QUATTRO CONSIDERAZIONI SUL PARTITO

di Bruno Steri, Segreteria nazionale PCI

Il fatto di non presentarmi come candidato alle prossime elezioni politiche mi consente di mantenere un atteggiamento – diciamo così – più distaccato rispetto agli impegni – e alle ansie – della relativa campagna elettorale. E mi permette, alla luce di avvenimenti recenti e in vista di un imminente Congresso, alcune riflessioni sul nostro partito che considero essenziali.

1- Prima considerazione. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere che, in recenti analisi compiute da studiosi della storia e dei mutamenti nella funzione dei partiti politici, si è fatta largo la tesi secondo cui il diffondersi dei social networks (Facebook, Twitter ecc) e l’intensificarsi del loro uso possono diventare uno dei più potenti fattori di destrutturazione dei partiti politici stessi. Ciò può comprensibilmente apparire paradossale a quanti sono ormai quotidianamente abituati a confrontare, davanti a un computer e con uno stuolo sempre più vasto di interlocutori, le proprie opinioni (politiche e non), utilizzando dunque la rete come un potente strumento partecipativo e democratico. Eppure, a ben vedere, non c’è da stupirsi: come sempre, il difetto non è tanto nel mezzo tecnico, quanto nell’uso distorto, scriteriato del medesimo (tanto più se si tratta di un mezzo potente). Ad esempio, una tale distorsione si verifica quando discussioni attinenti a decisioni politiche delicate, richiedenti il giusto contesto e il giusto clima così come sono garantiti da regole democratiche interne (quelle scritte e quelle non scritte, improntate alla responsabilità e al reciproco rispetto), vengono di fatto sottratte agli organismi partitici statutariamente deputati a decidere e sono trasferite nell’arena incandescente, senza regole e senza metodo, dei social. Tutto ciò finisce per contribuire ad un allentamento della solidarietà interna ai gruppi dirigenti e alla perdita di autorevolezza degli organismi dirigenti stessi. Mi pare che gli avvenimenti recenti abbiano clamorosamente confermato un tale rischio. Penso quindi che il prossimo Congresso del PCI debba provvedere ad una stringente regolamentazione in materia (con relative penalizzazioni in caso di violazione), concernente  in particolare i membri degli organismi dirigenti del partito.
2- Seconda considerazione.  Nel corso dell’ultimo Cc, un compagno di tante battaglie politiche, criticando (legittimamente) la mia posizione favorevole a presentare il partito con la lista Potere al popolo, mi dice con un tono da battaglia finale o comunque decisiva: “Ma come, proprio tu vuoi sfasciare tutto, tu che sei uscito dal Prc in nome dell’identità comunista?”. Non discuto qui il merito contingente dell’esclamazione; mi preme evidenziare una questione di fondo con cui essa è implicata. Per restare alla mia personale vicenda, annoto che la mia decisione di uscire dal Prc si è fatta strada all’indomani di un Comitato politico nazionale in cui l’allora segretario del Prc Paolo Ferrero confermò formalmente l’impraticabilità, a suo dire, di un polo comunista autonomo e, in alternativa, l’obiettivo di costituire un soggetto (io dico: genericamente) di sinistra in cui potesse confluire Rifondazione. Annoto e sottolineo tre volte il fatto che, per me, l’interruzione di un sodalizio politico non si è prodotta in relazione ad una scelta elettorale ma a seguito dell’indicazione di una prospettiva concernente la natura del mio partito di appartenenza. Insomma, non si trattava di ELEZIONI ma di PARTITO. Registro invece che puntualmente gli animi si scaldano e i toni diventano “da ultima spiaggia” in occasione delle scadenze elettorali. Sembra una maledizione. Diciamo nei documenti: “le elezioni sono solo un mezzo”, ma poi scopriamo che queste scadenze determinano i contrasti più cruenti. Ciò purtroppo dimostra che, attraverso condizionamenti oggettivi e per fragilità soggettive, continua ad agire una più o meno consapevole propensione elettoralista, a conferma di quello che Lenin chiamava “il potere seduttivo delle istituzioni borghesi”. Un’elezione non può costituire un’ultima spiaggia, anche se ovviamente può favorire o penalizzare il conseguimento degli obiettivi strategici: che ovviamente sarà il caso di chiarire meglio nel prossimo Congresso. Dopo le elezioni c’è chi si dedicherà alla costruzione del Podemos italiano. Sarà bene che noi facciamo chiarezza e mettiamo gambe al nostro percorso strategico, che abbiamo espresso nella formulazione “ricostruire il partito comunista nel quadro ampio della sinistra di classe”.
3- Terza considerazione. La discussione sulla collocazione del partito alle prossime elezioni politiche, già di per sé delicata e complicata, è stata funestata dalla richiesta (ovviamente lecita) di applicazione di una demenziale norma statutaria, sciaguratamente approvata da tutti noi in occasione dell’assemblea costituente bolognese. Il buon senso dovrebbe infatti suggerire che, quando si tratta di decisioni immediatamente operative, che cioè riguardano direttamente il che fare, la regola prevista all’art.13 dell’attuale statuto che prescrive una maggioranza “del 70% +1 degli aventi diritto presenti” non è applicabile. Ovviamente tutte le decisioni immediatamente operative sono squisitamente politiche (anche se non è vero il contrario: ci può essere una discussione teorico-ideologica che non ha immediate ricadute operative). La decisione se prendere o meno il Palazzo d’Inverno era una decisione operativa e nello stesso tempo di importanza politica capitale: ciononostante fu presa dai bolscevichi a maggioranza semplice. L’unica cosa che essi non si potevano permettere era decidere di non decidere. Lo avevo fatto notare in una mia nota già prima dello scorso 30 novembre: “Supponiamo che una proposta della segreteria non raggiunga il fatidico 70% +1. A quel punto occorrerà presentare, discutere e poi votare una proposta alternativa: supponiamo che anche questa proposta non raggiunga il 70%+1. Si passerà allora ad una terza proposta, ad una quarta e così via, con la possibilità che nessuna riesca a conseguire il 70%+1. Si determinerebbe così l’anomalia di un partito che non riesce a prendere una decisione sul concreto che fare: eventualità che non può essere tollerata in un organismo che DEVE, ha l’obbligo di dire al partito cosa deve fare”. Purtroppo, considerato l’andamento dell’ultimo Cc, sono stato un facile profeta. Oltre a ciò, occorre comunque aggiungere che la suddetta norma è quanto mai ambigua: per l’applicazione della regola 70%+ 1, l’art.13 infatti fa riferimento a decisioni “in tema di documenti”. Quali documenti? Documenti politico-ideologici? Documenti che abbiano un’immediata ricaduta sul che fare? Sara’ bene che il prossimo Congresso intervenga a modificare simili  negligenze statutarie.
4- Quarta considerazione. E’ in corso una querelle sui numeri scaturiti nelle votazioni del Cc del 30 novembre scorso. Nel merito, decide il Collegio di garanzia ed io non intendo qui occuparmene (salvo tributare la mia totale solidarieta’ alle compagne che hanno sostenuto l’onere di gestire i lavori del Cc in un frangente così complicato). Piuttosto mi interessa un’altra questione che tale querelle evidenzia. Nel suddetto Cc, l’applicazione della norma 70%+1 ha inevitabilmente prodotto un drammatico slittamento della discussione: a votazioni avvenute, i membri presenti si sono trovati non semplicemente a dover decidere tra diverse scelte elettorali, ma a far fronte alla paradossale impossibilità di assumere una qualsiasi scelta. Mi sono chiesto e tuttora mi chiedo se i compagni critici rispetto alla proposta presentata a maggioranza dalla segreteria si siano resi conto di questo salto di qualità. In gioco non era più solo una posizione politica contrapposta ad un’altra, ma l’effettiva capacità di decidere. Cioe’ il sussistere (sostanziale, non meramente formale) del partito. Una parte dei compagni critici si è resa perfettamente conto della pericolosità di un tale impasse. Del resto, la precedente votazione aveva sancito una larga maggioranza di favorevoli alla partecipazione alla lista Potere al popolo, pur se di poco inferiore al 70%+1. Si è quindi deciso di “prendere atto” di tale maggioranza reale con un voto, addivenendo ad una sorta di patto di responsabilità che scongiurasse l’esito più nefasto: la paralisi del partito. Non tutti i compagni critici hanno però ragionato così. Una parte di essi ha deciso di perseverare in un’interpretazione intransigente (ancorchè lecita) dell’art.13, proseguendo una battaglia politica destinata a non ottenere alcun concreto successo ma solo la sconfitta di tutti i contendenti (e lo sfascio del partito). Non si è tenuto minimamente conto della sopra ricordata palese ambiguità di tale norma, né del fatto che in precedenza i Cc hanno deliberato e deciso senza mai applicarla (dovremmo allora dichiarare nulli tutti i Cc sin qui svolti? A tanto arriva la mancanza di buon senso?). Si è detto che si sarebbe dovuto votare anche la proposta di presentazione della lista del Pci col suo simbolo. Certo, tutto si può fare, ma a che pro? Ma davvero si ritiene che una tale votazione avrebbe potuto far superare a tale proposta la soglia del 70%+1 (essendosi il Cc peraltro già pronunciato a larga maggioranza per la lista Potere al popolo)? Davvero non riesco a capire dove si voleva/si vuole andare a parare. Nel clima di sospetto impropriamente alimentato, può valer poco dire che personalmente ero disposto ad accettare la decisione assunta dal Cc e dal partito. Ma è così. Se avesse prevalso in un modo o nell’altro la posizione di andare in solitaria, avrei continuato a non esser d’accordo e a pensare che, nelle condizioni date, si tratta di una scelta per noi dannosa. Ma avrei comunque accettato il responso, disponendomi ad un lavoro politico di ricostruzione che non finisce con queste elezioni ma è destinato a durare ancora per molto.

One Comment

  1. maurizio aversa

    Non partecipo ai lavori del Comitato Centrale, ma, ovviamente li seguo con le informazioni che ricevo dai compagni e dalle compagne. Senza questa esposizione di Bruno Steri – che condivido in ogni singolo aspetto – ero giunto alle stesse conclusioni e valutazioni. Anche sulla prima parte degli accorgimenti internettiani con ricaduta politica mi ero posto le stesse domande. E, in verità, come ho già accennato al mio segretario regionale, ho redatto una bozza regolamentare, che, vista la contingenza degli impegni elettorali per ora è nel cassetto. Aggiungerei solo una considerazione rafforzativa: dobbiamo ricordare a noi stessi, che l’assemblea costituente di Bologna, a tutti gli effetti è costituente, quindi il Congresso che andremo a celebrare non sarà il secondo congresso del PCI, ma il primo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *