Verso il 25 aprile: “Italiani brava gente”

I soldati italiani nella campagna di Russia e la Resistenza dei popoli sovietici

di Laura Baldelli

“Italiani brava gente” di Giuseppe De Santis è un film del 1965, una coproduzione con l’Unione Sovietica, opera dimenticata fino alla scorsa Mostra del Cinema di Roma, quando è stato presentato restaurato dalla Genoma film e dalla Cineteca Nazionale, che ha recuperato anche le parti censurate in Italia, ben 18 scene, all’epoca giudicate diffamatorie delle forze armate. Il montaggio del film fu curato dal grande Serandrei e da Klavdiya Moskvina e la colonna sonora è del maestro Armando Trovajoli.

De Santis pensava che attraverso il cinema si può narrare la storia di un paese e il film racconta con stile post neorealista, della scellerata campagna di Russia, in cui morirono inutilmente migliaia di Italiani, mandati a combattere a -39 gradi senza adeguato equipaggiamento, ma non è un film di guerra, ma un film sulla guerra.

Siamo nel ‘41, la scena più ricordata è quella del canto dell’Internazionale  dei prigionieri civili sovietici, dove uomini, donne e bambini con orgoglio, fierezza, dignità e coraggio intonano l’inno che accomuna tutti i comunisti nel mondo. Questa scena epico-spettacolare è nella tradizione del cinema sovietico che racconta la seconda guerra mondiale come “grande guerra patriottica”, di cui invece l’occidente dimentica i 20 milioni di morti sovietici e la determinante azione militare dell’URSS.  E’ sempre in questa memorabile scena che negli sguardi dei soldati italiani, oltre lo stupore per quella gente già resistente, prigioniera ma non doma, si legge la fratellanza tra contadini, la sorpresa per quel popolo che non si piega all’attacco dei Nazisti e dei loro alleati. L’URSS fu un crogiolo di popoli e lingue che realizzarono un miracolo economico grazie al Socialismo, superando differenze etniche, religiose, accomunati dalla solidarietà per un bene comune, lavoratori per il proprio paese e non più servi della gleba del padrone. L’occidente ha da sempre occultato quel miracolo economico-sociale, dove le donne avevano pari dignità e opportunità, dallo studio al lavoro, perché quel modello di società del socialismo reale, minava le democrazie liberali assoggettate al liberismo economico.

Il film fu girato nei luoghi della campagna di Russia sul fronte dei fiumi Don e Bug, in Bessarabia, a Odessa, a Dniepropetrovsk, la struttura della narrazione ha un impianto letterario, ispirato dall’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, perché il registra scrivendo la sceneggiatura assieme a Sergeij Smirnov, Ennio De Concini, Augusto Frassinetti, Giandomenico Giagni, ha tenuto conto delle lettere dei soldati italiani morti ed ha dato voce a quei morti. Infatti i protagonisti del reggimento italiano, prima ancora di essere Italiani, erano Pugliesi, Emiliani, Siciliani, Romani, Napoletani che le guerre facevano incontrare. Operai e contadini che nel film dicono: “un campo di grano è un campo di grano in ogni paese”, oppure: “oggi la Russia mi pareva la piana di Cerignola”, come scrive alla famiglia il soldato Sanna, interpretato da un giovanissimo Riccardo Cucciolla. Queste frasi mettono in evidenza l’internazionalismo operaio e contadino, che fa da filo conduttore al film, che diventa un racconto corale, dove si realizzano i temi cari a De Santis della solidarietà e della fratellanza, che si fanno strada  nel racconto tra soldati italiani e civili sovietici contro i nazisti. Gli Italiani non sono ancora resistenti, ma il massacro della campagna di Russia farà ricredere tanti sul consenso al Fascismo.

Spiccano alcuni personaggi come quello di Libero Gabrielli, un idraulico romano, interpretato da Raffaele Pisu, unico attore ancora vivo, partigiano combattente e deportato in Germania; lui attore comico fu scelto per un ruolo drammatico, proprio come Aldo Fabrizi in “Roma città aperta”, perché “chi sa far ridere, sa far anche piangere”; in occasione del restauro del film è stato ricevuto del Presidente della Repubblica. C’è anche un incredibile Peter Falk che interpreta un “gagà” napoletano, un dottore che morirà per ironia della sorte come spesso accade in guerra. Ma il personaggio più abietto è il maggiore Ferri, del corpo fascista, imboscato con una falsa invalidità, vile e codardo, forte con i deboli e debole con i forti che verrà ucciso dagli stessi soldati italiani.

La scena finale è nella tormenta di neve dove troverà la morte Libero, a ricordo del sacrificio di tanti Italiani, morti inutilmente per colpa del Fascismo e di tutti quelli che lo hanno sostenuto e anche di quelli che hanno lasciato fare.

Odio gli indifferenti.

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