“La nostra casa è in fiamme”: titolo incisivo, potente, quanto mai veritiero. Incendi devastanti in Amazzonia, California, Svezia, Italia, Siberia, Congo, Indonesia, Australia. La casa comune di tutti gli esseri viventi, come la definì papa Bergoglio nella sua enciclica Laudato sì, per un verso brucia e dove non brucia si allaga: si restringono e rischiano di essere sommerse dal mare non solo le isole del Pacifico e dell’oceano Indiano e buona parte del Bangladesh, ma anche Venezia, Londra e New York: la città più bella e caratteristica del mondo, la capitale imperiale dei secoli passati e la capitale imperiale attuale, anche se la sua supremazia economico/politica è contesa da Pechino.
Penso allora a terra, aria, acqua e fuoco, i quattro elementi costitutivi del mondo secondo i fisici filosofi della Grecia classica, quando – non a caso – fisica e filosofia erano la stessa disciplina – e constato che cosa ne hanno fatto gli umani nel corso della storia e soprattutto dalla fine dell’800 a oggi: li hanno resi soprattutto elementi di distruzione, malattia, morte. Ormai sono praticamente tutti concordi nel dire che l’epoca geologica attuale è quella dell’Antropocene, quella in cui i mutamenti indotti dalle attività umane sono stati talmente rilevanti da incidere sugli aspetti fisici del globo; accenna a questo termine anche Greta Thumberg nel suo libro. Ma questo termine non è corretto: non l’umanità nel suo complesso, non tutti gli esseri umani del pianeta sono responsabili della situazione attuale. Lo sono gli esseri umani che via via, a partire dalla fine del 400, hanno costruito il capitalismo come sistema economicopolitico di dominio sulla quasi totalità del genere umano e sulla natura. L’attuale epoca è più correttamente definibile Capitalocene, quella plasmata dal dominio capitalistico e dal suo modo di produzione.
Intanto qualche parola sul librò in sé, scritto da una giovanissima donna e da sua madre: è la storia di una famiglia che, di fronte a gravi difficoltà, non si chiude in sé ma si apre a voler conoscere i pericoli che minacciano la vita nella casa comune e a cercare le modalità di azione per farvi fronte, sostenendo la straordinaria intraprendenza della figlia Greta. E’ una bella storia, di cui voglio mettere in luce soprattutto un aspetto. Il padre, attore, sceglie di rinunciare alla propria carriera per favorire quella della moglie, cantante lirica molto famosa, e nello stesso tempo prendersi cura delle figlie con seri problemi di salute. Un uomo che sceglie la cura al posto della competizione. Un esempio che forse poteva venire solo da un Paese scandinavo, in cui la cultura di genere è assai più avanzata rispetto al resto dell’Europa e anni luce rispetto all’ Italia.
Desidero segnalare anche il libretto “Il clima siamo noi. Lettera a tutti”, di Anuna De Wever e Kyra Gantois, due giovani belghe emule di Greta che, molto positivamente, si sono attivate nel gennaio 2019 a Bruxelles iniziando in poche persone e velocemente moltiplicandosi.
Greta Thumberg, iniziando da sola a volantinare davanti al Parlamento di Stoccolma, ha coinvolto via via milioni di ragazze e ragazzi in tutto il mondo; è divenuta un simbolo, ottenendo una mobilitazione che probabilmente nessun adulto sarebbe stato capace di suscitare. Molti l’hanno attaccata, chiamandola ragazzetta, mocciosetta senza alcuna credibilità, e simili; non solo un individuo inqualificabile come il presidente del Brasile Bolsonaro, ma anche, ad es., un urbanista che scrive su un’ importante newslwetter milanese di impronta progressista. Non l’avrebbero fatto se si fosse trattato di un ragazzo. Hanno poi detto e scritto: chissà chi la manovra, chi c’è dietro di lei, chi le dà i soldi. C’è una ragazza comunque straordinaria, sostenuta da madre e padre intelligenti e benestanti, in collegamento stretto con le università di Uppsala e di Stoccolma per gli aspetti scientifici e, molto probabilmente, con qualche gruppo o ente che le fornisce i soldi per i viaggi, forse anche la Polaris, la sua casa editrice svedese. Questi attacchi sono un segnale in più che Greta Thumberg ha colpito nel segno e che dà fastidio.
Questo, purtroppo, non basta e l’abbiamo visto dal risultato fallimentare della Cop 25 a Madrid, dopo un anno di mobilitazione giovanile entusiasmante. L’efficacia del movimento planetario Fridays For Future dipenderà moltissimo da quanto saprà durare e il risultato complessivo dipenderà anche, se non soprattutto, da quanti e quali altri soggetti (partiti, sindacati, associazioni ambientaliste) si mobiliteranno nella stessa direzione e con la stessa determinazione.
I movimenti al loro sorgere sono sempre entusiasmanti, ma poi? Ad es., che fine ha fatto quella cosa splendida che è stato il movimento No Global nato a Seattle nel 1999? E dove è finita la gran massa dei ventenni e delle ventenni di allora? Perché i movimenti che vogliono cambiare il mondo si spengono a poco a poco? Perché non pensano a entrare nei partiti, a rinvigorirli, a rivitalizzarli con il loro slancio ? Perchè non si accorgono che la forma partito, in quanto struttura organizzativa, è l’unica che consente di durare nel tempo? E invece pare che siano i partiti in quanto tali l’avversario da tenere lontano come la peste; l’avversario da ignorare o a cui contrapporsi, a prescindere da ciò che i singoli partiti propongono e fanno, a prescindere dal fatto che i partiti non solo tutti uguali e che ci sono anche partiti anticapitalisti con idee chiarissime sul che fare. C’è nei movimenti per un verso un bisogno di purezza, di identità, di omogeneità e coesione interna, di sicurezza, e per l’altro verso una sensazione di onnipotenza che appanna la loro forza e che –tragicamente – appanna anche la realtà dell’enorme squilibrio esistente nei rapporti di forza tra i soggetti in campo, i movimenti e i potentati economico/finanziari. L’avversario non sono i partiti anticapitalisti o anche più genericamente quelli di sinistra, pur con i loro limiti, ma il capitalismo.
Si sente spesso dire: Il capitalismo è in crisi. Ma ciò che è in crisi è la sopravvivenza della vita sul pianeta, sono le condizioni di vita – addirittura tragiche –di decine di milioni di persone soprattutto in quello che chiamavamo Terzo Mondo e le condizioni di vita sempre più precarie anche nei cosiddetti Paesi ricchi, con disuguaglianze e violenze crescenti. Il capitalismo, invece, è sempre dominante, anche perché è capace di rinnovarsi e rigenerarsi in continuazione; il capitalismo si è giovato grandemente della fine dell’esperienza dell’URSS, che faceva da sponda ai movimenti operai dell’Occidente, e si è rivitalizzato, rafforzato ed esteso usando la cosiddetta rivoluzione informatica e la finanziarizzazione dell’economia.
Una cosa a mio parere deve essere chiara: l’azione più massiccia e urgente da intraprendere – e da subito -, con le energie e con le lotte di tutti e tutte, è quella per bloccare il riscaldamento climatico, per diminuire il consumo di energia e soprattutto per sostituire le fonti fossili con fonti di energia rinnovabili. Può essere utile anche la cosiddetta “green economy”, basata sulla ricerca della maggior efficienza in tutti i campi nell’uso delle risorse in generale e dell’energia in particolare, e può essere molto utile anche il fatto che gruppi finanziari comincino a investire nelle fonti rinnovabili, disinvestendo da quelle fossili, per accaparrarsi risparmiatori dotati di sensibilità ambientale.
Ma la soluzione degli attuali problemi riguardanti complessivamente territorio, ambiente, salute potrà essere data solo dal superamento del sistema capitalistico mediante la generalizzazione della lotta di classe. E’ emblematico il caso dell’Ilva di Taranto e delle migliaia di Ilva in tutto il pianeta, che seminano inquinamento e morte mentre producono profitto e merci, in parte inutili e spesso dannose.
Il capitalismo però è un sistema di dominio maschile, pensato e attuato da menti, corpi e ormoni maschili. Le società delle origini, matriarcali e spesso nomadi, erano società egualitarie, senza classi e senza alcuna oppressione di genere. E il tragico paradosso è che l’evoluzione delle forme di società, anche con i loro aspetti negativi, è stata avviata proprio da una conquista delle donne. Le donne delle origini, meno impegnate nella caccia rispetto agli uomini in quanto dedite alle attività di cura, prendendo spunto dalla vegetazione spontanea e provando e riprovando a usarla e a riprodurla, hanno progressivamente dato vita all’agricoltura. L’agricoltura ha consentito la formazione di surplus alimentari e di persone che potevano dedicarsi ad altro rispetto al lavoro manuale dei campi, e che si sono appropriate di questo surplus, costituendo gruppi dominanti. La costituzione di questi gruppi dominanti ha sostanzialmente coinciso con l’avvento del patriarcato.
Ora è sotto gli occhi di tutti e di tutte che cosa è diventato il nostro comune pianeta dopo millenni di patriarcato e secoli di capitalismo. E’ quanto mai urgente immettere nel governo del mondo ai vari livelli i desideri e i valori delle donne, le loro priorità, la loro forza, che va compiutamente risvegliata e attivata.
A questo proposito è anche utile far conoscere sempre più e meglio l’apporto che alcune donne in particolare hanno dato alla cura della vita sul pianeta, oltre ai milioni, ai miliardi di donne che nel tempo hanno coltivato e continuano a coltivare la terra. Tuttora la maggior parte delle persone che nel mondo coltivano la terra sono donne.
Inizio con ELLEN SWALLOW – RICHARDS, chimica statunitense, la prima donna che ottenne una laurea al Massachusetts Institute of Technology di Boston nel 1873, considerata fondatrice dell’ecologia e dell’ingegneria ambientale in quanto per prima compì un lavoro d’indagine sulle risorse idriche del suo Stato, produsse le prime tabelle di purezza dell’acqua e stabilì i primi standard di qualità delle acque. Scrisse 15 libri, oltre ad articoli e relazioni, si occupò anche della qualità dell’aria e della progettazione di edifici più sani e sicuri e diede vita all’”ecologia umana”, nuova disciplina composta da due branche principali: l’educazione ambientale e l’educazione alimentare.
Proseguo con RACHEL CARSON, biologa statunitense che nel 1962 pubblicò “Primavera silenziosa” , un corposo saggio che per la prima volta si occupava degli effetti dell’uso in agricoltura degli insetticidi chimici e delle altre sostanze inquinanti e cancerogene: effetti letali sugli esseri umani, sugli animali e sulle piante. A seguito di questo saggio, nel 1970 si ottenne la messa al bando del DDT. I grandi gruppi chimici la definirono “isterica”, oltre che esagerata…(la messa al bando del DDT non risolse il problema dei pesticidi: ne furono inventati altri, perché il capitalismo è un mostro dalle mille teste pensanti, e ancor oggi, ad esempio, stiamo lottando, anche qui a Milano, per la messa al bando del glifosato).
CAROLYN MERCHANT docente di storia, filosofia ed etica dell’ambiente all’Università della California a Berkeley, con il suo “La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica” del 1980 contestò la visione meccanicistica e deterministica della natura frutto del pensiero di Galilei, Newton e Cartesio, funzionale al capitalismo nascente. La rivoluzione scientifica del XXVII secolo aveva infatti sostituito la concezione della natura come organismo vivente con la natura come macchina, come risorsa da conoscere per controllarla e per sfruttarla. Partendo dal parallelismo officiato dal pensiero dominante tra la natura – vista come femmina e quindi imprevedibile e da tenere sotto controllo – e la donna – vista come natura e quindi come irrazionale, inaffidabile e comunque da controllare e utilizzare – Merchant ripercorre criticamente la storia del pensiero scientifico, contestando l’ideologia dell’oggettività e anche mettendo in luce importanti figure femminili cancellate dalla storia ufficiale, e percepite ai loro tempi come anomale e trasgressive. Propone quindi i valori necessari a ribaltare i concetti di dominio e di sfruttamento per riattivare un rapporto organico e collaborativo con la natura di cui, come esseri umani, facciamo parte.
GRO HARLEM BRUNDTLAND, la prima ministra norvegese che presiedette e condusse in porto la Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, la quale redasse il rapporto “Il futuro di noi tutti” , presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1987: rapporto assai ben documentato su tutte le minacce che incombevano e incombono tuttora, in misura sempre maggiore, sulla sopravvivenza del genere umano e dell’ambiente in cui vive, con le opportune raccomandazioni per affrontarle.
LAURA CONTI, medica, scienziata, scrittrice, comunista, analizzando la fuoriuscita della diossina dall’Icmesa di Seveso nel 1976, fondò l’ambientalismo scientifico in Italia. Nel 1980 fondò la Lega per l’Ambiente, l’attuale Legambiente. Il suo libro fondamentale, “Questo pianeta” del 1980, contesta le illusioni sulle illimitate capacità degli esseri umani di risolvere i problemi ambientali con la tecnologia e le illusioni sulla illimitata capacità della natura di rigenerarsi e si scaglia in particolare contro l’agricoltura industrializzata. Con la sua frase/manifesto “vogliamo un pianeta, non vogliamo una stella!” avvertiva che la permanenza della vita sulla terra era in pericolo e proponeva quattro programmi non rinunciabili: la lotta agli inquinamenti, il recupero e la stabilizzazione dei suoli, la difesa dei patrimoni genetici, il programma energetico.
WANGARI MAATHAI, keniana, biologa, attivissima alla Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e sviluppo nel 1972, per molti anni viceministra dell’Ambiente e fondatrice del Green Belt Movement, che dal 1977 in poi ha piantato più di 45 milioni di alberi nel suo Paese. Scrisse vari libri e ricevette numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui, nel 2004, il Premio Nobel per la Pace in base all’assunto che solo il ripristino e poi la cura dell’ambiente possono garantire alle popolazioni del mondo una vita dignitosa per tutti e tutte e, quindi, la pace.
Non può mancare un accenno a VANDANA SHIVA, anche se è quella oggi – qui da noi – maggiormente nota e tenuta in considerazione: fisica quantistica ed economista, dirige il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle risorse naturali di Dehra Dun in India. Ha scritto moltissimi saggi di estrema importanza. E’ considerata la teorica più nota di una nuova scienza: l’ecologia sociale.
Ci furono e ci sono tuttora moltissime altre: scienziate; dirigenti di organizzazioni internazionali; attiviste, soprattutto in India ( la signora di Narmada contro la diga sul fiume omonimo e le donne del movimento Cipki che abbracciavano gli alberi per non farli tagliare) e nel Centro e nel Sud America ( a difesa della terra, delle foreste e delle acque, contro l’apertura di nuove miniere e contro la privatizzazione dei sistemi idrici, talora assassinate a causa delle loro lotte per la vita di tutte e tutti); le ecofemministe, da Francoise d’Eaubonne in poi (“Il femminismo o la morte”, Parigi, 1974), secondo cui il patriarcato e il capitalismo sfruttano il corpo e la vita delle donne così come l’ambiente e la Terra.
Concludo con la constatazione che Angela Guidi Cingolani – la prima donna che prese la parola nel 1946 in un’ assemblea nazionale istituzionale in rappresentanza della metà femminile del popolo italiano– rivolse ai colleghi uomini: “peggio di quel che nel passato hanno saputo fare gli uomini, noi di certo non riusciremo mai a fare!”
Maria Carla Baroni
Biblioteca Chiesa Rossa, Milano, 19 dicembre 2019