di Comitato Regionale PCI Toscana
Il perdurare di una crisi economica devastante, che da anni caratterizza e ferisce il Paese, è il segno più certo e chiaro della debolezza e del fallimento delle politiche sin qui attuate dai Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio nel solco dei dettati della BCE, dell’allocazione di enormi risorse destinate in via primaria alla speculazione e alla rendita e non agli investimenti produttivi, del peggioramento delle condizioni di vita e della riduzione dei diritti dei lavoratori. L’ultimo colpo di maglio portato al mondo del lavoro con il Jobs Act, voluto dal Governo Renzi, ha visto allargare e stabilizzare, in via ulteriore, precarizzazione, impoverimento salariale e tutele occupazionali, di cui il massiccio ricorso ai voucher -anche in Toscana- ha rappresentato la forma più aggressiva e vergognosa. Esso è stato l’ultimo tassello di un disegno generale di ampio respiro, con cui dalle pensioni all’attacco alla contrattazione nazionale e ai diritti (Articolo 18 e non solo), si è inteso riscrivere profondamente i rapporti sociali e di classe in Italia, che il recente affondo sulla Costituzione e suo conseguente snaturamento, doveva suggellare e provvisoriamente concludere sul terreno istituzionale. Il risultato di anni di compatibilità europee, mancanza di investimenti e di sviluppo, aggravato dallo scempio del pareggio di Bilancio in Costituzione e dall’assenza di una sinistra coerente e all’altezza della sfida è stato il progressivo impoverimento del “sistema Paese”, una spoliazione del patrimonio manifatturiero ed industriale prossima al saccheggio, l’indebolimento delle tutele sociali (prime fra tutte la sanità), la compressione salariale, la depressione del mercato interno e della domanda; in una parola l’arretramento significativo sul piano del tenore di vita di tutti gli indici fondamentali costitutivi il tasso di tenuta e sviluppo nazionali, accompagnati a fenomeni di erosione sostanziale della coesione sociale, delle attese ed aspettative di futuro (soprattutto per i giovani), al crescere di nuovi timori e solitudini, all’allargarsi di una fascia grande di popolo deprivata di certezze e prospettive o destinata a vivere prossima o sotto la soglia di povertà. Rancori sociali e una nuova rabbia urbana se non riscattati da un’idea altra di società, rischiano così di nutrire aggiornate richieste d’ordine, nuovi razzismi e rotture antisolidali, che oggi è la destra -in Italia come negli Stati Uniti- ad intercettare.
Anche da qui, pur nella consapevolezza dei limiti derivanti dal processo appena avviato di costruzione del Partito, l’urgenza che il Pci assuma su di sé il compito di orientare indignazione e legittimo malcontento, dando dignità di lotta alla protesta, trasformando ribellismi isolati e disperati in proposta di cambiamento. La nostra battaglia non consiste nell’alzare semplicemente una bandiera o vantare il cammino pur formidabile che sta alle nostre spalle, ma di indicare vie per l’oggi e il futuro in grado di riaggregare i bisogni trasformandoli in rivendicazioni possibili e movimenti reali; problema per problema, paese per paese in tutta la Toscana. In questo e non in altro consiste -d’altronde- l’opera a cui dobbiamo dedicarci in questa fase con tutte le nostre forze. Quella di conquistare nuove adesioni al Partito, quella di costituire nuove Sezioni, quella di dar segno di essere agli occhi dei lavoratori e dei cittadini, dei tante e delle tante che abbandonati in questi anni al loro destino “non credono più a nessuno e in nulla”; una forza diversa per il carattere della nostra militanza, per cultura politica e concretezza delle nostre proposte. Di essere prima di tutto percepiti una forza utile!
L’avvio in queste ore delle campagne nazionali del Partito sul diritto alla salute (abolizione ticket, liste di attesa etc.), le regole del gioco democratico (riproposizione del proporzionale senza sbarramenti) e l’abolizione del Jobs Act va nella giusta direzione e può rappresentare un’enorme leva per intercettare nuovi consensi e nuova attenzione tra le masse popolari. A queste si aggiunga il piano di lavoro e di iniziative a cui la Segreteria sta lavorando su scala regionale, che rinvia ad un parallelo impegno di analisi e proposta circa il “che fare” su cui, aderendo a necessità e priorità di ogni territorio, chiamiamo a misurarsi i gruppi dirigenti federali. Da qui, la proposta di lancio di una campagna sistematica di assemblee pubbliche, che con pazienza e sforzo non indifferente, ci permetta in ogni dove di presentare il Partito, di cercare e costruire nuovi contatti andando innanzitutto laddove siamo più fragili o assenti. Assemblee dal carattere aperto capaci di coniugare passione politica e concretezza della nostra proposta.
L’attuale deflagrare della crisi politica non è solo frutto delle forti tensioni presenti nell’attuale maggioranza o di un partito (segnatamente il Pd), ma crisi di fondo di un’intera stagione politica. Bisogna vederlo, bisogna comprenderlo. Con quella stagione, qualunque sia la dinamica che caratterizzerà il dibattito interno ai democratici e il presentarsi sulla scena di uno o più soggetti distinti dal Pd (a partire da Sinistra Italiana il cui profilo e spessore sono tutti da indagare), è sepolta per noi ogni suggestione pattizia che al netto di un confronto politico a sinistra sempre necessario, espunga il simbolo del Pci ed elementi imprescindibili della nostra proposta a partire dal giudizio dei comunisti sull’Europa e da una seria battaglia per la riconquista (tenuta avanzata) di diritti fondamentali sul terreno del lavoro. Noi non saremo né svolgeremo il ruolo aggregato di sinistra del centrosinistra; né saremo parte indistinta di “alleanze contenitore” che subendo il peso e gli effetti dell’antipolitica e dell’antipartitismo pretendano come talora avvenuto, il nascondimento della nostra identità, delle nostre ragioni e della nostra storia come l’esperienza (peraltro fallimentare) di Rivoluzione Civile sta lì a dimostrare. Così dicasi per l’esperienza della Lista “Sì-Toscana” in campo regionale, che presto incalzeremo sul merito di alcune importanti partite aperte nella nostra regione. Tutto ciò -dev’essere parimenti chiaro- non ci dovrà impedire di sviluppare un confronto a tutto campo, avendo cura di rifuggire da chiusure e tentazioni autoreferenziali o puramente identitarie. Da comunisti, non abbiamo timori di contaminazione derivanti dal confronto. E’ la trappola su cui attendono si cada. Dobbiamo mandarli delusi. Un confronto che anzi per primi cercheremo e provocheremo con tutte le istanze della società toscana.
Abbiamo in mente un’altra strada. Siamo e restiamo alternativi al Partito Democratico ed alle sua politiche. Lo siamo nel Paese per proposta, lettura della crisi, strategia.
Lo siamo in Toscana laddove ci accingiamo ad affrontare appuntamenti elettivi locali destinati ad insediare nuovi governi in importanti realtà quali Lucca e Siena.
Lo siamo stati ieri in un fronte largo e composito, contribuendo col nostro “no” a far diga contro lo scempio tentato ai danni della Costituzione (un colpo che mutando essenziali equilibri democratici tra i poteri, poteva mutare il carattere stesso della Repubblica), lo siamo oggi, con due “Sì”, a partire dalla battaglia referendaria indetta dalla Cgil per l’abolizione dei voucher (la forma di lavoro più servile e meno tutelata della storia repubblicana) e della responsabilità in solido negli appalti.
Lo siamo per prassi politica e cultura della partecipazione, a partire dalla nostra lontananza di principio e di metodo dallo strumento delle primarie, che risultano permeabili a cordate, poteri economici e gruppi di pressione funzionali alla costruzioni di pratiche leaderistiche e di progressiva concentrazione delle scelte nelle mani delle oligarchie dell’economia, dell’informazione e della vita civile. Come comunisti abbiamo un’altra idea della partecipazione democratica. Una democrazia in grado di realizzare condizioni e pari opportunità di eguaglianza circa l’accesso ai diritti fondamentali, primo fra tutti quello ai saperi, alla formazione e all’istruzione; quello dell’accesso al diritto alla salute e a pratiche adeguate ed universali di cura e prevenzione; quello imprescindibile dell’accesso al lavoro. Su questo si consuma la distanza più evidente tra una cultura democraticistica, che privilegia ed enfatizza una partecipazione plebiscitaria e formale, riservando in via di fatto a ristretti gruppi di potere il compito di decidere sul merito che conta della vita nazionale e la nostra cultura politica, che salda il protagonismo attivo e la costruzione di una coscienza critica dei cittadini, alla diretta attuazione e vigile difesa dei diritti sociali.
Un grande impegno ci attende. Da comunisti bisogna avere la capacità di onorarlo dando corpo -con la pazienza del realismo e l’urgenza delle necessità del Paese- alle nostre speranze e alla nostra idea di un’altra società. (Empoli, 18 febbraio 2017)
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