a cura del PCI di Perugia
Il dibattito, che ha visto una folta e qualificata partecipazione di compagne e compagni attenti alle problematiche internazionali, si è svolto presso la sede regionale del PCI e si è articolato sostanzialmente in quattro parti:
1) L‘introduzione del segretario regionale Carlo Romagnoli dedicata alla messa a fuoco di alcuni elementi che connotano oggi fase e congiuntura. La prima è caratterizzata, tra i tanti fattori che concorrono a costituirne il profilo, dal divenire rendita del profitto, potente determinazione economica (un processo accennato da Marx nella parte finale del terzo libro del Capitale e sviluppato con un approccio coerentemente marxiano da Carlo Vercellone) che opera incessantemente per trasferire sia quote di reddito “diretto” da salari, stipendi e profitti sia quote di reddito indiretto provenienti da investimenti nel welfare, verso la rendita finanziaria. Questo da luogo a una concentrazione di capitali e potere nelle mani di pochi e, di conseguenza, a una crescente disuguaglianza che mostra oggi il volto della disuguaglianza nelle decisioni di politica economica, funzionalizzate agli interessi di breve periodo di pochi, dando luogo a una declinazione “estrattiva” dell’attuale capitalismo: al carico di sfruttamento che incombe sul lavoro in fabbrica, se ne aggiunge così un secondo che riguarda l’estrema maggioranza delle persone in quanto ne mette a valore la vita (fiscal compact; indebitamento forzoso di famiglie, studenti, pensionati, con mutui ad hoc imposti nelle varie fasi della vita; sfruttamento intensivo dei beni ambientali con degrado delle matrici per noi vitali – aria, acqua, suolo ed alimenti – abbinato alla compromissione dei cicli biologici fondamentali per l’omeostasi sistemica) e un terzo, legato al genere, che carica gratuitamente sulle donne gli oneri derivanti dalla riduzione del welfare e ne (ri)oggettualizza i corpi. Nel capitalismo estrattivo i dispositivi di valorizzazione sopra schematicamente ricordati operano con violenza tale da meritare l’appellativo di “ forze predatrici globali” (Saskia Sassen, 2015) al mix costituito da formazioni statuali, apparati militari sovranazionali e complesso finanziario produttivo, mentre l’estensione globale delle politiche neoliberiste ha comportato, secondo l’ILO, nel 2015 tagli sostanziosi alle pensioni in 105 paesi, alla sanità in 56 paesi, ai salari in 130 paesi e privatizzazioni diffuse in 55 paesi, con previsioni di impatto di contrazione del Pil entro il 2016-20 per 132 paesi.
La fase è anche caratterizzata dal divenire “elites” del nemico di classe (vedi al riguardo la Tesi 0 approvata dal Congresso Costituente del partito a Bologna) con la assunzione di ruoli politici sostanziali da parte di suoi esponenti (la visita della famiglia Trump in Arabia Saudita…) e di visioni politiche che, come il suprematismo, naturalizzano la disuguaglianza, portando ad una alleanza tra suprematismi (Usa, Israele, teocrazie del Golfo e India) e forze predatrici globali, estremamente preoccupante anche per il crescere dei conflitti e l’uso “politico” delle formazioni controrivoluzionarie jihadiste che comporta.
A sua volta la governabilità neoliberista, esaltando la disuguaglianza e la messa a valore della vita dei molti, consuma governi e classi politiche neoliberiste sia nel paesi OCSE (la Clinton, Renzi, Hollande e più recentemente anche la Merkel), sia una tremenda pressione sociale negli altri paesi, concorrendo al crescere delle migrazioni.
L’ultima caratteristica della fase affrontata nell’introduzione di Romagnoli consiste nella debolezza strategica dei percorsi di liberazione sociale: dopo la caduta del muro di Berlino, le varianti social democratiche non solo non hanno contrastato il neoliberismo, ma sono state da esso sussunte come dispositivi di cattura e controllo della soggettività proletaria, con esiti catastrofici in termini di produzione di senso; d’altra parte, a cento anni dalla rivoluzione di ottobre , manca una seria e condivisa analisi dei motivi che hanno portato all’impasse del socialismo reale in URSS e conseguentemente punti interrogativi importanti restano aperti sia sulle modalità di costruzione del socialismo che sui mezzi per farlo..
La congiuntura è segnata:
a) da una aggressività USA senza precedenti a livello mondiale con lo sviluppo di tecniche di guerra che combinano strumenti finanziari, mediatici, militari e la mobilitazione reazionaria delle masse;
b) da un isolamento crescente degli USA in particolare e dell’Occidente in generale, con smottamenti geostrategici globali (Turchia, Iran, Siria, Messico, Australia, Corea del Sud, ecc) e il rischio sempre più concreto di un nuovo ricorso all’arma nucleare da parte statunitense;
c) una inedita contrapposizione tra Usa ed Europa che porta Junkers a minacciare l’appoggio ai movimenti indipendentisti del Texas se non finisce l’ingerenza USA in Europa, la UE a multarne le società in risposta al protezionismo e addirittura Paolo Gentiloni a contrapporsi in sede ONU a Trump, difendendo l’accordo sul nucleare iraniano anche se l’Italia non fa parte del gruppo di potenze firmatarie (5+1), con conseguenze potenzialmente drammatiche per la sicurezza nazionale. In questa cornice, conclude Romagnoli, è di estrema importanza per i comunisti seguire sul campo gli avvenimenti venezuelani, dove all’aggressione imperialista corrisponde un approfondimento del processo di costruzione del socialismo, passando con ciò la parola Geraldina Colotti.
2)l’intervento della giornalista Geraldina Colotti ha collocato nel dibattito quanto la stessa ha potuto osservare partecipando all’incontro di solidarietà internazionalista Todos Somos Venezuela che si è svolto a Caracas dal 16 al 19 settembre, mettendo in evidenza le caratteristiche di un processo che ha documentato a lungo negli anni sulle pagine del “manifesto” come responsabile per l’America latina. All’interno del suo ampio e documentato intervento emergono alcune aree di riflessione:
Il contesto in cui si svolge l’attacco al Venezuela: la riduzione del prezzo del petrolio che si è registrata negli ultimi anni avrebbe avuto come fine anche l’indebolimento del processo sociale venezuelano, in quanto, data la centralità storica del petrolio quale principale materia di esportazione per questo paese, ne ha ridotto fortemente le disponibilità finanziarie; su questa base si sono inserite le sanzioni imposte dagli Usa e l’attacco finanziario al Venezuela, tese a impedire l’uso del dollaro nelle transazioni internazionali rivolte sia al commercio del crudo (che peraltro avviene anche con tecnologie statunitensi su cui pure oggi grava l’embargo) che all’acquisto di alimenti e altri beni materiali e strumentali di cui il Venezuela ha bisogno; a questo livello di attacco si è unita una potente mobilitazione reazionaria sui social e sui mass media, tesa a caratterizzare il Venezuela bolivariano come un paese in mano a un dittatore, senza garanzie democratiche e con settori popolari in rivolta contro il governo; alla stessa realizzazione delle “guarimbas”(le violenze squadriste che hanno seguito un copione già messo in atto nel 2014) hanno partecipato anche paramilitari provenienti soprattutto dalla Colombia. Un copione che si è basato sulla regia dei servizi segreti statunitensi e che ha prodotto focolai violenti, ma limitati ai quartieri agiati (circa 10 municipi su 334); infine le minacce di aggressione militare in coincidenza con l’attivazione della Assemblea Costituente che mirano a riportare l’America latina alla condizione di “patio trasero“ degli USA e che potrebbero concretizzarsi sia in occasione di incidenti alla frontiera con la Colombia costruiti ad hoc attribuendoli alle forze armate venezuelane, sia con sbarchi di milizie controrivoluzionarie come avvenuto a Cuba nella Baia dei Porci…… Si assiste inoltre a una radicalizzazione su posizioni di estrema destra della borghesia venezuelana, peraltro mai stata democratica e pacifista, come attestano i vari tentativi destabilizzanti messi in atto prima contro Chavez e poi contro Maduro. Una borghesia che, negli anni della IV Repubblica (dal 1958 quando venne cacciato il dittatore Marco Pérez Jimenez fino alla vittoria di Chavez nel 1998) non si è fatta scrupolo di ordinare all’esercito di sparare sulla folla come avvenne durante la rivolta del Caracazo contro il governo di Carlos Andrez Perez nel 1989. Allora, almeno 3000 persone furono uccise e seppellite in fosse comuni, senza che i governi occidentali battessero ciglio….
Le caratteristiche politiche della via bolivariana al socialismo: Il Venezuela è il paese che più ha messo in discussione i rapporti di proprietà e che ha proceduto a decise riforme strutturali: intaccando fortemente il latifondo attraverso la concessione di terre sia in ambito urbano che rurale a proletari e contadini; investimenti sostanziali vengono fatti a favore del reddito diretto (es.: aumento del salario minimo e delle pensioni a questo parametrate;…) e indiretto delle classi popolari promuovendo un forte sviluppo del welfare con scuola e sanità gratuite (anche grazie all’appoggio della sanità pubblica cubana) e forti investimenti nella ricerca, finanziamenti alle fabbriche occupate e recuperate e ai media alternativi per contrastare il latifondo mediatico (oltre il 70% dei media è ancora in mano ai privati). L’attivazione della Assemblea Costituente ha ottenuto una rilevante adesione da parte della maggioranza cosciente del popolo e un recupero dell’adesione popolare al processo bolivariano dopo che nelle elezioni parlamentari del 2015, in cui la destra aveva prevalso, si era registrata una sensibile astensione dei settori tradizionalmente chavisti, colpiti dalla guerra economica intentata dai poteri forti attraverso sabotaggi e accaparramento dei prodotti sussidiati, ma anche da un certo burocratismo e dalla corruzione che rischiava di minare dall’interno soprattutto il principale motore di sostentamento economico: l’impresa petrolifera nazionale PDVSA, a cui è e affidata la gestione di tutta l’industria petrolifera venezuelana. Quindi l’attivazione della ANC rappresenta uno sviluppo delle caratteristiche intrinsecamente democratiche del processo bolivariano, attestate dalle tornate elettorali (21) che hanno scandito la vita di questo paese sia nel periodo in cui Chavez era in vita che sotto Maduro: un tentativo non di azzerare, ma di riqualificare e spingere in avanti il rapporto tra socialismo e libertà, tra socialismo e democrazia partecipativa; durante le votazioni si sono visti episodi eroici in cui molti hanno sfidato i fascisti e le avversità naturali pur di partecipare a un processo elettorale che era evidentemente molto di più che una semplice votazione. E si sono recati alle urne oltre 8 milioni di cittadini. Un discorso a parte merita poi l’attivazione delle “comunas” processi che documentano l’attenzione per modelli avanzati di autogestione popolare basati sul bilancio partecipativo, che forniscono impulso alla costruzione del socialismo del XXI secolo. Nel complesso in Venezuela è in atto un tentativo di dare basi ampie e popolari allo sviluppo di un modello socialista che ragiona in modo originale sul superamento dal petrolio come “monocultura” ricca delle ambiguità proprie del modello estrattivista, si propone la fine dell’impunità per quanti approfittano di far parte dell’apparato statale per accaparrarsi ricchezze che sono di tutti e mette a tema le contraddizioni che il movimento si trova ad affrontare, come quella tra municipalismo e centralismo, fra statalizzazione e autogoverno. In questa visione, le elezioni sono viste anche come un passaggio per la crescita della coscienza delle masse oltreché come momento di verifica del consenso.
L’unione civico-militare, un asse fondamentale della rivoluzione bolivariana è un concetto sicuramente lontano da noi, ma difficile da comprendere anche in un’America latina i cui eserciti sono stati addestrati alla Escuela de las Americas, la scuola di tortura per gorilla e dittatori istruiti da Washington durante gli anni del Piano Condor. Un concetto originale che rinnova nel presente l’eredità dell’Armata Rossa a 100 anni dalla rivoluzione bolscevica e l’esperienza vincente di Cuba. Mira a inserire sempre più le Forze armate bolivariane nel processo rivoluzionario, con compiti prevalentemente civili e al servizio del popolo, non delle oligarchie. In Venezuela le Forze Armate hanno un’origine popolare, tanto che molti ufficiali progressisti hanno partecipato a diverse rivolte insieme a studenti, operai e contadini, e anche alla lotta armata contro le “democrazie camuffate” della IV Repubblica. I programmi a cui si formano oggi non vengono dal Pentagono, ma dalla tradizione indipendentista di Simon Bolivar e dal “Socialismo del XXI secolo” che si definisce umanista, gramsciano e anche ispirato ai principi della Teologia della Liberazione. Per questo, per l’inclusione nel processo rivoluzionario delle Forze armate nazionali bolivariane e per la presenza delle Milizie popolari e di collettivi organizzati, sia Chavez che Maduro hanno sempre dichiarato: “Siamo una rivoluzione pacifica, ma armata”.
Infine Geraldina Colotti ha messo a fuoco il contributo che il Venezuela sta dando al dibattito internazionalista: l’incontro mondiale di solidarietà Todos Somos Venezuela, a cui hanno partecipato oltre 200 persone, esponenti di circa 60 paesi del mondo, ha comportato diversi sviluppi. Tra questi, il rilancio del dibattito internazionalista (verso la V internazionale?), l’adesione a un “Proclama di Caracas” quale proposta di lavoro e incontro internazionale di solidarietà dei popoli verso il Venezuela attraverso campagne e mobilitazioni, e la realizzazione di una marcia internazionalista per la pace e contro l’imperialismo che ha visto una grandissima partecipazione popolare. In questa prospettiva, di fronte ai disorientamenti, ai cedimenti di una certa sinistra al moderatismo e alla demonizzazione del conflitto, dal Venezuela bolivariano arriva un invito a guardare in faccia la lotta di classe e a schierarsi. Colotti rivolge perciò un invito ai giovani a guardare all’esperienza della Costituente in Venezuela, che mette al centro il potere popolare, alla luce di quanto, invece, ci viene tolto dalle classi dominanti in questo paese, dove le principali aspirazioni della Costituzione – “l’Italia è una Repubblica basata sul lavoro” – sono state ridotte a mero enunciato. La Costituzione bolivariana del 1999 è declinata nei due generi. Quella che verrà ampliata dall’Assemblea Nazionale Costituente mira a evidenziare la forte relazione esistente nei fatti tra pensiero di genere e lotta di classe. E qui Colotti si fa portatrice dell’appello inviato dalle compagne venezuelane del collettivo l’Arana femminista al movimento Non una di meno di cui fanno parte: affinché riportino nel movimento la resistenza e le conquiste delle compagne venezuelane, prese di mira dai femminicidi politici e dalla guerra economica, che mira a distoglierle dalla politica, per ricondurle al ruolo domestico.
C) Le considerazioni emerse dai partecipanti all’Assemblea
Il dibattito ha visto intervenire alcune compagni e compagne che in sintesi hanno sviluppato le seguenti osservazioni:
- La difesa intransigente della rivoluzione bolivariana va condotta in termini “realisti” in modo da potere entrare nel merito e guadagnare l’agibilità a discuterne, cosa che oggi è molto difficile fare dato il prevalere della informazione che drammatizza la situazione venezuelana. Occorre pertanto valorizzarne le caratteristiche di processo democratico progressista, mentre sarebbe un errore darne una rappresentazione radicale; occorre poi tenere presente che un certo calo dell’appoggio popolare al governo di Maduro è un fatto reale, dati i problemi concreti presenti nel ciclo di distribuzione degli alimenti ed una certa corruzione diffusa nel Paese.
- Occorre tenere presenti alcuni errori che ci sarebbero stati nella gestione del potere e alcuni arretramenti che si sarebbero registrati nei movimenti sociali.
- In confronto ad altre esperienze che oggi attraggono l’interesse dei comunisti come quella del Rojava che unisce radicalità rivoluzionaria con un forte carattere democratico, l’apertura di spazi autonomi di auto rappresentazione per le donne, il processo venezuelano sembra caratterizzato da una maggiore verticalità.
4) Le conclusioni del responsabile nazionale Esteri del PCI Fosco Giannini
Il compagno Giannini ha sviluppato il proprio intervento attraverso una chiave di lettura volta a cogliere le indicazioni che il V. ci fornisce rispetto ai nostri compiti.
Ci si deve chiedere, dice Fosco, perché questo accanimento contro il Venezuela?
Partiamo dall’elencare le basi materiali del processo sociale che li si è sviluppato, a partire dalla nazionalizzazione del petrolio e dalla socializzazione della ricchezza da esso proveniente:
- avvio di cospicui investimenti a ricerca scientifica e scuola (sono stati aumentati del 40% gli stipendi degli insegnanti);
- attivazione di una banca popolare per il supporto all’artigianato;
- attivazione di una banca per le donne;
- abolizione del latifondo;
- uscita del Venezuela dal FMI e dalla Banca mondiale;
- collocazione del Venezuela nello schieramento antimperialista ed internazionalista;
- grande rafforzamento della sanità pubblica;
- blocco della fuga dei capitali all’estero;
- sviluppo di un contro potere di massa che si pone dialetticamente con il potere centrale, elemento costitutivo di ogni reale cambiamento sociale;
- sviluppo di un progetto di integrazione dell’America latina;
- forte sostegno alle comunas e allo sviluppo della democrazia dal basso.
In questa cornice il richiamo di una certa sinistra alla necessità di garantire gli spazi democratici dalla opposizione risulta ambiguo, se consideriamo che nel concreto della situazione venezuelana questo ha significato:
- lasciare agibilità ai sindacati gialli;
- far operare le Tv reazionarie, in grande maggioranza nel contesto mediatico venezuelano e agli ordini degli USA;
- lasciare spazio ai sabotaggi economici;
- non reprimere come avrebbe fatto ogni stato imperialista al suo interno le guarimbas che uccidevano e talvolta bruciavano vive persone innocenti per strada;
- lasciare la distribuzione degli alimenti in mano a due grandi catene, una olandese e l’altra francese che sicuramente hanno esasperato i problemi di approvvigionamento.
Nonostante questo, il processo sociale attivo in Venezuela ha seminato il panico tra la borghesia dell’America Latina, che pure non è mai stata chiamata a rispondere dei crimini commessi con il Piano Condor, che comporto un bilancio pesantissimo in termini di desaparecidos, golpe militari, arretramenti sociali, appropriazioni e ruberie a carico della ricchezza prodotta dal lavoro delle classi popolari….
Molto spesso, aggiunge Fosco, i compagni dimenticano che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”.
Per cogliere appieno l’importanza del processo venezuelano, occorre collocarlo bene nel contesto storico in cui si dà: la prima elezione è stata vinta da Chavez nel 1998. Attenzione alle date perché queste permettono una periodizzazione degli eventi:
a) vi è stata, con la caduta dell’URSS all’inizio degli anni ’90 una operazione propagandistica della borghesia mondiale volta a sancire addirittura la fine della storia (Fukuyama docet) ed a far accettare il neoliberismo ed il mercato come la sola alternativa possibile in termini di politica economica. Si è trattato di una operazione ostentatamente infondata – la storia ovviamente non finisce- che tradisce in qualche modo l’ansia dei capitalisti per il carattere transeunte che la storia assegna al loro modo di produzione, socialmente determinato e destinato come altri che lo hanno preceduto a scomparire;
b) vi è stata poi, inattesa e scioccante (per l’imperialismo) la negazione fattiva della fine della storia e questa negazione si è concretizzata ed è partita proprio dall’ America Latina, estendendosi poi all’Africa e all’Asia, sino alla costituzione dei BRICS. In America Latina non solo Cuba resiste, ma il Venezuela rilancia con vigore una propria transizione al socialismo e l’America Latina tutta insorge; in Africa non solo si consolida l’esperienza del Sud Africa, dove il grande PC del Sud Africa svolge un ruolo centrale anche nell’estendere l’influenza sud africana a tutta l’Africa australe, ma si costituisce un asse Mandela-Gheddafi per il progetto di un’Africa indipendente, unita, antimperialista, con una Banca Africana ed una moneta africana, da sostenere, dall’inizio, con i fondi sovrani libici ed è per tutto ciò che parte l’attacco USA e NATO contro la Libia; in Asia, dove l’immenso sviluppo economico cinese trasforma la Repubblica Popolare Cinese nel cardine del “nuovo mondo” alternativo all’imperialismo;
c) questo sviluppo inatteso della storia determina la reazione rabbiosa dell’imperialismo, che inizia così una opera di distruzione sistematica delle conquiste sociali che sono avanzate in America Latina: iniziano le manovre contro i più deboli governi argentino e brasiliano che portano in breve tempo al rovesciamento degli equilibri politici nel continente e con essi inizia l’aggressione selvaggia al Venezuela, di cui abbiamo a lungo parlato e contro la quale occorre mobilitarsi, sviluppare informazione sugli avanzamenti reali che ha comportato e sul significato drammatico che avrebbe una sua sconfitta.
Questa opera di appoggio internazionalista e di controinformazione sul Venezuela deve essere condotta in contemporanea con la denuncia del ruolo aggressivo della Nato nel contesto globale e della pesantezza della sua presenza militare (in Italia ci sono almeno 130 basi stabili e 20 basi segrete, con 50.000 militari Usa in presenza stabile, il che configura una vera e propria occupazione militare).
Il PCI è impegnato in questo processo di rilancio della battaglia comunista a livello mondiale e nella costruzione di una opposizione di classe al capitalismo neoliberista, un terreno sul quale è necessario che le compagne ed i compagni contribuiscano con un ruolo attivo, dato che la mancanza di tale opposizione è la condizione che permette l’avanzamento del processo di sfruttamento e spoliazione nella nostra società.