di Fabio Massimo Parenti, Professore Associato di Economia e Politica Geografica presso l’Istituto “Lorenzo de’Medici” di Firenze. Collaboratore del dipartimento Esteri del PCI, con questo articolo il Professor Fabio Parenti inizia la sua importante e prestigiosa collaborazione con il nostro sito.
Una sola Cina
Quando si parla di Tibet ci vuole cautela. Perché il Tibet è, ancora oggi, oggetto di controversie politiche e manipolazioni mediatiche, come ho già ricordato in un articolo di un anno fa in cui, alla luce delle celebrazioni dei cinquant’anni della fondazione della regione autonoma, spiegavo le ragioni storiche e geopolitiche delle mistificazioni mediatiche.
Per garantire un sano sviluppo di relazioni bilaterali, la Cina ricorda costantemente la necessità di rispettare la politica di una sola Cina, principio assoluto non solo nella nuova Repubblica popolare, ma fin dalla fondazione della Repubblica cinese nel 1912 (e ciò non riguarda solo il Tibet, ma, in contesti differenti, anche Xinjiang, Taiwan e Hong Kong). D’altronde, mai dimenticarsi che l’unità dello stato-nazione è elemento costitutivo di tutti i paesi del mondo, a prescindere dal sistema politico prescelto. Quindi non deve sorprendere che Lu Kang, portavoce del ministero degli esteri cinese, abbia recentemente ribadito durante una conferenza stampa che “la Cina si oppone fermamente a qualsiasi forma di contatto tra i funzionari di qualsiasi paese e il XIV Dalai Lama”, la cui figura spirituale, lo ricordiamo, è storicamente inscindibile dal ruolo politico di supporto a movimenti indipendentisti sin dalla fine degli anni Quaranta. E non è una questione relativa alla singola persona, ma alla storia della Guerra fredda e, più nello specifico, alle peculiarità del buddhismo tibetano, il cosiddetto “lamaismo”. Praticato anche in Mongolia, Nepal, alcune regioni russe, oltre che in Cina settentrionale e occidentale, la sua capacità storica di controllo sociale, e correlata strutturazione politica, ha favorito numerose strumentalizzazioni interne e internazionali.
Legami con la Cina e competizione intra-buddhista
Lo Xizang, meglio conosciuto come Tibet, è una delle cinque regioni autonome della Repubblica popolare cinese fondata nel 1965. Il che sta a significare che si tratta di una regione con maggiore autonomia di governo e maggiori benefici riconosciuti alle etnie di minoranza, come per esempio l’esenzione dagli obblighi prescritti dalla politica del figlio unico (oggi in parte modificata anche nel resto del paese) e l’accesso universitario facilitato ai membri delle minoranze riconosciute. Il Tibet ha avuto legami con le civiltà del fiume Giallo e Azzurro che risalgono alla preistoria e che nel corso del tempo si sono intensificati. Tuttavia, è dal XIII secolo, con la Dinastia Yuan, che le relazioni si sono fatte culturalmente e politicamente più strette.
La composizione etnico-culturale e religiosa del Tibet è da ricondurre al suo posizionamento geografico (ai confini con India, Bhutan, Nepal, Myanmar), particolarmente favorevole alla confluenza di varie correnti buddhiste, più o meno influenzate anche da taoismo e confucianesimo, ma, soprattutto, dalle religioni popolari autoctone (Bon, sciamanesimo e animismo). Peraltro, il buddhismo tibetano delle origini entrò in diretto conflitto con la religione Bon, che nel tempo assorbì, a sua volta, molti elementi del buddhismo (si tratta di storie complesse di sincretismo religioso, tutt’altro che pacifiche). Minoritaria è invece la presenza dell’Islamismo e del Cristianesimo, che pure hanno i loro spazi di preghiera e pratica religiosa.
Genericamente identificato con il lamaismo, il buddhismo tibetano si è articolato in quattro principali lignaggi (Nyingma, Sagya, Gagyu, Gelug) ed è storicamente caratterizzato da una strutturazione gerarchica, ai cui vertici troviamo i due maestri più importanti: il Dalai Lama, con i massimi poteri, e il Pan c’en-Lama, detentore del potere spirituale. Ciò ha prodotto non poche frammentazioni e conflittualità tra scuole e correnti differenti. La più nota, riemersa negli ultimi decenni, benché le diatribe risalgano alla metà del XVII secolo, è quella tra la corrente Gelug, da cui proviene il Dalai Lama, e il culto Dorje Shugden. Quest’ultimo si rifà una divinità tantrica acquisita in modo discontinuo dal buddismo lamaista diversi secoli fa ed è stato all’origine di non pochi conflitti sociali. Il culto Dorje Shugden è venerato in molte parti del mondo e, fino agli anni Settanta, anche dall’attuale Dalai Lama. A partire dagli anni Novanta, questa divinità viene tuttavia demonizzata e perseguitata dal governo lamaista a Dharamsala, tanto da suscitare molte proteste all’estero contro la negazione della libertà religiosa proprio da parte del Dalai Lama. Se si vuole comprendere di più di queste diatribe teologiche e politiche e acquisire una visione più completa e meno semplicistica, suggeriamo il libro recentemente pubblicato da Anteo Edizioni, Lo Xizang (Tibet) e la nuova via della seta.
Questa breve disamina è funzionale a ricordare che le posizioni politiche del Dalai Lama sono ben lontane dal rappresentare il Tibet nella sua totalità, il cui processo di modernizzazione sta avvenendo nel rispetto e nel sostegno concreto alla pluralità dei culti che ne hanno caratterizzato la storia, spesso incorporata a quella delle dinastie imperiali cinesi. Non è un caso, dunque, che oggi è possibile assistere al proliferare di studi sistematici sul Tibet, per la prima volta nella storia della Cina, grazie alla creazione di decine di istituzioni dedite allo studio delle peculiarità tibetane, anche per fini turistici e secondo metodologie moderne. Tutto ciò è funzionale a garantire la libertà religiosa prevista dalla costituzione cinese, che non c’entra alcunché con la propaganda politica anti-cinese, usata strumentalmente da alcune componenti del buddismo lamaista e da sette pseudo-religiose come il Falun Gong.
Progressi ed eventi internazionali
E’ quindi importante soffermarsi sul Tibet di oggi, considerato da vari osservatori come una regione modello. Tra il 2009 e il 2013 il prodotto interno lordo regionale è cresciuto a una media del 12,3 per cento, superiore a quella nazionale, con un incremento costante delle entrate fiscali. La diversificazione economica ha fatto registrare un vero boom di attività secondarie e terziarie, reso possibile da uno sviluppo di infrastrutture senza precedenti, il quale a sua volta sta consentendo alla regione di aprirsi al mondo ed avere scambi di ogni genere. I dati sull’incremento di investimenti in capitale fisso sono impressionanti e in generale più del 90 per cento delle spese del governo locale provengono da quello centrale. Questi pochi numeri non bastano tuttavia a comprendere il reale sviluppo tibetano oggi. Il Tibet si distingue per la capacità di promuovere anche un tipo di sviluppo ecologicamente sostenibile, ove la modernizzazione si tiene in equilibrio con molti elementi della cultura tradizionale. Prova ne sono i numerosi eventi internazionali organizzati nella regione, sempre più aperta al mondo e desiderosa di farsi conoscere. Eventi di ogni genere, culturali, accademici ed economici, hanno aumentato e diversificato i flussi turistici: come in tutta la Cina prevalgono i turisti domestici, passati da 17 mila a 12 milioni tra il 1990 e il 2013, su quelli internazionali, che pure sono cresciuti nello stesso periodo da 9 mila a 223 mila. Non male per una regione la cui popolazione totale ammonta a poco più di 3 milioni di persone.
Solo per fornire alcuni esempi, giova sottolineare che in questi giorni si è tenuto a Lhasa un forum internazionale sulla medicina tibetana, organizzato dall’Institute of Tibetan Medicine and Astrology per celebrarne il centenario della fondazione. Studiosi, professori e rappresentati governativi hanno partecipato al forum, aperto da Losang Gyaltsan, presidente della Regione Autonoma del Tibet, con queste parole: “lo Stato ha investito più di 800 milioni di yuan (circa 100 milioni di dollari) negli scorsi cinque anni a supporto delle infrastrutture e dello sviluppo della medicina tibetana”.
Sempre a sostegno della cultura tibetana da parte del governo centrale, possiamo ricordare che a settembre si è svolto il terzo Thangka High-end Forum (i Thangka sono stendardi buddisti dipinti o ricamati dalle molteplici valenze spirituali). Decine di ricercatori, pittori e studenti tibetani e cinesi, giunti da varie parti della Cina, hanno partecipato a questa iniziativa, che, a dimostrazione di quanto detto finora, pone molta attenzione sullo studio approfondito della cultura e dell’arte tradizionale. Conoscere e migliorare le competenze in questi campi è considerato prioritario dalle autorità politiche, anche alla luce dei risvolti economici che queste operazioni implicano. Secondo le autorità locali e centrali l’arte Thangka deve divenire un tesoro culturale mondiale e il China Thangka Art Festival un evento internazionale.
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[…] Il Tibet oggi: oltre l’immaginario, dentro la politica. La storia e la cultura dello Xizang Tibet,… […]