di Giorgio Langella, Direzione nazionale PCI
Leggo dei disordini a Bologna per la questione degli accessi “limitati” da tornelli e “permessi vari” alla biblioteca universitaria.
Ho sempre pensato che l’università e la scuola tutta, debbano essere luoghi aperti, accessibili a tutti quelli che vogliono sapere, imparare, discutere liberamente. Ritengo anche che ci siano altri modi di impedire eventuali prevaricazioni e azioni criminali o delinquenziali (“emergenze”, che poi vengono consolidate con la “normalità dell’abitudine”, che giustificano spesso limitazioni ai diritti e alle libertà collettive e individuali) con le quali si giustificano l’uso della forza e la violenza contro le manifestazioni e le occupazioni da parte di chi protesta. In poche parole, ribadisco, i luoghi dove si costruisce cultura devono essere usufruibili a chiunque, un diritto che dovrebbe dovrebbe essere incentivato per garantire la libertà di accedere al sapere. Per questo i fatti di Bologna mi spaventano e mi inquietano. Forse sono solo episodi (anche se non credo) ma sono emblematici di un sistema che si sta chiudendo in se stesso e che sta trasformando i diritti per tutti in privilegi per pochi. Succede per la cultura, succede per il lavoro, succede per la salute, succede …
Leggo dei disordini e mi ritorna in mente un grande rettore dell’Università di Padova, Concetto Marchesi, che nel 1943 scrisse un appello agli studenti nel quale li chiamava alla resistenza, alla rivolta, alla lotta contro l’oppressore. I tempi sono diversi e diversi sono i contesti, ma è bene ricordare che le università devono ridiventare ed essere luoghi di crescita culturale collettiva. Luoghi aperti dove si costruisce democrazia e, anche, si lotta. Non possono essere ridotte a sepolcri imbiancati dove solo un ristretto gruppo di “fortunati” e di “addetti ai lavori” possa accedere alla ricchezza della conoscenza e al diritto al sapere.
E se si considera che limitare l’accesso ai luoghi della cultura siano provvedimenti necessari da adottare e che siano “piccole cose” di fronte ai problemi del nostro tempo, si abbia memoria che è proprio con le “piccole cose” che crescono sistemi mostruosi e si alimentano società ingiuste.
Appello agli studenti
(Concetto Marchesi – Padova, dicembre 1943)
Sono rimasto a capo della vostra Università finché speravo di mantenerla immune dalla offesa fascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravo di difendervi da servitù politiche e militari e di proteggere con la mia fede pubblicamente professata la vostra fede costretta al silenzio o al segreto. Tale proposito mi ha fatto resistere, contro il malessere che sempre più mi invadeva, nel restare a un posto che ai lontani e agli estranei poteva apparire di pacifica convivenza mentre era posto di ininterrotto combattimento.
Oggi il dovere mi chiama altrove.
Oggi non è più possibile sperare che l’Università resti asilo indisturbato di libere coscienze operose, mentre lo straniero preme alle porte dei nostri istituti e l’ordine di un governo, che – per la defezione di un vecchio complice – ardisce chiamarsi repubblicano, vorrebbe convertire la gioventù universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri massacratori.
Nel giorno inaugurale dell’anno accademico avete veduto un manipolo di questi sciagurati, violatori dell’Aula Magna, travolti sotto l’immensa ondata del vostro infrenabile sdegno. Ed io, giovani studenti, ho atteso questo giorno in cui avreste riconsacrato il vostro tempio per più di venti anni profanato; e benedico il destino d’avermi dato la gioia di una così solenne comunione con l’anima vostra. Ma quelli che per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hanno tramutato in vanteria la disfatta e nei loro annunzi mendaci hanno soffocato il vostro grido e si sono appropriata la mia parola.
Studenti: non posso lasciare l’ufficio di rettore dell’Università di Padova senza rivolgervi un ultimo appello.
Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria; vi ha gettato tra cumuli di rovine: voi dovete tra queste rovine portare la luce di una fede, l’impeto dell’azione, e ricomporre la giovinezza e la Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dalla ignavia, dalla servilità criminosa, voi, insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro i sicari c’è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto o ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c’è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina.
Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi, maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta insieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga ancora della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla servitù e dalla ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova e più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace del mondo.