l’art. 370 della costituzione dell’India – quello relativo allo status particolare dello Stato del Kashmir  – condannata dall’insieme delle forze comuniste e della sinistra del Paese. Si riapre, in questo modo, un fronte di tensione di portata internazionale nel continente asiatico, in un’area, quella sul confine indiano-pakistano, che aveva già conosciuto tentativi di destabilizzazione attraverso l’opera terroristica dello Stato Islamico negli anni scorsi.

A fronte di una propaganda massmediatica ideologicamente subalterna all’imperialismo, la notizia dirompente del definitivo ritiro degli USA a guida Trump dal Trattato INF, sulle forze nucleari intermedie è terribilmente e colpevolmente taciuta all’opinione pubblica nazionale.

Relativamente agli effetti nefasti di una simile iniziativa unilaterale, si rimanda ad un recente scritto di Manlio Dinucci sull’argomento.

Ciò che è certo, è che una simile scelta rappresenta potenzialmente una concretissima minaccia sui destini dell’umanità, fondata esplicitamente sul rifiuto della risoluzione diplomatica delle grandi questioni mondiali del nostro tempo e degli strumenti del diritto internazionale. Esattamente l’opposto della politica cinese, oggi oggetto di violentissima reazione e campagna mediatica contraria. All’orizzonte, si profila un riarmo qualitativamente superiore, esplicitamente diretto alla istallazione di missili rivolti contro la Russia e la Cina, sancendo di fatto il passaggio ad una nuova fase caldissima dello scontro internazionale che gli Stati Uniti hanno da tempo aperto per la conservazione del proprio primato mondiale in molteplici scenari globali, non ultimo quello iraniano.

I pericoli di guerra su larga scala sono oggi più grandi di ieri. La battaglia per la denuncia delle responsabilità statunitensi e dell’Unione europea subalterna alle logiche atlantiche, per l’uscita del nostro Paese dal sistema di guerra della Nato, per un ruolo nuovo del nostro Paese – saldamente schierato dalla parte della cooperazione internazionale, del rispetto della sovranità degli Stati e dei popoli, della pace – oggi deve tornare centrale. Il nemico da combattere ha ancora lo stesso nome: imperialismo Usa e suoi palafrenieri.

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