Migranti, serve informazione per non creare nuovi ghetti

di Stojan Spetič, segratario regionale PCI Friuli Venezia giulia

L’ondata migratoria degli ultimi anni dai paesi in guerra del Medio oriente e dall’Africa ha certamente aumentato la percezione di insicurezza tra la gente, a prescindere dai dati ufficiali sui crimini realmente commessi. Va quindi considerata con attenzione, non per sminuirla, ma nemmeno per creare un1 allarmismo funzionale soltanto a speculazioni elettorali. Sin dall’inizio delle prime migrazioni il PCI elaborò, studiando altre esperienze europee, alcune proposte che ritengo attuali oggi più di ieri, partendo da ciò che il presidente del consiglio Paolo Gentiloni dice ora sulla necessità di collaborazione con le comunità di immigrati stabilitesi in Italia. Non servono nuovi lager, vere università di rabbia e violenza, oltre che di speculazione economica per chi li gestisce, ma un approccio completamente nuovo. Lo Stato dovrebbe in primo luogo assumere nelle forze dell’ordine un numero adeguato di agenti e funzionari appartenenti alle comunità di immigrati (arabi, afgani, nigeriani) per avere con loro un rapporto diretto e fiduciario, per aiutarli nell’ integrazione ordinata nella nostra realtà sociale e per una efficace repressione dei reati compiuti. In Olanda dicono: «Da noi l’ordine è garantito da Ahmed e Marijke». L’integrazione di chi si è stabilito da noi inizia quindi promuovendo nuovi rapporti con lo Stato e le sue istituzioni. Perciò i nuovi arrivati dovrebbero essere incentivati a partecipare a corsi pubblici di lingua e di educazione civica anche come condizione per la prosecuzione dei permessi di soggiorno e di lavoro. Gli episodi di criminalità vanno perseguiti severamente, allontanando le persone violente dal Paese, compatibilmente con gli accordi interstatali, rispettando ovviamente le norme della nostra Costituzione. La stigmatizzazione di intere etnie o comunità religiose è invece oltremodo dannosa perché suscita ingiustificabili fenomeni di chiusura ed omertà all’interno dei singoli gruppi. Ai fini di una maggiore coesione sociale va considerata la necessità di un efficace sistema di comunicazione. Radio, televisioni e web possono svolgere un ruolo importante di informazione ed apertura al diverso, straniero o italiano che sia. Brevi trasmissioni televisive o radiofoniche in arabo ed inglese, come da decenni esistono in molti paesi europei, arricchite da un sistema pubblico e partecipato di comunicazioni online che siano in grado di mettere in rete anche le diverse comunità di immigrati e le istituzioni italiane, comprese quelle locali, possono avere in ruolo determinante. Così questi nuovi futuri cittadini andrebbero edotti dei loro doveri e diritti, specie nel mondo del lavoro. Lo sfruttamento del “lavoro nero” va perseguito come crimine sociale. Alle comunità immigrate andrebbe garantita una maggiore partecipazione creando organismi elettivi di raccordo con il potere locale e regionale per renderle attive nelle scelte che le riguardano consolidando i rapporti di convivenza con la maggioranza della popolazione. Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto ciò costa, ma io sono convinto che ne valga la pena ed il prezzo di questi interventi serva a ricreare un’ atmosfera di sicurezza. Andrebbe applicata con severità la Legge Mancino contro l’intolleranza razziale e la xenofobia. Ce n’è troppa, specie nei social network. Isolando o stigmatizzando gli stranieri che vivono nelle nostre terre creiamo soltanto dei ghetti di emarginazione, rabbia e rancori, non pacifica integrazione. L’esperienza di alcuni paesi europei, come la Francia con le sue banlieu, dovrebbe esserci di monito. Quello che bisogna fare è eliminare con decisione ogni forma intollerabile di violenza. Ma ciò vale per tutte le violenze, in particolare contro le donne. E non riguardano solo gli stranieri, considerando il fenomeno tipicamente italiano del “femminicidio”. Le migrazioni esistono dall’alba dell’umanità e non si possono fermare. Le società “etnicamente pure” non esistono e sono irrealizzabili, specie dopo Hitler. E la politica dei muri e dei fili spinati alle frontiere penalizza in primo luogo chi in questi paesi ci vive da sempre perché si arretra sia culturalmente che dal punto di vista della civiltà. Vanno però gestite e la prima scelta in merito dovrebbe essere la cessazione di guerre di rapina economica che le hanno suscitate.

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