Pubblichiamo il presente documento, a cura di Francesco Stilo del Comitato Centrale PCI ed Emiliana Calabrese, FGCI Bologna, che è frutto del dibattito, con medesimo titolo, svoltosi all’interno della festa del PCI di Bologna, in data 08/10/2017.
Ernesto Che Guevara, figlio dell’architetto Guevara Lynch e della femminista rivoluzionaria Celia de la Serna, era un uomo, un medico e un rivoluzionario. Di estrazione sociale elevata e forte di un titolo di studio che avrebbe potuto garantirgli, economicamente e socialmente, un’esistenza agiata, Guevara, invece, sceglie di vivere un’altra esistenza. Mosso da viva curiosità e spirito d’avventura intraprende un lungo viaggio con La Poderosa attraverso il continente sudamericano, entrando in contatto con la dura realtà delle popolazioni indigene, con la povertà, la fame, la miseria. Dunque fin dalla giovinezza, nel suo comportamento e nelle sue scelte, si colgono i segni del sentimento rivoluzionario che troverà sbocco, poi, nella vittoriosa avventura cubana al fianco dell’amico e compagno Fidel Castro. Il Che, pur ricoprendo importanti incarichi all’interno del governo cubano, ed essendo considerato di fatto il numero due della rivoluzione dopo Fidel, decide, più tardi, di tornare sul campo di battaglia, scommettendo tutto se stesso, la propria vita, nell’azione rivoluzionaria per la liberazione dei popoli dal giogo dell’oppressione capitalista.
Parlare oggi di Che Guevara, non è per nulla scontato, significa anzitutto cogliere la grande portata del suo messaggio, in primis come uomo, che sceglie di liberarsi attraverso una strenua volontà ribelle, e poi, ma non di minore importanza, come militante rivoluzionario e comunista. In un periodo storico come quello attuale, in cui tutto sembra sopito e le coscienze individuali appaiono spente ed inermi di fronte al divenire dei fatti, il suo esempio rappresenta il fulcro dal quale ripartire all’attacco contro la moderna dittatura del pensiero che appare come una dolce melassa in cui tutto affoga e si omologa.
Tra la molteplicità e complessità delle cause, nella determinazione di tale contesto, ha svolto un ruolo decisivo su scala planetaria il crollo del campo socialista, e, nello specifico, la perdita di una struttura valoriale e ideale che si poneva in antitesi al modello capitalista. Da qui lo sgretolarsi dell’egemonia culturale dei comunisti che ha visto il progressivo impoverimento delle proprie fondamenta, nella misura in cui sono scomparsi presso il grande pubblico gli intellettuali, gli artisti, i poeti, i giornalisti di riferimento. A tale processo, che ha interessato particolarmente l’occidente e la gran parte del continente europeo, si sono aggiunte la crescente stretta autoritaria sull’informazione, sempre più in mano all’élite dominante, a danno quindi del vero pluralismo (sostanziale e non formale) che è quello che dovrebbe garantire il diritto all’informazione dei cittadini, e la serie di riforme dell’istruzione che hanno determinato l’impoverimento del bagaglio culturale e del senso critico degli studenti ed il rafforzamento del controllo verticistico sulle istituzioni scolastiche e universitarie.
A fare da cornice a questo grande smarrimento sono una serie di altri fattori non meno importanti che sono osservabili quotidianamente: lo scollamento tra l’individuo e l’ambiente urbano, e quindi l’assenza di spazi di aggregazione d’alternativa adeguati a soddisfare i bisogni relazionali dei giovani e meno giovani; la brutalizzazione della psiche, processo che riduce il complesso intreccio del sentire umano alle più semplici pulsioni animali, esplicandosi ad esempio nelle modalità di utilizzo dei social network, strumenti che, potenzialmente utili, sono stati invece plasmati secondo la visione e gli interessi dei gruppi economici a cui fanno capo, al fine di monetizzare le relazioni, riflesso tra l’altro della violenza dilagante nella comunità; la mancanza di una discussione pubblica seria, laddove per serie si intendono riflessioni pragmatiche e non propagandistiche, rispetto ai temi che caratterizzano i nostri tempi, dalla questione ambientale alle tematiche legate al lavoro e all’immigrazione, solo per citarne alcune; l’americanizzazione del contesto, nella misura in cui gli USA mantengono un controllo egemonico sulla visione delle cose, imponendo così il loro volere ancora più efficacemente che dal punto di vista militare; lo straripamento delle logiche di mercato in ogni aspetto della vita, da cui necessariamente, crediamo, dovrebbe scaturire il bisogno di reinventare una morale che rimetta al centro l’uomo.
Le domande che nascono spontanee sono: perché prevalgono determinati disvalori rispetto a quei valori solidali e socialmente auspicabili per il benessere della collettività e del singolo? Dove è finito l’eroismo romantico come sfera rivoluzionaria dell’agire, personificato da Guevara? Dobbiamo veramente accettare che l’individualismo, il cinismo, il mercato, abbiano prevalso in ogni ambito della sfera umana? Se così è, vale ancora la pena impegnarsi per modificare lo stato di cose presenti? Noi crediamo che la consapevolezza della realtà sia determinante per la trasformazione delle condizioni del popolo e per questo non solo crediamo, ma ne siamo convinti, che valga ancora la pena, che sia fondamentale, e che l’esempio emblematico di Che Guevara possa fungere da simbolo odierno per la rinascita delle coscienze, sul solco della rivolta per il cambiamento sociale e quindi umano.
Hasta La Victoria Siempre!
Francesco Stilo,