L’ARABIA SAUDITA BOMBARDA LO YEMEN CON LE BOMBE ITALIANE. IL PCI CHIAMA “POTERE AL POPOLO” ALLA LOTTA:TUTTI A DOMUSNOVAS, IN SARDEGNA, CONTRO LA FABBRICA DELLA MORTE!

di Fosco Giannini, responsabile dipartimento esteri PCI

Si parla sempre più spesso di Yemen, ma di questo Paese l’opinione pubblica sa poco o niente. Che cos’è lo Yemen e perché se ne parla? Lo Yemen è uno Stato collocato sulla punta estrema della Penisola Araba; come rileva ogni cartina geografica esso confina in gran parte con l’Arabia Saudita e con l’Oman ed è bagnato a sud dal golfo di Aden e dal mar Arabico e a ovest dal mar Rosso; ufficialmente il suo nome è Repubblica Unita dello Yemen; la sua estensione territoriale è d 527. 970 km² ( Italia: 301.338 km²); i suoi abitanti sono circa 22 milioni. La sua capitale è Sana’a, poco meno di 2 milioni di abitanti.

Considerato uno dei più antichi centri di civiltà del mondo, lo Yemen era denominato dagli antichi romani Arabia Felix, in virtù dei suoi grandi traffici commerciali. Dal XVI sino al XX secolo fece parte dell’impero ottomano. Nel 1918 il nord dello Yemen si rende indipendente dall’impero ottomano e in questa parte del Paese viene proclamata la Repubblica Araba dello Yemen. Nel 1839 l’Impero Britannico occupa il porto di Aden, nel sud dello Yemen, imponendo alla parte meridionale yemenita il potere colonialista britannico. Tale potere resistette sino al 1967, quando i britannici vengono cacciati da un’insurrezione antimperialista e marxista sostenuta dall’Egitto e dall’Unione Sovietica, una rivoluzione che sfocia, nel 1970, nella costituzione della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, anche nota come Yemen del Sud.

Sin dai primi anni ’70 si tentano complessi negoziati volti alla riunificazione dei due Stati yemeniti, quello del nord filo occidentale e quello del sud filo sovietico. Nella contrapposizione politica e geopolitica l’unificazione yemenita non prende corpo, finché il processo unificante viene accelerato dalla crisi dell’URSS.

Circa 20 anni dopo la costituzione della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (comunista, del Sud), il 22 maggio del 1990, i due Stati separati yemeniti del nord e del sud si uniscono in un unico Stato, l’attuale Yemen. Il segno che la fusione yemenita non è certo facile, sul piano politico e sociale, emerge dal tentativo di secessione del sud yemenita (condotto da forze politiche e militari d’ispirazione marxista, che rinominarono lo Yemen del Sud come Repubblica Popolare, con capitale Aden) avvenuto nel luglio del 1994, tentativo stroncato sul piano militare da un sanguinoso intervento (circa 25 mila morti) delle forze governative centrali più filo occidentali.

L’unificazione (filo imperialista e anticomunista) dello Yemen avviene sotto una dittatura retta da Ali Abdullah Saleh, che persegue un progetto di gestione/controllo delle circa 200 tribù yemenite attraverso una continua trama di corruzione e spartizione del potere, non certo attraverso un disegno unitario nazionale di sviluppo sociale e redistribuzione delle ricchezze. Questa feroce gestione, a sua volta tribale, del potere fa sì che nel 2012 il regime di Saleh, dopo 30 anni e nella fase delle “Primavere Arabe”, salti. Ma – segno della profonda ambiguità e del disegno mistificatorio delle stesse “Primavere Arabe” – i principali Paesi del Golfo, filo USA e filo Unione europea, assieme allo stesso Occidente, avviano un processo di sostituzione del regime Saleh in perfetta continuità con lo stesso Saleh, imponendo al potere addirittura l’ex vicepresidente di Saleh, Abdu Rabdu Mansour Hadi.

Negli anni del potere corrotto di Saleh si era nel frattempo organizzata una lotta d’opposizione al regime, condotta tra l’altro dal movimento sciita degli Houthi, detti “Ansar Allah” (Partigiani di Dio), una minoranza sciita del Paese rappresentante circa il 40% dell’intera popolazione dello Yemen.

Gli Houthi nascono nei primi anni ’90 nella regione di Sadaa, nel nord-ovest del Paese e nel momento in cui i Paesi filo occidentali del Golfo, assieme agli USA e all’Ue, portano al potere Hadi (successore di Saleh) il movimento sciita Houthi ( filo iraniano e antimperialista) si schiera con le forze più avanzate e democratiche dello Yemen contro il nuovo regime filo occidentale e sostenuto dall’Arabia Saudita, che sostiene il regime di Hadi in funzione soprattutto anti iraniana (ma anche anti siriana, vista la tenuta di Assad, determinatasi innanzitutto attraverso l’intervento della Russia di Putin, altro nemico dell’Arabia Saudita).

Nella lotta contro le forze filo imperialiste, le milizie sciite crescono, anche dal punto di vista militare, sino a che, nel settembre 2014, esse occupano buona parte di Sana’a, la capitale. Il 21 settembre 2014 viene firmato l’Accordo di Pace e di Partenariato Nazionale tra le milizie sciite Houthi e il presidente Abd Rabdu Mansour Hadi, sotto la supervisione dell’Onu.

Ma il duro contrasto tra il regime filo USA, filo Ue e sostenuto dall’Arabia Saudita di Hadi e gli Houthi filo iraniani si acutizza sempre più ed è quello che segna anche quest’ ultima fase. Una durissima lotta estesa sul piano nazionale della quale approfitta al-Qaeda (schierata in verità, anche militarmente, contro le milizie sciite Houthi) per organizzarsi nel centro dello Yemen.

E’ in questo scontro tra le forze filo occidentali di Hadi e i filo iraniani Houthi che si inserisce, da anni, l’Arabia Saudita (affiancata da altre monarchie arabe del petroldollaro) che, in sintonia con Trump, punta ad alzare il livello di attacco contro l’Iran.

Il 25 marzo 2015 150. 000 uomini delle forze di terra e 100 aerei dell’aeronautica militare dell’Arabia Saudita – con il sostegno di 10 Paesi arabi (i Paesi del Golfo, uniti all’Egitto, al Sudan, al Marocco e alla Giordania) – lanciano contro le milizie Houthi la più grande azione militare della storia dell’Arabia Saudita, nell’intento di portare al potere nello Yemen Hadi, che nel frattempo si era rifugiato proprio a Riyad.

Significativo è il rapporto che nell’ottobre 2015 diffonde Amnesty International: in esso l’Arabia Saudita è accusata, per gli orrori commessi nello Yemen, di crimini di guerra, ai quali si arriva per l’uso delle bombe a grappolo e i bombardamenti sulle scuole, orrori disseminati soprattutto nella regione di Sa’da, presieduta dagli Houti.

L’Arabia Saudita non risparmia ospedali e centri urbani: il 26 ottobre e il 2 dicembre del 2015 bombarda tra l’altro due cliniche di Medici senza Frontiere, a Sa’da e a Huban. Poi è Human Rights Watch a raccontare al mondo che i sauditi hanno sganciato bombe a grappolo di fabbricazione USA sulla città di Mastaba, assassinando 107 civili, tra i quali 25 bambini.

Nel corso del 2016 buona parte della stampa internazionale rivela che l’Arabia Saudita riceve consistenti aiuti in armi e denaro – al fine di annientare la rivolta anticolonialista degli Houti – da diversi Paesi occidentali, tra i primi gli USA, la Gran Bretagna e l’Italia. E, secondo l’ONU, sino al 2017, sono circa 13.600 gli yemeniti morti sotto i bombardamenti sauditi, tra questi circa 5 mila bambini. Ai quali morti vanno aggiunti i 3 milioni di sfollati e i circa 50 mila feriti, oltre il dato di un intero Paese distrutto nelle sue infrastrutture, nelle sue abitazioni, nelle sue scuole e nei suoi ospedali.

Ma la cronaca dell’orrore – la riportiamo perché sono davvero troppo pochi coloro che lo fanno – non si esaurisce nei bombardamenti. Nella guerra civile yemenita provocata dalle forze colonialiste e imperialiste si è prodotta una vera e propria crisi umanitaria, sconosciuta alle masse mediatiche dell’occidente. Già tra i Paesi più poveri del mondo, lo Yemen è stato socialmente massacrato dalla guerra: si calcola che oggi circa 12 milioni di suoi abitanti abbiano bisogno di aiuti umanitari e nella distruzione totale è scoppiata nel Paese un’epidemia di colera inarrestabile, date le circostanze, che ha già provocato circa 2.500 morti.

Gli stivali militari occidentali e sauditi non calpestano, oggi, lo Yemen: per distruggerlo bastano le bombe. E ci sono anche, direttamente, le bombe USA: solamente venerdì 29 dicembre u.s. 4 civili yemeniti hanno perso la vita sotto le bombe USA, a Saada; sabato 30 dicembre 20 civili yemeniti sono stati uccisi, in un raid aereo USA contro al Qaeda, in un ristorante di al-Jarahi; 10 donne, nello stesso giorno, sono state uccise da un altro bombardamento USA su di una fattoria di Khokak.

Che cosa succede, in sintesi? Accade che gli USA, l’Ue, l’Occidente armino l’Arabia Saudita per ratificare nello Yemen un governo amico loro, contro il crescere dell’opposizione, di carattere antimperialista degli Houthi, sciiti vicini all’Iran, Paese che Trump ha messo di nuovo nel mirino, per un progetto di costruzione di una nuova NATO in Medio Oriente costituita lungo l’asse Israele-Arabia Saudita.

Ed è così, in questo contesto, che siamo arrivati al titolo di prima pagina, in questi giorni, del New York Times: “ Bombe italiane, morti yemenite”, un titolo che annuncia un reportage sulla vendita all’Arabia Saudita di armi prodotte in Sardegna dalla fabbrica RWM, su licenza della proprietaria tedesca Rheinmetall Defence. Tutta guerra imperialista! IL fatto è che tra le macerie degli ultimi cinque attacchi sauditi contro gli Houthi, tra le macerie delle case, tra i cadaveri di un’intera famiglia yemenita, sono state rintracciate bombe della serie Mk8, identificate dalle matricole A4447: bombe italiane, ordigni dalla Sardegna.

Certo, è l’intero occidente imperialista a vendere all’Arabia Saudita (e per le ipocrite leggi occidentali, dagli USA all’Ue, non si potrebbe!) lo straripante pacco militare di questi anni. Il regime saudita è divenuto, nella guerra contro lo Yemen soprattutto, il secondo importatore di armi al mondo, con gli USA che gli hanno già venduto armi per 110 miliardi di dollari sino al 2017, con un progetto di 350 miliardi per il prossimo decennio. Ma poi vengono la Gran Bretagna (armi per circa 12 miliardi di dollari), la Francia (armi ai sauditi per circa 11 miliardi di dollari), la Germania (armi ed equipaggiamento militare per circa 1,5 miliardi di dollari) e poi l’Italia, un record: bombe ed altri ordigni bellici all’Arabia Saudita per una ventina di miliardi di dollari! Ma non ci si ferma qui: all’armamento dell’Arabia Saudita ci pensano anche la Croazia (circa 6 miliardi di dollari di armi nel 2016), e poi la Svezia, il Belgio, la Slovacchia e la Spagna.

L’Occidente imperialista paga il petrolio saudita fornendo a questo suo protettorato petrolifero le armi sia per schiacciare, nello Yemen, la spinta anticolonialista che per colpire l’Iran: di nuovo, per gli USA, un “Paese canaglia”.

Il governo Gentiloni (che copre e suggella la vendita di armi italiane all’Arabia Saudita) è davvero, con il sostegno del PD, il governo imperialista e bellico italiano. Da ciò sempre più razionale e giusta la parola d’ordine del PCI: “Fuori l’Italia dalla NATO!”. Una parola d’ordine che il PCI chiede a tutto il “Potere al Popolo” di trasformare in lotta, a cominciare dalla lotta in Sardegna, a Domusnovas, di fronte alla fabbrica imperialista tedesca.

Cominciamo così, compagne e compagni di “Potere al Popolo”, la nostra campagna elettorale: mentre la RWM tedesca chiede alla Regione Sardegna di ampliare la propria azienda bellica, andiamo uniti, unite, a Domusnovas, di fronte alla fabbrica delle bombe, dei dollari e della morte!

 

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