di Antonio Frattasi, segretario regionale PCI Campania
Mercoledì 19 ottobre si è svolta a Napoli un’assemblea pubblica sulla Nato, organizzata dalla Federazione napoletana del PCI assieme al Dipartimento Esteri. L’iniziativa, che si è tenuta in un albergo cittadino a pochi passi dalla Stazione Centrale, ha visto una buona ed attenta partecipazione di militanti, di cittadini, di intellettuali.
Il compagno Salvatore Galiero, neosegretario provinciale, dopo aver rivolto un breve saluto ai presenti e ringraziato gli ospiti, ha introdotto i lavori illustrando sinteticamente le ragioni che hanno spinto la Federazione napoletana ad organizzare un momento di importante riflessione e di dibattito su uno dei temi centrali dell’analisi dei comunisti e della loro azione politica: l’uscita dalla Nato e la lotta per affermare i valori della pace e della convivenza tra i popoli.
Sia Galiero, sia la responsabile esteri della segreteria provinciale, compagna Rosaria Galiero (che ha svolto la relazione iniziale) hanno posto l’accento sulla gravità degli scenari internazionali, sui venti di guerra che attraversano il mondo intero seminando ovunque morte, odio, terrore, distruzione di territori e di città. Entrambi hanno elencato con precisione quanto l’adesione alla Nato costi ai cittadini italiani, a quanto ammonti lo spreco infinito di cospicue risorse che potrebbero essere utilmente impiegate in settori fondamentali della vita civile e sociale del Paese (dal lavoro all’economia, dalla tutela della salute alla salvaguardia dell’ambiente del territorio) e che invece sono dirottate verso il sostegno ad intollerabili e crescenti spese militari. Naturalmente, le politiche governative tese a incrementare il livello degli investimenti nella produzione bellica ed il lievitante costo della partecipazione italiana all’ Alleanza atlantica incontrano il favore degli azionisti delle industrie attive nel ramo. Più il quadro internazionale assume tinte fosche, più crescono le tensioni, più diventano ingenti i margini di profitto per quei padroni del vapore che lucrano sull’inasprirsi dei conflitti. L’inestricabile groviglio di interessi economici che lega l’industria bellica italiana agli apparati militari dell’alleanza rappresenta, nel contempo, un oggettivo ostacolo a qualsiasi seria politica di pace ed un pesante limite all’espansione della democrazia nel nostro Paese. La smisurata crescita delle spese belliche costituisce, infatti, un terribile vulnus inferto all’esercizio del confronto democratico. L’antico e scellerato patto contratto tra alcune aziende italiane operanti nel settore degli armamenti ed i circoli neoatlantici ha rappresentato storicamente uno dei punti di forza del capitalismo nostrano più becero, sebbene gran parte del mondo dell’informazione abbia sempre cercato di occultare la trama dei loro inconfessabili rapporti.
Infatti, sin da quando furono installate basi dell’alleanza sul territorio della penisola, si affermò e consolidò una linea di torbida ed oggettiva convergenza tra gli interessi del capitalismo italiano (anche di imprese pubbliche) e ambienti militari Nato. Oggi la cointeressenza ha finito con l’assumere dimensioni mai prima raggiunte, che hanno determinato e continuano a determinare forti condizionamenti alle prospettive di uno sviluppo economico fondato su scelte e priorità nettamente alternative a quelle tristemente dominanti.
E’ stato ripetutamente sottolineato, dalla compagna e dal compagno che hanno introdotto i lavori ed anche in tutti gli interventi successivi, quanto e in quale modo, a partire dalla caduta del Muro di Berlino e dal crollo del campo socialista, l’articolo 11 della Costituzione del ’48 sia stato sfacciatamente aggirato dai governi che si sono succeduti, vergognosamente piegatisi alle ragioni degli Stati uniti, della Nato e dell’imperialismo.
Dopo l’11 settembre questo processo di totale subordinazione- in parte attribuibile allo storico atteggiamento servile delle classi dirigenti del Paese(lo statista Vittorio Emanuele Orlando, in un memorabile intervento tenuto all’ Assemblea Costituente sulla ratifica del trattato di pace ,accusò De Gasperi di cupidigia di servilismo), in parte al loro bieco affarismo senza regole e principi- è stato il tratto peculiare, sebbene non privo di contraddizioni, della politica estera italiana nel dopoguerra.
In questo scenario, l’attacco alla Carta, il suo totale stravolgimento ad opera della riforma Renzi- Boschi (come il precedente tentativo di modifiche portato avanti dal centro destra nel 2005) sono andati di pari passo con le esibizioni muscolari della Nato e dei suoi sodali italiani. Lotta per la pace e difesa della Costituzione sono più che mai indissolubili e quanto sta accadendo nel Paese lo dimostra ampiamente. A tal proposito, nel corso del dibattito sono stati denunciati da tutti gli intervenuti i rischi connessi allo stravolgimento istituzionale previsto dalla Renzi – Boschi, in principal modo per quanto concerne lo stato di guerra(articolo 78) , che, se la riforma fosse sciaguratamente approvata dal voto del 4 dicembre, potrebbe essere deliberato dalla sola Camera dei deputati, peraltro eletta con una legge ipermaggioritaria ( il cosiddetto “Italicum”) in evidente e palese contrasto con i più elementari principi democratici. Una minoranza nel Paese potrebbe, quindi, arrogarsi il diritto di imporre lo stato di guerra ad una maggioranza nettamente contraria. Non si tratta di una mera ipotesi di scuola perché il rischio di una grave precipitazione bellica non appartiene, purtroppo, soltanto al novero di cupi ma immaginari scenari di guerra, è oggi, invece, un’opzione sciaguratamente percorribile dalle potenze capitalistiche.
Francesco Santoianni, del Comitato contro le sanzioni alla Siria, ha, a sua volta, ricostruito dettagliatamente il contesto internazionale che, dal 2011, ha portato alla guerra ed alle sanzioni alla Siria. Santoianni ha denunciato le gravi responsabilità dell’Unione Europea e dell’Occidente nella degenerazione della situazione siriana, responsabilità che non possono e non debbono essere ignorate o sottaciute. Le sanzioni applicate alla Siria fanno parte, infatti, di una subdola strategia che mira a colpire ed indebolire, attraverso misure “ad personam”, imprenditori ed operatori economici siriani presentati come sostenitori di Assad. L’insieme dei provvedimenti cosiddetti “sanzionatori” ha lo scopo di ridurre alla fame lo stato siriano, già prostrato da una drammatica e sanguinosa situazione di conflitto.
Ermete Ferraro, responsabile Ecopacifismo dell’Associazione Verdi Ambiente e Società, prendendo le mosse dalla sua antica e continua militanza di pacifista cattolico ed ambientalista, ha posto l’accento sui rischi rappresentati dalla presenza di basi Nato sull’intero territorio della Penisola. In particolare su Napoli e la sua città metropolitana insistono, in diversi luoghi, insediamenti dell’alleanza da Giugliano all’Aeroporto di Capodichino, da Agnano a Lago Patria, da Monte Camaldoli ad Ischia. Forse questa realtà non è sufficientemente conosciuta dalla popolazione, che dovrebbe invece acquisire consapevolezza di quanto l’area napoletana sia una delle più militarizzate d’Italia e dell’Europa. E’ quindi indispensabile, a giudizio di Ferraro, un lavoro di informazione ma anche di mobilitazione per la smilitarizzazione.
Francesco Della Croce ha sinteticamente ricostruito il quadro degli scenari di guerra e delle aree a maggior rischio esistenti anche in Europa. Dal 2001 si sono moltiplicati i focolai per responsabilità esclusive di Stati uniti, Gran Bretagna, Francia. Tutto ciò che è avvenuto negli ultimi quindici anni in tante parti del mondo dall’Iraq all’ Afghanistan, dalla Siria alla Libia, all’Ucraina è la diretta conseguenza dell’aggressività imperialistica e della volontà di potenza statunitense ed anche europea. La problematicità e gravità dell’attuale contesto internazionale dimostrano quanto siano state fallaci e fuorvianti tutte le teorie che ritenevano la globalizzazione capitalistica l’avvio del superamento delle contraddizioni e dei conflitti del mondo contemporaneo. I comunisti e coloro che contrastano l’imperialismo occidentale devono usare le categorie analitiche proprie del marxismo e del leninismo per leggere ed interpretare, secondo una schema materialista e di classe, le trasformazioni che stanno avvenendo nelle principali aree del pianeta. Se, invece, anche i comunisti subissero la fascinazione della geopolitica e facessero ricorso agli strumenti offerti da questa disciplina cadrebbero inevitabilmente nell’illusione liberal-democratica che ha caratterizzato tutta la sinistra europea dalla caduta del Muro di Berlino in poi e che ha portato alla sconfitta ed al disastro le socialdemocrazie( non soltanto confermatesi manifestamente incapaci di contrastare, sul piano ideale e su quello delle concrete politiche sociali ed economiche, la crisi capitalistica, ma anche divenute teorizzatrici di misure pienamente ascrivibili al logoro armamentario ideologico del liberismo).Occorre osservare, dunque, con uno sguardo non condizionato dalla vulgata capitalistica gli scenari di un mondo complesso, in cui agiscono paesi che, nell’ epoca della Guerra Fredda, avevano un ruolo marginale, ma che oggi sono emergenti, i Brics. Compito del Partito Comunista Italiano è stimolare tra le classi popolari una visione critica del complessivo quadro internazionale, premessa per dare serie prospettive di crescita a nuove stagioni di lotta.
Luigi Marino, Lydia Mastrantuoni ed Antonio De Caro, intervenuti successivamente, hanno preso spunto dalle relazioni introduttive e dalle conclusioni di Della Croce per soffermarsi su alcuni interessanti aspetti emersi nel corso della discussione. Marino, in particolare, ha osservato, tra l’altro, che, dagli anni Novanta in poi, la politica estera del nostro Paese ha subito un processo di inarrestabile subordinazione agli interessi degli Stati uniti. Infatti, nell’ Italia dei decenni che hanno preceduto il crollo dei partiti di governo, democristiani e socialisti, incalzati dall’azione del Partito Comunista Italiano, assumevano a volte- pur nel sostanziale rispetto del quadro delle alleanze internazionali- posizioni non del tutto in linea con quelle statunitensi. L’osservazione del compagno Marino era riferita soprattutto alla politica estera di Moro tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà di quelli Settanta, ma anche agli indirizzi seguiti da Andreotti ed al Craxi di Sigonella. Quel margine di autonomia, che era preservato dai leader democristiani e socialisti, si è poi progressivamente ridotto, sino a scomparire completamente con i più recenti governi.
L’iniziativa si è conclusa, dopo due ore abbondanti di dibattito, con l’impegno da parte dei dirigenti e militanti del Partito a programmare una serie di incontri e seminari informativi e formativi sulle questioni internazionali di maggiore rilevanza. E’ un impegno che, da Segretario regionale, farò di tutto per onorare nel migliore dei modi.