“Salvare l’Europa” significa sconfiggere l’UE

da marx21.it di Jeronimo de Sousa, Segretario generale del Partito Comunista Portoghese (PCP)* al cui congresso parteciperà per il PCI, Franco Tomassoni del dipartimento Esteri

Fosco Giannini, resp.Esteri PCI, con Jeronimo da Sousa
Fosco Giannini, resp.Esteri PCI, con Jeronimo da Sousa

Jeronimo de Sousa, Segretario generale del Partito Comunista Portoghese, ha rilasciato una lunga intervista al settimanale del suo partito in cui affronta molti degli argomenti contenuti nelle Tesi preparatorie del XX Congresso del PCP, che si svolgerà ai primi di dicembre. Il compagno de Sousa, nel corso della conversazione, affronta anche le questioni relative ai più recenti sviluppi nell’Unione Europea. E’ questa la parte che proponiamo ai lettori di Marx21.it

L’evoluzione dell’Unione Europea è analizzata in profondità nelle Tesi. In un passaggio, si afferma che gli ultimi quattro anni hanno dimostrato “ancora più chiaramente la natura di classe dell’UE”. Vuoi spiegare?

In questo periodo si è accentuato un processo che è dettato dagli interessi e le necessità del grande capitale nella fase imperialista. Si sono affermati uno spazio e strumenti di dominio dei grandi monopoli e delle multinazionali europee, si è concentrato il potere nelle grandi potenze e si sono approfonditi i pilastri del neoliberalismo e del militarismo e, pur con tutte le contraddizioni, del federalismo.

Trattati, regole e meccanismi dell’UE soffocano e stritolano paesi come il Portogallo, che questi centri di decisione considerano periferici. L’approfondimento dei tre pilastri dell’UE ha innescato una successione di crisi dell’Unione Europea, delle sue politiche, delle sue strutture e dei suoi orientamenti, di per sé stessi espressione della crisi strutturale del capitalismo.

Ciò che oggi è in discussione è la possibilità della riconfigurazione e persino della disintegrazione, non più solo della zona euro, ma della stessa Unione Europea. Il caso del Regno Unito, e della vittoria nel referendum dell’uscita dall’UE, è paradigmatico. Al contrario di quanto ripete la propaganda ufficiale, “Più Unione Europea” non significa “più Europa”. L’approfondimento del processo di integrazione capitalista emerge come uno dei principali fattori della regressione sociale, con disoccupazione e povertà di massa, e del ritorno della guerra, del terrorismo, del razzismo, della xenofobia, dei nazionalismi e del fascismo, che comincia ad essere un pericolo reale.

Ogni volta che si parla di crisi e dell’UE, il PCP fa riferimento alla crisi “nella e dell’UE”, vale a dire, la crisi non sta solo nei paesi dell’UE, ma è una crisi della stessa UE. Quali sono le implicazioni di questa realtà?

Se potessi fare una sintesi, direi che la crisi nella e dell’Unione Europea dimostra che cambiamenti di fondo non si possono operare nel quadro di una “riforma” dell’UE, qualunque essa sia, di fronte alla sua inamovibile matrice politica e ideologica e particolarmente alla sua natura di classe. Dal nostro punto di vista, “salvare l’Europa” implica proprio sconfiggere l’UE e gli interessi che essa promuove e tutela.

Negli ultimi anni, l’euro è stato al centro del dibattito politico, in Portogallo come un po’ in tutta l’Unione Europea. Sono state confermate le posizioni del PCP?

Le Tesi sono percorse dalla conferma che l’euro è un progetto politico dell’Unione Europea che serve chiaramente gli obiettivi dell’intensificazione dello sfruttamento e del dominio economico derivanti dalla natura e l’evoluzione del processo di integrazione capitalista. La realtà dimostra che l’euro non è stato affatto uno “scudo protettivo” contro la crisi, ma è stato innanzitutto, di per sé, un fattore di crisi economica e finanziaria. Concretamente, ciò è dimostrato dalla brutale presenza dei 130 milioni di poveri e dei circa 30 milioni di disoccupati.

In questo periodo, l’euro non ha risolto nessuna delle contraddizioni che lo caratterizzano, anzi le ha aggravate. L’esempio della Grecia conferma che non esiste “riforma democratica” o “letture intelligenti” che cambino la natura dell’euro e dell’Unione Economica e Monetaria. Paesi come il Portogallo sono con le spalle al muro per non avere una propria moneta né una banca centrale di emissione e prestatrice in ultima istanza che possa assistere lo Stato.

Nelle Tesi si afferma anche che la questione oggi non è più se lasciare o restare nell’euro, ma di rompere con la sottomissione all’euro. Che cosa è cambiato nel corso degli ultimi quattro anni?

In questi quattro anni ciò che è cambiato è stata la consapevolezza di molti portoghesi che, pur non avendo conoscenza delle regole dei meccanismi che sono associati all’euro e all’Unione Economica e Monetaria, oggi accolgono meglio la posizione del PCP in merito alla necessità di liberarci dalla sottomissione all’euro come condizione per lo sviluppo economico e la sovranità nazionale. Alcuni anni fa, dirlo sarebbe stato quasi blasfemo, ma oggi sono moltissimi i portoghesi che, pur non essendo del Partito, riconoscono che è un problema il fatto che l’euro non costituisce una risposta, ma che al contrario rappresenta un fattore di blocco per la crescita e per lo sviluppo economici. La  medesima moneta per paesi così diversi, con gradi tanto differenziati di sviluppo economico, con realtà totalmente opposte, inevitabilmente non poteva che portare a questo risultato.

La crisi che attualmente si vive in Germania non può essere accantonata in ogni discussione il cui oggetto sia l’Unione Europea. Che potrebbe succedere se scoppiasse quella bolla?

Ci sono esperti che, con rigore, suggeriscono la possibilità che si verifichi una nuova crisi con conseguenze ancora più gravi rispetto al passato. Il caso della Germania è un esempio estremo della possibilità reale del verificarsi del processo di implosione dello stesso euro a causa delle conseguenze che sta provocando per le economie della zona euro. Esiste questo problema in Germania, con il tutto il significato che assume, ma in un paese come il nostro le conseguenze sarebbero ancora più drammatiche.

Il PCP contrappone all’Unione Europea “nuove forme di cooperazione in Europa”. Quali sarebbero queste forme?

Nelle Tesi, che partono dalla realtà concreta e dal rapporto di forze attualmente esistente nei paesi dell’UE, si afferma la necessità della costruzione di nuove formule di cooperazione tra i paesi dell’Europa, dal momento che i processi di integrazione non sono neutri dal punto di vista di classe. Sono necessarie rotture democratiche e progressiste sul piano nazionale, ma anche su quello internazionale, che abbiano come obiettivo l’edificazione di un nuovo quadro politico e istituzionale e una cooperazione economica di solidarietà, pace e amicizia tra i popoli e stati sovrani e uguali in diritti.

Quali cambiamenti ci dovrebbero essere nei paesi europei perché queste formule siano possibili?

Ciò implica la sconfitta del processo di integrazione capitalista, che sarà possibile solo con la combinazione di fattori convergenti come lo sviluppo della lotta dei lavoratori e dei popoli, la crescita della consapevolezza politica in merito alla natura di classe dell’Unione Europea, l’affermazione sovrana del diritto allo sviluppo degli stati europei, il rifiuto delle imposizioni, il cambiamento del rapporto di forze politico e istituzionale negli stati membri, o almeno nella maggioranza di questi, e il coordinamento e la cooperazione delle forze progressiste e di sinistra,  per puntare alla rottura con il processo di integrazione capitalista. Abbiamo l’idea che l’Unione Europea non è riformabile e la realtà oggettiva che stiamo vivendo ci sta dando ragione.

*Intervista a cura di Anabela Fino e Gustavo Carneiro da Avante.pt, traduzione a cura di marx21.it

 

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