Se 30 mesi vi sembran pochi.

Ripubblichiamo l’intervento di Stefano Barbieri, PCI Piemonte, per www.marx21.it

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In questi ultimi giorni dell’estate 2016 si sono susseguiti una serie di dati statistici, elaborati da INPS, ISTAT e sindacati, che dovrebbero indurre qualunque persona in possesso di un minimo di buon senso ad una riflessione seria sulla reale condizione del nostro Paese dopo 30 mesi di Governo Renzi, celebrati, dallo stesso e dai suoi più ferventi sostenitori, a colpi di slogan, slide, tweet, post su Facebook e altri simili strumenti di propaganda.

Al fine di evitare il ripetersi di considerazioni che feci in passato, fin dall’inizio della discussione sulle riforme del mercato del lavoro, riprendo un ottimo articolo di Marta Fana, ricercatrice emigrata all’estero, pubblicato sul Manifesto e su altre testate giornalistiche, che dettaglia puntualmente gli effetti occupazionali del Jobs ACT:

“Sono impietosi gli ultimi dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps: si assiste a un crollo dei contratti a tempo indeterminato, bilanciato da un aumento dei contratti a termine e di un sempre più diffuso utilizzo dei voucher.

Nei primi sei mesi del 2016, le cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato superano le nuove assunzioni facendo registrare un saldo negativo di 120.253 unità, un dato di gran lunga inferiore ai numeri relativi allo stesso periodo del 2015, in cui i nuovi contratti netti a tempo indeterminato erano 131.502. Il dato dipende esclusivamente dalla riduzione delle assunzioni, -33% rispetto al 2015; le cessazioni quest’anno non superano quelle del primo semestre dell’anno appena trascorso.

Inoltre, fin qui, la dinamica complessiva del tempo indeterminato fa peggio anche del 2014, anno in cui il Jobs Act (Decreto Poletti a parte) e gli sgravi erano soltanto un annuncio. Nonostante la contrazione delle assunzioni a tempo indeterminato si distribuisca su tutte le categorie di lavoratori, coloro che ne risentono maggiormente sono le donne e i giovani fino ai 29 anni. Inoltre, dei nuovi contratti a tempo indeterminato, solo il 57,6% è a tempo pieno (era il 59,3% nel 2015). Dal punto di vista qualitativo, è il commercio a trainare le assunzioni, lo stesso che chiede e impone con la contrattazione aziendale condizioni peggiorative per i lavoratori.

Rallentano anche le trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, -37% rispetto al 2015, anch’esse inferiori rispetto ai valori del 2014. È questo uno dei dati più eclatanti che il rapporto Inps fa emergere: l’effetto di stabilizzazione dei precari con contratti a termine una volta finiti gli sgravi si è interrotto. 

Qui, il ruolo del Jobs Act emerge solo nei mesi di marzo e aprile 2015. Ne è ulteriore prova l’andamento dei contratti di apprendistato che nel primo semestre di quest’anno si mostra costantemente crescente, contrariamente a quanto avvenuto un anno fa. Di nuovo, l’interpretazione più immediata e forse plausibile va rintracciata nella legge di stabilità 2015 che escludeva l’apprendistato dagli sgravi, facendone quindi venir meno il suo carattere di contratto più vantaggioso in termini di costi. Ora che gli sgravi sugli altri contratti sono diminuiti, le aziende trovano conveniente usare l’apprendistato come forma di contratto di inserimento verso una posizione formalmente a tempo indeterminato.

Quel che rimane quindi è il lavoro precario, contratti a termine e voucher. I primi aumentano del 24% nel confronto con il 2015, dato trainato da un netto calo delle cessazioni, mentre le assunzioni aumentano di un esiguo 0,6%. Anche in questo caso emerge il ruolo che gli sgravi contributivi del 2015 hanno giocato sulla dinamica contrattuale: nel 2015 le cessazioni di rapporti a termine erano funzionali alle trasformazioni che avrebbero beneficiato della decontribuzione.

Infine, il dato sui voucher, quello più allarmante: tra gennaio e giugno di quest’anno ne sono stati venduti 69.899.824, in aumento del 40% rispetto a un anno fa e del 145% rispetto al 2014. Un dato che si commenta da sé ed esprime la deriva del mondo del lavoro italiano, sempre più usa e getta, strappato alla sua funzione collettiva e democratica. In queste condizioni, non dovrebbe stupire la stagnazione dell’economia italiana, così come non può trovare altra spiegazione il dato della povertà dei giovani italiani, la categoria che più tra tutte subisce lo sfruttamento a mezzo di voucher, sempre più imbrigliati da una vita non più precaria ma ormai occasionale e accessoria.”

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Alcune ulteriori riflessioni: questo capolavoro di riforma, che non ha portato un solo nuovo posto di lavoro in più, è costato allo Stato tra i 22.6 e i 14 miliardi di euro, 11 in più di quanto previsto dal governo qualora i contratti attivati nel triennio durino 36 mesi.

Una sventola economica di tutto rispetto, di cui hanno goduto esclusivamente le imprese, in aggiunta alla cancellazione “per legge” di una serie di diritti da parte dei lavoratori, tra cui spicca la cancellazione dell’Art. 18 dello Statuto che regolamentava il licenziamento senza giusta causa, senza dimenticare la normativa riguardante il demansionamento e altro ancora.

Insomma: puoi essere licenziato o demansionato in qualunque momento, vederti ridurre lo stipendio, la classe padronale ha incassato una barca di soldi che ha pagato l’intera collettività e gli occupati sono meno di prima del Jobs Act.

Inoltre, dai dati ISTAT: diminuiscono contemporaneamente il tasso di occupazione e di attività, mentre aumenta la disoccupazione giovanile dal 37,3 al 39,2 %.

Il calo dei 62mila occupati è trainato principalmente dal calo di lavoratori indipendenti, mentre l’occupazione dipendente resiste grazie agli occupati a termine: più 10 mila nuovi occupati a fronte di una riduzione degli occupati a tempo indeterminato di 5.000 unità.

Su base mensile, la quota di occupati a termine ritorna quasi ai livelli massimi (16,5% del totale dell’occupazione dipendente), raggiunti in agosto 2015 (16,7%), prima della corsa agli sgravi dell’ultimo semestre dello scorso anno, il 2015.

Dal punto di vista di genere, le condizioni occupazionali peggiorano soprattutto per le donne: ci sono 51.000 occupate in meno rispetto al mese di giugno, mentre aumentano, nello stesso mese, coloro che una volta disoccupate non cercano lavoro (-52.000).

Dal punto di vista anagrafico: gli occupati aumentano solo nella categoria sopra i 50 anni, con buona pace della riforma Fornero che, a detta del Governo, sarebbe stata superata dal Jobs Act e dal progetto Garanzia Giovani, miseramente fallito a pochi mesi dalla sua approvazione.

Aggiungo: L’Istat conferma la crescita zero dell’economia italiana. Nel secondo trimestre del 2016 il PIL, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente.

Cala in maniera preoccupante l’industria (-0,6%) così come le attività finanziare e assicurative. i consumi nazionali sono stazionari in termini congiunturali, sintesi di un aumento dello 0,1% dei consumi delle famiglie e di un calo dello 0,3% della spesa della pubblica amministrazione, mentre gli investimenti fissi lordi hanno registrato una flessione dello 0,3%. Le importazioni sono aumentate dell’1,5% e le esportazioni dell’1,9%.

La media dell’Eurozona è stata di un +0,3% rispetto al trimestre precedente e dell’1,6% nel confronto con lo stesso trimestre del 2015 (Germania +0.4, Regno Unito +0.6, alla faccia della “tragedia” della Brexit!)

Questi sono i dati di fatto, il resto delle chiacchere sono propaganda e stanno a zero, come il nostro PIL.

viva la costituzione

In ultimo: in questi 30 mesi di Governo, Renzi ed il PD hanno brillato per un’altra serie di splendide proposte;

– la riforma della scuola, uno scempio che consegna ai presidi la chiamata diretta a chi più gli aggrada e ai docenti passati in concorso, il trasferimento ad una scuola lontana centinaia di km. Decidendo di reclutare personale senza requisiti e non collocabile, si lascia fuori dal piano assunzioni tanto docenti che avevano titoli e servizio richiesti dalla sentenza della corte europea, tanto i docenti necessari a coprire dei posti che quindi sono rimasti vacanti in attesa del successivo concorso-truffa, contribuendo a rendere il balletto dei supplenti quest’anno più forsennato che mai. Il cambio improvviso e pasticciato delle regole del gioco sconvolge le vite di migliaia di persone: infatti le graduatorie da provinciali improvvisamente diventano nazionali, i docenti neo-assunti meglio piazzati, grazie ad un algoritmo non trasparente, vengono sbattuti nei posti più disparati, mentre i docenti con meno punteggio prestano servizio vicino casa.

– proposta di riforma delle pensioni, modello “dai lavori usuranti all’usura sulle pensioni”; il governo non modifica la legge Fornero e non risolve i problemi che ha creato, pur ammettendo che sono enormi e che stanno creando battaglioni di disoccupati anziani (quindi non ricollocabili). In una parola: nuovi poveri. Il governo regala alle banche l’equivalente di un mutuo per ogni persona che si ritira prima dal lavoro (2 o 3 anni prima) o che viene espulsa dal mercato del lavoro (o passi attraverso loro, quindi, o fai il nuovo povero). L’Inps, garantendo la pensione, garantisce le banche. Le banche ottengono un mare di contratti, ma non rischiano niente perché sono garantite dall’Inps (cioè dai nostri soldi) per il capitale, e dalle assicurazioni (detratte dalle future pensioni) per il rischio morte. Il prestito lo fanno le banche ai lavoratori, che poi lo devono restituire. Pagando fino alla fine dei loro giorni un tasso fino al 15%. La pensione anticipata, in questo modo diventa un mutuo vita. Oppure, se volete, un prestito fatto con i tuoi stessi soldi. Robe da matti..

Chiedo: dopo questi 30 mesi di Governo, dopo quanto fatto, a costoro possiamo pensare davvero di lasciare assestare l’ultimo colpo per la definitiva cancellazione degli architravi della nostra democrazia, nata dalla Resistenza antifascista e stampata, nella sua identità, negli articoli della Costituzione Italiana, che verrà stravolta se non vince il NO al Referendum di Novembre?

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