di Francesco Valerio della Croce
Nelle scorse ore, si è consumato un vero e proprio colpo di stato in Bolivia, ratificato dall’ “invito” rivolto dai vertici militari (che hanno tradito la fedeltà alle istituzioni democratiche boliviane) al presidente legittimo Morales a dimettersi e dall’abbandono del Paese da parte del presidente. Abbiamo assistito a scene degne dei fatti del Cile degli anni Settanta del secolo scorso.
Contro questa inaudita violenza e operazione antidemocratica, i comunisti devono chiamare tutte le forze antimperialiste ed internazionaliste alla mobilitazione, in ogni città, in ogni territorio, da subito.
Ciò che è in corso in Bolivia è sicuramente un’iniziativa eversiva finalizzata alla riconquista del Paese, delle sue risorse naturali in primis, ma è anche la risposta feroce attuata dagli ormai noti agenti della destabilizzazione organizzati in gruppi parafascisti (che oggi costituiscono il braccio operativo di una parte delle opposizioni in Bolivia, quelle dell’area della “Mezza Luna”, distinte da altre anime, comunque legate in modo subalterno all’imperialismo, ma più moderate dal punto di vista delle modalità della lotta politica in questa fase), armati militarmente e sostenuti direttamente dall’imperialismo, alle sollevazione popolare contro le politiche e i governi liberisti delle settimane scorse, che hanno riaperto una prospettiva di riscossa nel continente. E’ la breccia attraverso cui l’imperialismo e i suoi agenti provano a disarticolare e rompere il quadro politico generale in America Latina e le forti relazioni inter statuali esistenti tra i governi progressisti e rivoluzionari (si veda, in questo senso, l’attacco di ieri all’ambasciata venezuelana a La Paz, che è sfociata nell’occupazione della sede fisica e della cattura del corpo diplomatico, fortunatamente scampato a un sicuro massacro), per imporre una restaurazione completa e ricondurre alla servile “normalità” un’ area continentale di cui gli USA non hanno mai accettato di “fare a meno”.
La posta in gioco nella vicenda boliviana e, in generale, nelle dinamiche controverse in atto in America Latina è molto più grande di quanto possa sembrare: è la concreta possibilità di esistenza di un mondo multipolare, che oltre a mettere in discussione il dominio unipolare statunitense nelle relazioni internazionali, possa concretamente archiviare il dominio unipolare Usa delle relazioni economiche e monetarie mondiale – attraverso la fine del ruolo egemonico del dollaro – e, per mezzo della più stretta collaborazione e cooperazione tra Paesi sovrani, con Russia e Cina in particolar modo, contenere la forza militare dell’imperialismo (che. già. oggi, con la vicenda del nuovo conflitto siriano, segna addirittura una fase di “ritirata” Usa in una parte di regione fondamentale per gli equilibri internazionali, come quella medio orientale, e un momento critico per l’insieme dell’Alleanza Atlantica, ricondotta addirittura recentemente dal presidente francese Macron ad una condizione di “morte cerebrale“).
Se l’imperialismo, per mezzo dei suoi gregari e palafrenieri locali organizzati in bande armate eversive e fasciste, sta giocando una partita decisiva nel continente latino americano, stessa posta in gioco riguarda anche le forze popolari, di classe e rivoluzionarie. Da tempo, questo insieme di forze, specialmente in America Latina, ha dovuto fare i conti con i limiti fragilissimi dell’esercizio di politiche orientate ad una transizione socialista o comunque fortemente antagonistiche alle logiche capitalistiche e di dominazione coloniale, nel quadro di rapporti istituzionali e formali propri di regimi democratici borghesi e liberali. Da tempo, pertanto, è in corso un dibattito sulla qualità del potere politico esercitato nei Paesi guidati da partiti e movimenti rivoluzionari, sulla conquista del potere, al fine di trasformare la classe lavoratrice in classe dominante al potere (si veda, a riguardo, la stimolante riflessione di Valter Pomar, docente di relazioni internazionali presso l’Università federale della ABC, pubblicata sull’ultimo numero della rivista “MarxVentuno” realtivamente ad un’analisi critica delle ragioni della ascesa di Bolsonaro in Brasile e della sconfitta delle sinistre) e, conseguentemente, sulla sua difesa. E’ un dibattito che si riaccende proprio in occasione del manifestarsi delle rivoluzioni colorate, tinte del sangue attraverso cui i gruppi politici e organizzati al soldo dell’imperialismo tentano ciclicamente, e sempre più frequentemente, di sovvertire la legalità del suffragio elettorale. L’ultima occasione probabilmente in cui tale dibattito si è necessariamente riproposto, è stata certamente quella rappresentata dai numerosi e recenti tentativi di destabilizzazione nel Venezuela bolivariano.
Non è un tema nuovo, nè per il movimento rivoluzionario latino americano, nè per quello mondiale. Mai come oggi, tuttavia, di fronte alla recrudescenza dell’imperialismo e dell’eversione, il movimento comunista e rivoluzionario nel suo complesso ha il dovere di porre al centro della propria riflessione il problema della difesa della transizione e del potere politico da avversari che, in ultima istanza, hanno ben dimostrato, nella storia di ieri e in quella di oggi, di poter fare tranquillamente almeno della legalità democratica per conservare e riconquistare il potere sottratto dalle forze popolari secondo le regole del suffragio democratico. In un contesto ed in una fase, ormai storica, difficilissima e di offensiva brutale da parte delle forze reazionarie ed imperiali, si pone come non mai la questione della trasformazione qualitativa, modernamente, del potere politico al fine della sua conservazione. Così come si impongono con forze scelte nette nel campo delle politiche delle alleanze tra Stati, in primo luogo tra quelli della regione – rafforzando il progetto della Nuestra America e della Patria Grande – tra i Paesi emergenti, autonomi dall’imperialismo, ed in modo ancor più significativo tra quelli socialisti (con la Cina, in primo luogo) od orientati alla transizione socialista, scevre da qualsiasi forma di coazione a ripetere, ma nelle forme oggi più adatte al contesto di un mondo attraversato, in quasi ogni suo continente, sia dalle antiche che dalle più moderne forme dell’imperialismo e dalla guerra, per ora, economica e commerciale.
Non si tratta di costituire un mero argine difensivo allo straripare delle iniziative imperialistiche, pure necessario, ma di rafforzare la cooperazione e l’unità di un fronte di Paesi che vogliano concretamente porre fine all’unipolarismo Usa ed alla sua recrudescenza, con l’obiettivo concreto di rappresentare in modo convergente non solo le istanze e l’autonomia di una parte dei Paesi del mondo, ma di proporre un destino condiviso – per usare le parole del presidente cinese Xi Jinping – all’umanità ed una nuova prospettiva alternativa al dominio economico, finanziario e militare dell’imperialismo.
A noi comunisti in Italia, in prima e necessaria istanza, il dovere immediato della militanza internazionalista e, per questo, della promozione di ogni iniziativa unitaria e chiaramente antimperialista, di denuncia e verità in merito a quanto è drammaticamente avvenuto ed è in corso in Bolivia.