Alcuni appunti sulle elezioni in Gran Bretagna

di Francesco Valerio della Croce, Segreteria nazionale Pci e Responsabile Esteri

Con una distanza di circa 3 milioni e mezzo di voti, i conservatori britannici superano e si affermano sui laburisti guidati da Jeremy Corbyn. Con 13.940.000 di voti conservatori contro i 10.292.000 laburisti, il partito guidato da Boris Johnson conquista la maggioranza parlamentare e 364 seggi per il suo partito. Le conseguenze politiche di tale risultato sono evidenti: la Gran Bretagna ha scelto di proseguire speditamente e senza ripensamenti sulla strada della Brexit, dell’uscita dall’Unione Europea anche senza un accordo politico bilaterale definito e mediato fino in fondo. Tutto ciò sarà già oggetto delle riunioni europee di questi giorni, a cominciare da quella del Consiglio europeo. E’ evidente che esce vincitore l’espressione di un movimento politico internazionale che risponde alle istanze primariamente di “protezione sociale” delle classi popolari con una politica lontana dai principi democratici tradizionali, critica nei confronti dell UE ma saldamente legata all’imperialismo USA e al perseguimento degli interessi delle classi dirigenti nazionali , non più disposte a perseguire i propri interessi nel quadro delle compatibilità UE e della fallimentare politica economiche e monetaria dell’Unione.

L’esito di questo voto è di grande preoccupazione: non solo un processo politico di tale rilevanza sarà gestito da un personaggio al vertice dei conservatori, caratterizzatosi per lo spregio dei valori democratici (ricordiamo il tentativo di bloccare per mesi il parlamento britannico) e per il suo saldo ancoraggio all’atlantismo, ma anche per la volontà neo egemonica globale espressa dai gruppi e dalle classi dirigenti britanniche oggi fermamente schierate con una Brexit made in Johnson.

In questo quadro, la sconfitta di Corbyn non è assolutamente imputabile alle posizioni “troppo di sinistra” del suo Labour, come sentiamo scioccamente commentare oggi da sedicenti analisti. Sono proprio quelle posizioni di rottura con il passato, del resto, che hanno costituito le ragioni fondamentali della sua ascesa politica e della costruzione di un movimento di massa attorno alla sua figura ed al suo programma. Il punto fondamentale è che quelle posizioni socialmente e politicamente avanzate, al punto da mettere in discussione gli assetti proprietari del modello di produzione, scontano uno scarto concreto sulla loro realizzazione, sull’assenza di una presa di posizione netta a favore della rottura con le rigidità UE e della conclusione del processo di recesso dai trattati UE secondo le parole d’ordine del progresso sociale e della democrazia. E’ questo oggi il grande limite, assieme ad una contestazione costante interna allo stesso Labour da parte delle componenti blairiane nostalgiche della terza via, che condiziona e pesa come un macigno sulla vita del movimento guidato da Corbyn. Siamo certi che dopo questo voto le contraddizioni in seno ai laburisti esploderanno e si aprirà un’altra fase politica per le sinistre britanniche. Non aver compiuto un’ operazione di chiarificazione e scelta politica univoca sulla questione della Brexit pone oggi oggettivamente il Labour in una posizione più debole a fronte di un processo di fuoriuscita dalla UE oramai dato per prossimo.

Questo dato elettorale fa riflettere ulteriormente a proposito dell’urgenza e della necessità di assunzione a sinistra di una consapevolezza sulle questione relativa all’incompatibilità tra un programma politico e sociale avanzato con il muro rappresentato dal liberismo UE. Per i comunisti e per una sinistra che voglia autenticamente assolvere la sua funzione d’organizzazione ed emancipazione delle classi popolari, si pone oggi più di ieri la questione della coniugazione della lotta sociale e per la trasformazione del modello sociale con quello per l’indipendenza e la sovranità nazionale dalla “Fortezza UE”.

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