UNA GRANDE BANCA PUBBLICA?

di Dario Marini – Partito Comunista Italiano, Comitato Regionale Veneto

Dopo che la ricapitalizzazione privata di Mps è fallita, lo Stato è dovuto intervenire per salvare l’Istituto Senese con 20 miliardi. Questi serviranno per aiutare anche le due banche venete di cui di cui si è tanto parlato: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Resta da superare l’ostacolo della BCE, ma questo è un altro problema, anche se decisivo. Qui, però, voglio sottolineare un solo aspetto della complessa questione.

Ho constatato che, a proposito di questi 20 miliardi stanziati, quasi nessuno usa il termine “nazionalizzazione”, e si preferisce rifugiarsi in parole più sfumate, quali: ingresso di soldi pubblici nel capitale, salvataggio delle banche in difficoltà, ecc.. Non si tratta di una scelta casuale di parole, anzi. Nella sostanza si vuole sottolineare che l’intervento dello Stato nell’economia è un semplice accidente della storia, che nessuno voleva. E, inoltre, in giro ci sono tanti vigili guardiani dell’ortodossia del mercato capitalista: certi professori della Bocconi (per fortuna non tutti), poi altri potenziali candidati al “Nobel dell’Economia” come Verdini, i ministri Poletti e Calenda, che non bisogna indispettire usando appunto la parola nazionalizzazione. Parola che fa pensare all’Unione Sovietica, a Cuba, al Vietnam, e via dicendo. Diamine siamo in un libero mercato!

La verità è che, oggi, nessuno di quelli che sono al governo sta pensando di usare questa crisi come una opportunità per un intervento di fondo nel sistema creditizio italiano. Per poter utilizzare le banche in cui si entra per varare e sostenere una nuova fase di politica economica. Potrebbe finalmente realizzarsi il sogno che noi comunisti culliamo da anni: quello di una grande banca pubblica. Una vera e propria public company, con il Tesoro che detiene la maggioranza e una miriade di piccoli e medi risparmiatori che si dividono il resto delle azioni. Una grande holding bancaria, che comprendesse MPS, BPV, VB e altri istituti più piccoli, attualmente in cattive acque. I vantaggi per le classi lavoratrici e per le piccole imprese sarebbero evidenti: basti solo pensare agli effetti calmieratori che una simile ipotesi avrebbe sul nostro mercato creditizio. Uno dei più cari d’Europa. Mi si può accusare di voler fa risorgere l’IRI dalle sue ceneri? Perche no, parliamone. Molti paesi dell’OCSE stanno riesaminando con interesse l’esperienza italiana di intervento pubblico in economia. Vedendolo, con gli opportuni aggiornamenti, come un possibile modello di sviluppo. Si badi bene: nessuno rimpiange l’IRI della prima repubblica, devastata dal clientelismo e dalla corruzione. E poi, per finire, se le banche private sono cosi brave, come hanno dimostrato in questi ultimi anni, perché dovrebbero aver paura del pubblico?

 

 

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