di Frunze, FGCI
Tommaso da Celano inizia il suo Dies Irae definendolo il giorno in cui il mondo ed i secoli si ridurranno in cenere e probabilmente così si devono sentire a Rocca Salimbeni in questi giorni. La più antica banca al mondo, terza per attivi in Italia, si arrende e si consegna anima e corpo al pallido Governo Gentiloni perché sia fatta la sua volontà. Monte dei Paschi di Siena non è più.
Ma come si è potuto arrivare a tal sfacelo? A tre aumenti di capitale bruciati in pochi anni e ancora altri miliardi sul conto dello Stato? Tanto inchiostro è stato scritto, ma forse è possibile trovare qui un qualche filo conduttore per sbrigare la matassa. Quindi, questa analisi partirà e si fermerà al 2008. Tutto il resto è noia: fuffa da azzeccagarbugli che crea solo confusione. Parlino i fatti.
Il bilancio del 2008 del Monte dei Paschi di Siena (MPS d’ora in poi) è il primo che consolida l’acquisizione di Antonveneta, banca regionale veneta con circa 400 sportelli nella regione. Tuttavia, questo bilancio riporta anche i dati del 2007 a fronte e tanto basta per capire a colpo d’occhio che la banca ha problemi prima e dopo l’acquisizione. La banca è scarsamente capitalizzata: a Dicembre 2007 le azioni sono solo il 6.1% dei Risk-Weighted Assets, cioè degli attivi “pesati” per il loro fattore di rischio (per esempio, un mutuo sulla prima casa è più rischioso per la banca di un titolo di Stato, ma meno di un prestito ad una ditta in crisi). Inoltre, i crediti deteriorati sono già il 3.7%, livello a cui una banca dovrebbe iniziare a farsi qualche domanda. Peggio ancora, MPS è fortemente illiquido: i crediti sono pari al 176.0% dei depositi e la banca si finanzia spropositatamente sul mercato dei capitali (53.1% degli attivi) che vanno e vengono. Per dare un’idea, le banche turche hanno un rapporto crediti / depositi attorno al 110%-130% e la comunità finanziaria si sente già sui carboni ardenti; qui siamo al 176.0%.
E poi arriva Antonveneta. La liquidità peggiora: i crediti sono ora il 178.1% dei depositi. Il capitale viene diluito: le azioni coprono ora solo il 5.1% dei Risk-Weighted Assets. Tutto il resto viene finanziato con le famose obbligazioni subordinate vendute alle nonnine. Però non finisce qui. I crediti deteriorati aumentano: sono ora il 5.1% del totale e sono destinati a salire. MPS è infatti una banca per piccole e medie imprese (47.9%), che sono sì la spina dorsale dell’apparato produttivo italiano, ma anche il settore che più sentirà la crisi e la deindustrializzazione del Paese. Abbiamo quindi una banca scarsissimamente capitalizzata con serie avvisaglie di problemi nel suo portafoglio crediti. Non solo, questa banca è illiquida e si deve rivolgere spessissimo sul mercato dei capitali dove si espone a schiere di analisti bancari, che saranno pure degli avvoltoi ma non degli allocchi: leggono anche loro il bilancio di Dicembre 2008 e lo schifo che c’è dentro. A questo punto però c’è solo una domanda: ma chi è stato dentro a Bankitalia a permettere a cotanta banca di comprarsi Antonveneta invece di lavarsi i panni in casa per tempo?
Mario Draghi. Governatore della Banca d’Italia dal 29 Dicembre 2005 al 31 Ottobre 2011. Successivamente, Presidente della Banca Centrale Europea dal 4 Novembre 2011.
Ma davvero è stato Mariuccio? Proprio lui, che ora ci bacchetta e che per Natale ci regala altri 3.8 miliardi di Euro da iniettare dentro a MPS? Davvero è stato lui? Nì. Probabilmente Mariuccio non ha seguito la pratica personalmente, ma sarebbe illogico che non l’abbia almeno visionata, dato un assenso, fatto un cenno: parliamo pur sempre del terzo gruppo bancario italiano. Mica della Cassa di Risparmio di Cantalupo nel Sannio (739 abitanti). Sarebbe irresponsabile, folle e criminalmente perseguibile se non c’avesse almeno buttato un occhio nella pausa caffè. Dobbiamo quindi ipotizzare almeno un implicito supporto all’operazione Antonveneta, pur sapendone il retroterra.
Detto questo, sarebbe sciocco addossare tutta la colpa su Mariuccio o sulla supervisione di Bankitalia, molto all’insegna del vivi e lascia vivere. Stiamo infatti parlando di una banca che è e fa sistema: è controllata dal PD (allora al Governo con Prodi), finanzia attraverso tutto lo spettro politico da De Benedetti alla Marcegaglia ai Berlusconi, il suo Amministratore Delegato verrà in due anni eletto Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana per acclamazione. Se c’era una volontà politica per quest’acquisizione, era sicuramente ben oliata e aveva il tacito appoggio di un largo arco costituzionale. Gli agganci c’erano e un’acquisizione bancaria non si inizia nemmeno senza certi assensi e senza certe garanzie.
Ed è proprio questo il punto. MPS era una banca che viaggiava a vele spiegate verso il sol dell’avvenire. Erano gli anni dell’”Abbiamo una banca?” (18 Luglio 2006), di Tony Blair e delle sinistre perbene che in tutto il mondo abbracciavano l’alta finanza. Erano bei tempi. MPS ava fatto come il grillo: il suo modello funzionava benissimo finché c’era bel tempo, ma non c’erano scorte per l’inverno. E alla fine quel vento prima si spense e poi si trasformò in tempesta. In fin dei conti MPS era una banchetta locale mal gestita e peggio guidata che voleva giocare al gioco dei grandi. MPS non sarebbe mai dovuta succedere, si sarebbe dovuto bloccarla prima, obbligarla a ridurre i rischi, fare due conti, ma ciò non si è fatto perché c’era un’idea politica dietro a tutto. MPS è il prodotto di un’infatuazione della sinistra perbene che aveva mollato il vecchio moroso metalmeccanico per l’elegante ragazzo della City londinese. Una cotta i cui danni restano.
MPS non è più. Ora è a carico dello Stato. A pagare sono sempre i soliti noti che pagano le tasse in busta paga e che si vedranno tagliati anche quei pochi servizi rimasti. Ma il problema resterà nonostante gli 8.8 miliardi di Euro che ci metterà il pallido Gentiloni. MPS è il volto famoso perché più di tutti ha osato e perché ciò gli è stato permesso, ma ci sono tante altre banche in tutto lo Stivale che soffrono perché le imprese chiudono e la gente resta senza lavoro e i mutui restano impagati. MPS era solo quella che aveva corso più rischi e che più era stata irresponsabile. Non è quindi possibile risolvere questo casino gettando soldi dentro a MPS o dentro a Carige o dentro a Veneto Banca. Tanto vale dateli a me che le fabbriche continueranno a fallire, i lavoratori a essere disoccupati e i mutui impagati. La crisi bancaria è solo il sintomo, la conseguenza di una scelta fondamentale: specializzarci nel buon cibo, essere i camerieri d’Europa, rassegnarci ai settori a basso valore aggiunto, vivere in un Paese povero, deindustrializzato ed emigrante al di là delle Alpi là dove ci sono le fabbriche e i centri di ricerca. Finché tale scelta non sarà rimessa in discussione e cesserà la sudditanza dei nostri Governi al capitale transalpino tedesco e francese, non basteranno i miliardi per colmare i buchi delle banche. Perché in Italia continueranno a fallire le imprese, sconfitte nella lotta tra capitali nazionali ed internazionali. Per questo serve un Partito Comunista in Italia, per dire che la questione bancaria è una falsa questione, che la questione vera è quella drammatica del lavoro, è quella dimenticata dell’intervento dello Stato nell’economia, è quella accuratamente rimossa di pensare una società diversa.
[…] DIES IRAE […]