Con la lotta per la dignità di un’umanità offesa

di Patrizio Andreoli, Segreteria Nazionale e Responsabile Politiche dell’Organizzazione

 

“Divieto di dimora” come ai mafiosi e ai delinquenti recidivi. “Divieto di dimora” come quello comminato negli anni venti e trenta agli antifascisti allontanati dalla propria casa perché ritenuti soggetti “pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica”. Non spetta a noi osservare contestazioni di ordine giudiziario. Che il lavoro della Procura sia rapido e limpido. Spetta a noi -eccome!-  esprimere invece un giudizio sui tempi, un giudizio politico circa quanto sta accadendo. Non serve la santificazione del Sindaco di Riace (che peraltro, Domenico Lucano mai ha chiesto o sollecitato). Serve stare ai fatti. Nell’Italia prossima ai cinque milioni di cittadini che (soprav-)vivono sotto la soglia assoluta di povertà (fonti Istat), nell’Italia dei furbetti e degli evasori, dei prepotenti sempre premiati e dei potenti e ricchi intoccabili a partire dall’assenza nelle intenzioni del Governo di approvare una qualsivoglia patrimoniale (a proposito delle scelte del M5Stelle e della Lega che ogni giorno si autocelebrano artefici di mutamenti rivoluzionari); nell’Italia delle elemosine e delle mance, dell’indifferenza e del “me ne frego”, nell’Italia dei morti di fame (quelli veri), degli esodati, della dignità e del pudore dei pensionati poveri, delle morti in solitudine, del dolore e del crescente disagio sociale, delle borgate segnate da un imbarbarimento sociale cupo che frequentemente assume il volto inquietante del neofascismo, nell’Italia dei morti ammazzati sul lavoro (due al giorno), di quelli caduti sotto i colpi del silenzio, dell’usura e della mafia, dei morti in mare (non esseri umani, ma men che pesci senza nome), dei disperati di colore presi a calci dai (kapò)caporali nei campi in cui la nostra agricoltura passa direttamente dal nero dello sfruttamento alla patinata retorica “formato famiglia” delle pubblicità televisive, nell’Italia che si pretende “dimentica” dei prezzi pagati per l’emancipazione dei deboli e la conquista dei diritti civili e di quelli del lavoro; in tutto questo -dicevamo-  accade che un Sindaco ed intorno a lui una comunità, senza attendere editti e sovvenzioni, prediche e denari destinati alle clientele della filiera dell’infinito sfruttamento dei disederati, costruisca rapporti solidali capaci di tradursi in accoglienza, in integrazione pacifica, in convivenza fatta di pane e rispetto per tutti e tra tutti. Non un’enclave paradisiaca ed egualitaria, ma un tentativo faticoso (e per questo pericoloso) di non resa ai peggiori luoghi comuni sull’immigrazione, ai pregiudizi, alla retorica buonista incapace di tradursi in scelte e fatti, al saccheggio dell’altrui e della propria coscienza, alle brutture dei tempi, all’alzata di spalle di chi lascia che tutto avvenga senza più indignarsi e tra questi ai peggiori, ai servi del presente, a coloro che inveiscono e maledicono ma -morti nell’anima- volgono lo sguardo dall’altra parte.

Si è colpita Riace perché a suo modo capace di dimostrare che un’altra via c’era e c’è, perché a suo modo rivelatasi in grado di dare risposte e per ciò stesso in sé disvelante senza appello, la cattiva coscienza di una borghesia egoista ed involgarita, di un popolo deprivato di strumenti critici tanto da tornare ad essere genericamente gente; tutti presi da commozione dinanzi alla narrazione nei talk show del pomeriggio di questo o quel singolo dramma familiare, o dinanzi al destino ingrato di questo o quell’animale domestico (ancor più commovente se cucciolo), ma disturbati dalla povertà e disperazione dei tanti e delle tante che bussano, chiedono ascolto, reclamano solidarietà e non pietà od elemosina. Aver colpito il Sindaco Lucano è il segnale “debole” ed insieme feroce, di un sistema e quadro politico che proclamandosi postideologico, conferma invece dietro un esile velo la propria natura e le proprie pulsioni populistico fasciste. L’esempio di Riace andava fermato. Andava disgregato e se possibile cancellato, non di meno di quanto i romani fecero con Cartagine sulle cui fondamenta vollero cospargere sale. Nel merito di quell’esperienza non poco avremmo voluto dire e dovremo dire, capire e valutare come comunisti. Ma mai nessuna riserva può e potrà esservi sul valore dell’esempio -immenso- dei poveri che non allungando la mano in attesa di briciole di futuro, hanno tentato di alzarla a pugno chiuso facendosi carico come potevano del proprio destino.

Intanto il Ministro degli Interni Matteo Salvini afferma gonfiando il petto come “se un giudice dice che non può mettere piede nel proprio paese, evidentemente Lucano non è un eroe dei tempi moderni…”. E’ come se nel 1938 dopo l’approvazione delle leggi razziali (di cui quest’anno cade l’ottantesimo anniversario) qualcuno avesse detto di un capofamiglia ebreo cacciato dal proprio impiego pubblico “che se alla fine è stato espulso dal lavoro, qualcosa pure avrà fatto e non è certo un eroe!…”. Al momento, non conosciamo pienamente la consistenza e il fondamento giuridico circa inciampi attinenti all’azione del Sindaco nell’esercizio delle proprie funzioni. Sappiamo però per certo che egli è stato colpito per una sorta di eccesso di fratellanza ed uguaglianza. Dalla Rivoluzione Francese in poi, della libertà sappiamo anche troppo quale uso (ed abuso) la borghesia ed il moderno capitalismo hanno saputo fare… Della fraternità ed uguaglianza siamo convinti che sia rimasto molto da dire ed inventare nella storia degli uomini. Anche per questo restiamo testardamente comunisti. Qualunque piega assumano i fatti, Riace resta un forte esempio di resistenza alla selezione e repressione di classe messa in atto dalle forze dominanti più egoiste e retrive di cui l’attuale Governo è in quota parte espressione e strumento. Non un fortino rivoluzionario, ma certamente un laboratorio -per più d’uno intollerabile- di autodifesa dei deboli. Tanto è bastato. Domenico Lucano è stato costretto ad abbandonare la propria casa, il proprio borgo, le proprie quotidiane conoscenze. Un allontanamento politicamente infame che racconta tutto il peso violento dell’accanimento scaricatosi sulla vicenda. I comunisti stanno dalla parte del “delinquente” che ha offerto un pezzo di pane, aperto una porta, allungato una mano a chi non aveva nulla. La vera vergogna è la legge Bossi-Fini di cui nessuna “anima bella”, nessun’anima “democratica” ad oggi reclama davvero l’abolizione. Lo fa e continuerà a fare il Pci. Laddove la dignità umana è offesa, sempre lì saranno i comunisti pronti a tessere le ragioni della battaglia politica, della rivolta contro l’ingiustizia, della lotta per l’emancipazione. Contro i poveri che si organizzano e sperimentano, e tentano di tracciare nuove strade, mille e mille sono venuti e ancora verranno pronti a spegnere con la forza ed ogni artificio ideologico lo sforzo più generoso. In verità, non si tratta di eroi, ma di uomini e donne che a schiena dritta tentano di resistere e non arrendersi. Che poi nei tempi dati, resistere risulti in sé già eroico, è fatto su cui merita riflettere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *