Il sussulto che non basta

Un neofascismo diffuso tende oggi a riscrivere i valori e la storia, e a sdrucire violentemente la memoria e coscienza collettiva. Si risponda colpo su colpo con una  mobilitazione viva, permanente, ed una stagione di nuovo antifascismo militante.

di Patrizio Andreoli, Segreteria nazionale Pci – Dipartimento Politiche dell’Organizzazione

La casa editrice Altaforte vicina all’organizzazione neofascista “Casapound”, è stata esclusa dalla 32° edizione del Salone del Libro di Torino. Un sussulto democratico ed antifascista di cui vi era bisogno. Un sussulto, una decisione necessaria sul piano di merito e di principio anche a fronte delle posizioni del suo fondatore Francesco Polacchi salito agli onori della cronaca per aver pubblicato un libro-intervista dedicato al Ministro Salvini e con questo immortalatosi ad una cena in cordiale atteggiamento; nonché denunciato per apologia di fascismo dopo aver rilasciato a radio, agenzie e giornali dichiarazioni quali “io sono fascista”, “l’antifascismo è il vero male di questo Paese”, “Mussolini è il migliore statista italiano”. La decisione è stata assunta dopo pressioni e proteste di intellettuali e scrittori pronti a disertare il Salone, sino a quella “tutta politica” (era ora!) del Presidente della Regione Piemonte e del Sindaco di Torino. Decisiva la posizione di Halina Birenbaum, sopravvissuta ad Auschwitz, scrittrice, traduttrice e poetessa, nata a Varsavia, oggi residente in Israele. Novanta anni compiuti, sulla presenza di tale casa editrice non ha avuto dubbi fin dall’inizio: “O noi, o loro.” In un video inviato dove ringraziava gli organizzatori per tale presa di posizione, ha detto: “dopo aver sopravvissuto ad Auschwitz, questa è un’altra prova -per me – che il male non vincerà. Che questo esempio arrivi forte all’Italia, all’Europa e al mondo”. Sì. Vi è un grande bisogno che arrivi molto forte dando impulso ad una nuova stagione antifascista. E’ necessario ribattere colpo su colpo, offesa su offesa portata alla memoria, alla storia, alla coscienza democratica. E soprattutto, è urgente. Il punto tragico da registrare, infatti, il nodo che va denunciato con forza è che si sta ormai cercando di sdoganare il fascismo nel suo insieme quale corpo unico ed esperienza (ideologia e fatti… e quali fatti!) che hanno segnato la storia italiana. Un’operazione oggi disvelatasi con forza, a lungo coltivata e volutamente sottovalutata, che rimanda a pesanti responsabilità presenti e lontane. Un’operazione direttamente tesa a riscrivere i valori e la storia, e a sdrucire violentemente la memoria collettiva. E’ capitato così che alle posizioni della destra fascista e squadrista, della destra culturale e della destra sociale di sempre (quella, per capirci, che sin dal 1948 ha iniziato a picconare la Costituzione ed il patrimonio morale ed ideale della Resistenza); accanto all’azione di un fronte che mai in questi anni nulla ha ceduto in termini di fermezza e coerenza (tra cui per primi i comunisti), si sia contrapposta l’inattesa debolezza di una parte del mondo democratico e di una sinistra moderata sempre più sbiadita ed immemore delle proprie radici e passioni, tiepida nella protesta, inerte sul terreno della battaglia e della risposta culturale. Il formalismo liberale ha fatto premio sulla sostanza del patrimonio antifascista e sulla diga di principio da mantenere. Il dire “in fondo siamo in un Paese libero dove tutti è giusto che si esprimano, compresi i fascisti”, è divenuto l’equivoco e la trappola attraverso cui è passata un’azione di pesante smantellamento della storia resistenziale e dei necessari distinguo di fondo. Dai “salotti buoni” ad una pubblicistica politcally correct, alla vergogna di una sinistra sempre meno tale che ha negato pezzo dopo pezzo parte significativa della propria storia, si è lasciato “fare”e “dire” di tutto, tutto giustificando, tutto relativizzando e depotenziando: valori di riferimento, responsabilità politiche, ricostruzioni di ragioni e verità storiche. E la storia stessa, a poco a poco si è piegata ai colpi, alle distorsioni e persino alle infamie di un revisionismo interessato e volgare, ma non per questo meno efficace. In questo nuovo clima: la Resistenza? E’ stata non lotta di liberazione nazionale ma guerra civile scritta da una sola parte. Partigiani e repubblichini? Tutti avevano le loro buone ragioni? Gli antifascisti? Tutti comunisti in malafede. Il XXV Aprile? Data da dimenticare in cui l’Italia ha perduto il proprio onore (il riferimento è al tradimento della parola data all’alleato nazista!). La stessa idea di Patria è stata abbandonata alla retorica sovranista e nazionalista, spoliata della dignità ed impronta nuova che la stagione resistenziale, la partecipazione popolare alla battaglia antifascista e antinazista le avevano dato con la stagione repubblicana.  Ecco che sul piano inclinato e opaco determinato dal venir meno di una coscienza critica diffusa, la banalità del nuovo fascismo tra un saluto romano, un attacco forsennato alla Costituzione (venuto irresponsabilmente non solo da destra), una bastonatura squadrista, una svastica disegnata sui cippi partigiani o sulle lapidi della deportazione, un “me ne frego” detto spavaldamente in classe dinanzi al proprio insegnante, una bustina di zucchero con l’effigie del duce servita col caffè accanto a quella di Ghe Guevara, il richiamo alla terra e al sangue quale tratto distintivo e ossessivo accompagnato ovunque dal leghista “prima di tutto gli italiani”…; ha costruito una vulgata semplificata che ha ridotto la lotta di Liberazione, ovvero la più densa stagione politica e civile della nostra storia nazionale, a scaramuccia fratricida e luogo della polemica divisiva. Si è partiti lontano reclamando la pacificazione nazionale (intervento del Presidente della Camera Luciano Violante, 1996) come se quella pacificazione non fosse stata esattamente portata in dote dalla lotta partigiana, fino al tentativo di considerare alla stessa stregua massacrati e massacratori, squadristi e partigiani, torturatori e staffette partigiane cadute per la libertà No. I morti non erano e non sono tutti uguali. Per noi, massacrati e massacratori, patrioti e servi dell’occupante nazista non potranno mai essere sullo stesso piano. Non potranno mai esserlo dinanzi al giudizio della storia, non potranno mai esserlo perché diversi erano gli ideali e i principi per cui si sono battuti e sono caduti. Non potranno mai esserlo gli aguzzini e i deportati nei campi di sterminio, i resistenti e i carnefici di Stazzema, di Marzabotto, di Boves e di tanti e tanti altri luoghi dove col sangue dei civili, dei patrioti e partigiani caduti si è forgiata la coscienza e dignità dell’Italia nova. Oggi abbiamo bisogno di un antifascismo vivo quale azione permanente in grado di permeare linguaggio, costume, simboli di riferimento che penetrano nella società segnando l’immaginario e i riferimenti collettivi. L’antifascismo non può essere una ridotta in difesa di un pur glorioso patrimonio storico e morale. Sia invece semina attiva, battaglia viva sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nel mondo del volontariato. Sia, impegno che si rinnova fecondamente contro le tante nefandezze a cui assistiamo. Sia insomma, come diciamo noi comunisti, antifascismo militante. Sì. C’è bisogno di un’Italia antifascista che torna a mobilitarsi anche con durezza e sacrificio se necessario, che torna ad alzare la voce, che torna a fissare con forza i confini tra l’abisso fascista e la speranza. La reazione d’insieme a cui assistiamo è ancora debole. Va detto e bisogna averne consapevolezza. Eppure buona parte del nostro presente -qui ed ora- e  dei caratteri del nostro futuro, passano da lì. Per questo serve molto più di un sussulto.

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