COMUNICATO DEL DIPARTIMENTO POLITICHE ECONOMICHE E EUROPA DEL PCI
Mentre gli esponenti del governo italiano mantengono inalterata la priorità di una riapertura del negoziato con ArcelorMittal, continuando addirittura a disquisire sull’opportunità o meno di ripristinare il cosiddetto scudo penale a tutela della multinazionale franco-indiana, la Guardia di Finanza perquisisce le sedi milanese e tarantina di quest’ultima dando corpo ad un’inchiesta giudiziaria che indaga attorno a gravissime ipotesi di reato e che configura una consapevole strategia di acquisizione, demolizione e susseguente chiusura dell’Ilva. Si parla di prezzi gonfiati ai danni delle risorse aziendali, di intenzionale esaurimento del magazzino di materie prime del valore di 500 milioni di euro senza ulteriori integrazioni, di distruzione dei mezzi di produzione e di una gestione destinata a danneggiare in modo irreparabile gli impianti a tutto danno della produzione nazionale siderurgica.
Simili sviluppi non fanno che evidenziare gli esiti antipopolari – oltre che lesivi della sovranità nazionale – cui conduce la cultura liberista delle destre: il loro squallido chiasso contro chi “mette in fuga gli investitori stranieri” si rivela per quello che è, un’urlata propaganda al servizio di interessi padronali. Ma è anche incredibile che, alla luce di tutto ciò, il governo giallo/rosé persista nel dare credito a soggetti economici che operano per boicottare un settore strategico dell’economia del Paese, riducendone o azzerandone la produzione e distruggendo migliaia di posti di lavoro. D’altra parte anche il Piano B a cui si pensa in caso di fallimento della trattativa con ArcelorMittal, si annuncia assai deludente: si parla di un temporaneo intervento dello stato nell’attesa di individuare sul mercato internazionale un nuovo possibile acquirente.
Il Partito Comunista Italiano ribadisce che l’unica realistica soluzione per mantenere e rilanciare questo fondamentale presidio produttivo, riconvertendolo in vista di una sua completa compatibilità ambientale, non può che essere rappresentata da un adeguato investimento di risorse pubbliche, risorse che un soggetto privato non metterebbe mai a disposizione, e dalla nazionalizzazione del presidio stesso. Ancora una volta, con la suddetta vicenda, il detto “privato è bello” si palesa clamorosamente smentito.