Quello che ci dice la scorta assegnata a Liliana Segre, sopravvissuta all’olocausto
Patrizio Andreoli – Segreteria Nazionale Pci – Dipartimento Politiche dell’Organizzazione
L’assegnazione della scorta alla senatrice Liliana Segre, segnala non poco e merita riflettervi. Non poco sul terreno della tenuta democratica e della ferita condotta ai danni dei valori costitutivi il tessuto profondo su cui si fonda la nostra convivenza. Non poco sulla notte che sta vivendo il Paese. Quando una persona (allora appena bambina) scampata ad Auschwitz che su di sé e in sé in riassume il grumo più tragico ed il punto di precipitazione più violento ed oscuro della coscienza europea (compreso l’indicibile), abbisogna di una scorta armata per poter liberamente camminare e continuare a testimoniare nella società; significa che in pericolo e sotto schiaffo si trovano in via urgente i valori di noi tutti; l’intero patrimonio dell’antifascismo. Un universo civile -quest’ultimo-, un nucleo politico e morale scolpito nel marmo della memoria (o così abbiamo supposto a lungo con troppa sicurezza) col sacrificio di milioni. Col sacrificio dei caduti partigiani, dei perseguitati e trucidati, dei torturati, dei caduti nei campi d’internamento ed in quelli di sterminio. Un patrimonio di cui, tra aggressioni frontali grevi sempre più frequenti, falsificazioni e semplificazioni della storia, equiparazioni inaccettabili tra massacrati e massacratori si è inteso sminuire e poi corrompere via via il valore storico del patto civile fondativo la stagione repubblicana; colpendone -insieme- l’immenso valore morale che si è puntato a corrodere fino a procurare un’intima frattura nella coscienza, nel vissuto e nella percezione popolare. Significa che gli anticorpi democratici propri della sollevazione diffusa, d’istinto e spontanea che un tempo si assumeva quale reazione certa dinanzi ai rigurgiti di fascismo e nazismo sono da tempo sotto la soglia d’efficacia necessaria tanto da dover essere tutelati a vista, persino coi carabinieri, quasi ci trovassimo di fronte ad un vaccino sociale sempre più esausto e debole. Se vi è infatti una lezione propria della storia degli uomini, è che nessun patrimonio ideale, nessuna conquista può darsi una volta per tutte, o può considerarsi inossidabile e non aggredibile dinanzi al lento trasformarsi dei fatti, della percezione della realtà, del modificarsi profondo delle mentalità e dei rapporti sociali. Certo, è necessario vigilare, indignarsi, denunciare. Ribattere colpo su colpo; senza tregua. Ma non basta. Serve aggiornare gli antichi insegnamenti innervandoli di nuovi giudizi, esperienze e lotte, tali da farli avvertire ancora forza viva nel cammino degli uomini, e di nuovo conquista per la generazione presente. Significa, che nulla può e deve darsi per scontato ricordando, come ammoniva dolorosamente Primo levi dinanzi al disumano e all’assoluto negativo dell’olocausto, “che questo è stato. E’ accaduto e potrebbe riaccadere”. Ma non dei carabinieri (pur nello specifico opportunamente destinati) abbiamo bisogno, ma di una nuova leva antifascista, di una nuova stagione di mobilitazione e protagonismo popolare. Di un nuovo antifascismo militante, come da comunisti sosteniamo da tempo, capace di combattere il fascismo non solo nelle sue manifestazioni farsesche, volgari o tragiche più immediatamente riconoscibili, ma anche nel suo maturare oscuro all’ombra di nuove solitudini, paure sociali e dello smarrimento dei tempi. Quello che semina pratiche di violenza e barbarie culturale. Il fascismo e la cultura della sopraffazione di cui sono nutriti ed intrisi la pratica tragica dei femminicidi in nome della necessità di ristabilire ruoli sociali ed antropologici dati per naturali ed eterni (il dominio del maschio sulla donna), quello che brucia un povero addormentatosi tra i cartoni o bastona un giovane africano (la banalità del male e il timore del diverso), quello che impone ad una ragazza di colore di lasciare il suo posto in autobus perché non ha diritto di trovarsi e restare dov’è (discriminazione razziale), quello che distrugge librerie, cinema d’essai e sedi democratiche (in nome dell’affermasi di un lavacro di nuova purezza e identità nazionale), quello che sostiene e promuove l’ascesa dell’uomo d’ordine e l’attesa di un nuovo ordine tesi a cancellare differenze sessuali, etniche e culturali, quello che reclama il primario valore dell’azione assunta in nome e per conto del popolo asservendolo a nuovi pregiudizi, miserie morali e materiali; quello che -appunto- invia ed amplifica sui social centinaia di messaggi d’odio antiebraici alla senatrice Segre.
Quella scorta, meglio di molta retorica e di strumentalizzazioni indecenti ascoltate in questi giorni, ci dà plasticamente conto del dilagare di una nuova onda nera da tempo non più episodica e del proliferare sempre più aggressivo, scoperto e sfacciato, di un nuovo sentire, dire ed agire fascista. La scorta, diviene così la misura ed il contrappasso di un nuovo ed aggiornato ghetto morale e culturale a cui non i fascisti, mai i democratici paiono oggi costretti. Il segno di un antifascismo in difesa, mentre proprio i fascisti dovrebbero non godere di nessuna agibilità, ascolto e attenzione, tacendo sotto la sferza del disprezzo e del rigetto democratici. La nostra battaglia antifascista sia battaglia culturale (i valori, la memoria), sia sociale (la difesa dei diritti), sia politica (la difesa della Costituzione, del principio di eguaglianza e del valore dell’emancipazione). Questo, in fondo, è ciò che in sostanza intendiamo quando affermiamo che per noi comunisti “il vento fischia ancora” e la Resistenza continua. Servono un sussulto, un segno largo e forte di risposta. E’ tempo che risponda il mondo democratico in via unitaria e quello del lavoro. In un clima generale siffatto e di fronte a episodi come questo (e ai tanti e tanti che lo accompagnano), si convochino ovunque assemblee antifasciste, si chiamino alla mobilitazione attiva i lavoratori e le lavoratrici, foss’anche con un quarto d’ora di sciopero! Non vi è memoria delle lotte per il lavoro che non sia anche lotta per la difesa delle libertà fondamentali. Si chiami, insomma, l’Italia democratica ed antifascista a reagire. E’ tempo di rispondere col peso del nostro impegno in via diffusa, a voce e a testa alta. La notte non è infinita se riaccendiamo mille e mille coscienze invitandole ad andare oltre il torpore della semplice presa d’atto, dell’avvilimento e della resa. Il futuro non perdonerà i silenzi, le abdicazioni, i rinvii del nostro tempo. Per nessuno. D’altronde, se non ora quando? (10 novembre 2019)