Pubblichiamo questa importante riflessione su temi monetari ed economici sviluppata dai compagni del PC della Svizzera, con il quale il PCI ha costruito nel tempo forti rapporti politici e di collaborazione (Fosco Giannini, Segreteria nazionale PCI, responsabile Esteri)
di Alessandro Lucchini e Massimiliano Ay, membri della Direzione del Partito Comunista (Svizzera)
Memore anche degli insegnamenti del compianto economista Gianfranco Bellini, autore del libro “La bolla del dollaro” (Roma, 2013) nonché nostro caro amico e compagno, il Partito Comunista (Svizzera) da anni ritiene che, chi si pone in un’ottica anti-imperialista e di trasformazione socialista del mondo, dovrebbe tornare a rimettere al centro delle proprie analisi il ruolo che gioca la creazione, l’accumulazione e la gestione del capitale fittizio su scala internazionale e, connesso a ciò, restituire dignità alle ricerca sulla valuta, che invece troppi marxisti oggi semplicemente snobbano.
Già nell’ambito delle tesi politiche per il nostro 22° Congresso del novembre 2013 definivamo la crisi economica occidentale, prevalentemente, come una crisi di sovrapproduzione di capitale fittizio e, conseguentemente, una crisi del ruolo degli USA nell’economia internazionale, in particolare a livello monetario, col progressivo venir meno del dollaro quale valuta di riferimento. La valuta, insomma, è un elemento centrale della fase storica attuale di declino del sistema atlantico, ma che a sinistra, il rozzo anti-capitalismo degli uni e il dogma keynesiano degli altri, non ha compreso.
Nelle sue tesi politiche per il 23° Congresso di Lugano del novembre 2016, il Partito Comunista faceva un passo oltre e scriveva: “oggigiorno – specialmente in Occidente – viviamo la sempre maggiore diffusione di un sistema alternativo di creazione e gestione valutaria decentralizzata: quello delle cosiddette ‘criptovalute’. Sebbene esse, in Occidente, possano giocare un ruolo potenzialmente positivo diminuendo tendenzialmente il ruolo egemonico delle banche centrali e delle banche private nella creazione di moneta, e riducendo la intermediazioni degli istituti finanziari nei processi monetari, esse portano con sé il pericolo della loro reale gestione, la quale è di difficile decifrazione, e la cui indipendenza è poco difendibile dagli interessi dei grandi istituti finanziari che stanno infatti già oggi investendo molto per controllarne la diffusione e disporre così di un ulteriore strumento – per di più “sregolato” – al fine di incrementare il capitale fittizio nell’economia. Inoltre, esse sono sicuramente da vedere negativamente se utilizzate nei paesi socialisti come fonte destabilizzatrice del controllo democratico del sistema finanziario e del commercio estero”. Nell’attuale movimento comunista internazionale pochissimi si erano interrogati su questo tema. Per noi era invece centrale per rinnovare la prassi anti-imperialista e interazionalista del socialismo scientifico.
Il Partito Comunista se da un lato riconosceva gli effetti interessanti per uscire dal controllo dei grandi colossi bancari, vedeva però con timore questo nuovo mezzo finanziario digitale per i paesi socialisti in particolare, ma anche in generale per i paesi non subalterni ai diktat dei centri imperialisti occidentali. Ed effettivamente la Russia, uno dei paesi emergenti dei BRICS, aveva pesantemente represso le criptovalute bloccando l’accesso ai siti di scambio. In una direzione simile si era mossa anche la Cina.
La discussione al nostro interno però era continuata su un altro interrogativo, più pragmatico: non conviene (e se sì fino a che punto?) piuttosto di bloccare amministrativamente e penalmente questa tecnologia, tentare di sfruttarla per uscire dal dominio finanziario dell’imperialismo statunitense? Consci che la presunta indipendenza delle criptovalute non sarebbe potuta durare, al di là delle utopie di qualche libertario, ci chiedevamo se strategicamente non sarebbe stato opportuno costruire un intervento massiccio in questo settore da parte dei governi non allineati ai diktat atlantici e dei partiti anti-imperialisti, patriottici e rivolti al socialismo? In tal senso abbiamo dato mandato ad alcuni nostri compagni di seguire varie realtà al di là del famoso Bitcoin: dal dubbioso Coinspace, al promettente Ripple a forme di criptomonete locali.
In questi giorni ecco la “svolta” che dimostra che il Partito Comunista aveva previsto certe dinamiche e che la sua linea politica risulta ben incastonata nella direttrice di sviluppo del mulipolarismo. Leggiamo infatti sui media notizie come queste: “il Financial Times ha riferito ieri che il Cremlino stava lavorando sulla propria criptovaluta per aggirare le sanzioni occidentali. Mentre le istituzioni statali si affrettano ad abbracciare la tecnologia blockchain, Vladimir Putin ha incaricato una squadra di iniziare a lavorare sul cripto-rublo”. Dalla Russia eurasiatica passiamo al Venezuela bolivariano e leggiamo: “Nicolas Maduro punta dritto sulle criptovalute per aggirare la «tirannia del dollaro» e lancia sul mercato 100 milioni di ‘Petro’, una nuova moneta virtuale garantita dal greggio”. Insomma qualcosa si è mosso e bisogna sostenere tutte le forme di lotta per indebolire la dittatura finanziaria mondialista imposto dalla Casa Bianca.
Come Partito Comunista ora prenderemo contatto con le autorità diplomatiche, governative, accademiche e partitiche dei paesi emergenti e che operano nell’ottica geopolitica del multipolarismo, per segnalare la nostra disponibilità, come comunisti svizzeri, a collaborare in questo genere di ricerche.
Il Partito Comunista è preoccupato da quanti si scordano dell’economia reale e che, magari, si illudono pure su “miracolose” opportunità di Bitcoin e simili. Nemmeno lodiamo a prescindere l’iniziativa russa o venezuelana: prendiamo semplicemente atto con interesse che questi governi e i loro partiti di riferimento non stanno dormendo di fronte alle nuove tecnologie e che cercheranno di utilizzare tatticamente uno strumento, certo ricco d’insidie come le valute digitali, in chiave però strategica per la de-dolarizzazione del mondo, che riteniamo essere quanto di più rivoluzionario oggi si possa immaginare.