di Giusi Greta Di Cristina, CC, Responsabile Nazionale Dipartimento Esteri per i Rapporti con l’America Latina.
Buenos Aires, Argentina.
30 aprile 1977.
Un gruppo di poche donne decide di recarsi dinanzi alla sede del governo militare dittatoriale argentino, presieduto da Jorge Videla, nella Plaza de Mayo, dove di solito si svolgono gli appuntamenti politici.
Date le leggi restrittive, le donne vengono presto raggiunte dalla polizia e invitate a sgomberare. Per tutta risposta, quelle madri, disperate, si mettono a girare attorno all’Obelisco della Plaza, a due a due, a braccetto, in modo da eludere il divieto fascista di non potersi riunire in gruppi di più di tre persone.
Da quel momento, da quel giorno, una volta a settimana il rituale si ripeterà. Cambierà solo il giorno: dal venerdì al giovedì, giorno in cui la Plaza era molto frequentata. Per il resto diventerà un appuntamento fisso: dalle 15.30, per un paio di ore, le Madri saranno lì a chiedere: “Che fine hanno fatto i nostri figli?”.
L’idea di una di loro, convinta che se si fossero presentate in gruppo il governo sarebbe stato costretto a riceverle, aveva dato vita, incosapevolmente, a uno dei movimenti di resistenza che non solo ha segnato il Novecento ma che arriva fino ai nostri giorni, dato che proprio oggi si celebra il quarantesimo anno di marcia, da quella prima volta.
Dinanzi alle loro richieste, la risposta che il governo forniva era che non vi era traccia dei figli, e che quindi non li si poteva dichiarare morti ma, semplicemente, scomparsi. Desaparecidos, appunto.
Consolati, ambasciate, chiese: ovunque la domanda si fosse spinta la risposta era stata identica. Questi ragazzi, queste donne e uomini, mariti e mogli, fratelli, figli: avvolti in una nube, portati via con la violenza, talvolta dalla propria casa nel cuore della notte, o prelevati nei pressi dei luoghi di lavoro e inghiottiti dal nulla.
Il processo di “Riorganizzazione Nazionale”, come i golpisti chiamarono la dittatura militare, faceva capo al grande piano di riorganizzazione strutturale dell’intera America Latina, elaborato attraverso il Plan Cóndor, piano strategico anticomunista statunitense ideato dal premio Nobel per la pace Henry Kissinger, segretario di Stato USA. L’Argentina rappresentava, nel 1976, l’ultimo dei Paesi latinoamericani del Cono Sur, ad avere ancora un governo democratico. Con l’instaurazione della dittatura da parte di Jorge Videla, capo dell’esercito, e dei suoi due massimi collaboratori – Emilio Eduardo Massera, capo della Marina militare, e Orlando Ramón Agosti, capo dell’Aviazione – ha inizio quella che sarà ricordata come la “guerra sucia”, la guerra sporca, poiché i diritti umani furono annichiliti e calpestati per tutta la durata della stessa, con l’avallo e l’aiuto di organizzazioni politiche di estrema destra (come le italiane P2 e Ordine Nuovo) e governi stranieri (Stati Uniti, Paraguay, Francia) che appoggiarono gli assassini ad ogni livello, dalla formazione militare, a quello economico, a quello giuridico e politico. Persino la Chiesa non fu immune dal corrompersi per far fronte comune con gli aguzzini pur di scongiurare il pericolo rosso, la “sovietizzazione” dei Paesi latinoamericani, sebbene si possa affermare che altrettanti uomini di Chiesa furono uccisi per le loro denunce e lotte accanto ai civili.
Il piano ufficiale era quello di “riorganizzare” il Paese, cambiandolo radicalmente, implementando riforme che avrebbero modificato profondamente l’economica e le relazioni sul lavoro, e creando condizioni politiche nuove, volte a cancellare ogni gruppo che tendeva alla sinistra e al comunismo (compresi i partiti e i sindacati) e a riportare la cultura nazionale alle forme più patriarcali e reazionarie.
Per ottenere i cambiamenti sociali, Videla (o chi per lui) era convinto fosse necessario far scomparire chiunque fosse in odor di comunismo, vero o presunto: si dovevano zittire i sindacalisti, i militanti, gli attivisti, i politici. La conseguenza fu che migliaia furono imprigionati, torturati, massacrati, uccisi, gettati nell’Atlantico.
La risposta ufficiale, data con freddezza a quelle Madri che continuavano a chiedere, ai pochi giornalisti stranieri che si permettevano di rompere il muro del silenzio, era sempre uguale: essi non c’erano, erano svaniti, erano desaparecidos. E alcuni fra questi giornalisti, scrittori, pensatori, e persino fra le madri, divennero essi stessi degli “scomparsi”.
Di lì a poco un’altra organizzazione si unirà a quella delle Madres, quella delle Abuelas de Plaza de Mayo, le nonne. Molte furono infatti le detenute in stato di gravidanza che partorirono i loro bambini “in cattività”, durante la prigionia. Secondo il piano diabolico della Reorganización Nacional, i figli dei comunisti dovevano esser tolti da quelle famiglie ed educate in famiglie con “sani valori”. Fu così che questi bambini furono illegalmente adottati dalle famiglie dei militari, spesso dei più alti ranghi, e talvolta crebbero in Paesi differenti da quello argentino, come l’Italia.
Ma nessuna resa fu concessa al governo. Nemmeno quando si passò alla normalizzazione, attraverso il primo governo eletto democraticamente. D’altronde, fino all’ascesa alla presidenza dell’Argentina di Nestor Kirchner, l’impunità e il negazionismo furono preferiti alla ricerca e alla applicazione della giustizia. Con la Ley de Obedencia Debida e la Ley de Punto Final, promulgate nel 1986 da Raúl Alfonsín e i due indulti realizzati da Carlos Menem nel 1989 e 1990, i governi argentini decidevano di dare un colpo di spugna su morti e scomparsi, su chi non c’era più e su chi era rimasto in attesa di conoscere la verità.
Attraverso un database e instancabili ricerche, molti numeri sono stati sostituiti da nomi e volti, bambini ormai donne e uomini, di circa quarant’anni, che hanno scoperto il loro tragico passato. Così come, attraverso la scoperta degli “archivi del terrore” (redatti durante la dittatura di Alfredo Stroessner in Paraguay e lì ritrovati, anni dopo) e soprattutto attraverso le testimonianze dei (pochi) sopravvissuti si è scoperto cosa accadeva nelle città argentine. A differenza dei nazisti, Videla e i suoi collaboratori scelsero come campi di concentramento luoghi noti alla popolazione, luoghi impensabili come lager: la ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada), il Garage Olimpo, El Campito, el Vesubio, La Perla, il Pozo de Banfield, Regimiento 9, La Polaca, Campo Hípico, Santa Catalina.
Le azioni terribili compiute dentro questi centri di detenzione e sterminio costituiscono le prove del Terrorismo di Stato attuato dai governi della dittatura militare argentina.
Dall’ascesa al governo di Nestor Kirchner e il cosidetto “peronismo di sinistra”, ma soprattutto con quello della moglie Cristina Kirchner, si è dato inizio ai processi contro gli ideatori e gli esecutori delle pratiche di terrorismo, tortura e uccisione messe in pratica contro i cittadini argentini: se questo si è realizzato è innegabile l’apporto dato dalla richiesta di giustizia delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo, che si costituirono parte civile e fornirono le testimonianze. In momenti in cui anche grandi personalità si sentivano sconfitte e pronte ad arrendersi al fatto che di certo tutti i desaparecidos fossero morti e non valesse la pena continuare a chiedere di loro, a lottare per loro (tra questi anche il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel), le Madri e le Nonne, avvolte nel loro pañuelo blanco, non hanno fatto un solo passo indietro e hanno obbligato la società argentina, latinoamericana e internazionale a conoscere quella immane tragedia e prendere una posizione.
Dalla parte della società probabilmente ritenuta più fragile e innocua è arrivata la rivalsa, la giustizia, la punizione.
Le Madri sono diventate un simbolo di resistenza e si sono unite alle lotte di altri popoli in altre parti del mondo che hanno subito e subiscono dittature e violenze.
E se il loro dolore di certo non verrà mai cancellato – migliaia sono ancora i nomi a cui non corrisponde un corpo (“Los únicos que realmente saben los nombres de todos los desaparecidos son los militares que los secuestraron. Seguiremoms exigiendo la verdad.” Viene dichiarato sul sito del CONADEP, la Comisión Nacional sobre la Desaparición de las Personas), troppi sono ancora i bambini, ormai adulti, cresciuti con chi li ha sequestrati – le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo, con le migliaia di persone che poco a poco si sono unite a loro negli anni, ogni giovedì pomeriggio, dalle 15.30, per un paio di ore, ci ricordano che resistere è l’unica azione alla quale nessuno deve rinunciare. Mai.
[…] QUARANT’ANNI DOPO: LA LEZIONE DI RESISTENZA DELLE MADRI E NONNE DI PLAZA DE MAYO […]