L’europeismo di Limes, che fa rima con anticomunismo

Ldi Dipartimento Esteri PCI

Sfogliando l’ultimo numero di Limes – prestigiosa rivista italiana di geopolitica – non abbiamo potuto che trarre questa conclusione: alla crociata anticomunista, che ha negli anni assoldato il grosso della stampa e dell’informazione, si è aggiunto un nuovo soldato. Limes, appunto.

Nell’editoriale di apertura dell’ultimo numero, abbiamo – sbalorditi – dovuto leggere:

“Se i sovietici non avessero imposto il loro regime ai paesi conquistati dall’Armata Rossa per impedire che dal cuore del continente ripartisse prima o poi l’attacco alla Russia, i soldati a stelle e strisce sarebbero tornati a casa nel giro di pochi anni, come alla fine della guerra pretendevano opinione e Congresso americano. Magari limitandosi a incardinarvi, come già accennato nell’intervallo (1919-1939) fra i due tempi del suicidio europeo, gli avamposti di Wall Street e dello strabordante dominio economico e tecnologico marchiato Usa. Piano Marshall (1947) sì, Nato (1949) no.
Tre fattori convinsero gli americani a restare in Europa per organizzarvi l’Antieuropa: l’arroccamento dell’Urss nella Berlino divisa (carta 1) e la compressione rapida dei paesi dell’Est nel suo impero; la constatazione che gli alleati inglesi e francesi non erano in grado da soli di reggere l’urto dell’Unione Sovietica e delle sue quinte colonne in Europa occidentale (partiti comunisti e associati); il timore che la Germania potesse ricomporsi sotto tutela russo-sovietica, finendo nell’orbita di Mosca.”
(L’Europa non è europea, Limes 4/2019, p. 10)

Per cui, leggendo, sembra (tra le altre cose) che:
– L’Armata Rossa non ha liberato i paesi invasi ed occupati dall’esercito di Hitler (con relativi campi di lavoro e concentramento, i cui cancelli sono stati abbattuti ed i detenuti liberati dai sovietici), ma ha “conquistato” territori europei. Da liberatore viene presentata come occupante.
Gli americani, invece, non avrebbero proprio voluto restare in Europa, limitandosi a mantenere un’egemonia economica e tecnologica. Tuttavia, nonostante la fine dell’URSS la fitta rete di basi militari in Europa (e nel mondo) è stata rafforzata.
– I sovietici non sono stati gli unici a spingersi nel cuore del Reich tedesco per sconfiggerlo militarmente a casa sua, al prezzo umano di oltre 20 milioni di deceduti e ponendo così definitivamente fine alla minaccia che il nazismo rappresentava per il mondo intero. Nè la vittoria di Berlino viene presentata come la pagina conclusiva ed epica di tale battaglia. No, ci viene spiegato che i sovietici a Berlino si erano “arroccati”, costringendo anche gli altri a rimanere.
– Inoltre a coloro che in occidente si rifacevano alle idee comuniste e che sono stati il motore dell’organizzazione partigiana e della resistenza all’occupazione o alle dittature guerrafondaie al potere in Italia e Germania, viene invece riservato l’epiteto di “quinta colonna dell’URSS”. Lo stesso usato da Mussolini contro socialisti e comunisti prima e contro i partigiani poi.

Non c’è bisogno di fornire altri esempi: il quadro che si presenta ai nostri occhi è abbastanza chiaro. Del resto ci rifiutiamo anche solo di pensare che chi abbia scritto l’editoriale o chi ne abbia rivisto le bozze, non abbia confidenza con i manuali di storia.

Questa disinformazione scientifica sul piano storico è ricercata, voluta e studiata. E quest’anima fortemente anticomunista ed indifferente ai diritti dei lavoratori, dei popoli e della democrazia è proprio la cifra costituente dell’Unione Europea, a cui il numero di Limes è dedicato. Difendendo la natura vera dell’Ue ecco che i vecchi armamentari della propaganda anticomunista vengono fuori, in maniera netta.


Ed ancora una volta, la battaglia per il progresso e la democrazia nel continente europeo deve essere condotta contro e fuori l’Unione Europea, ossia la gabbia che ha rotto le ossa alla resistenza operaia in tutta Europa e tolto terreno ai comunisti ed alla sinistra di svolgere un ruolo progressivo.

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