di Manlio Dinucci, su il manifesto del 11 giugno 2019
I riflettori mediatici si sono focalizzati il 5 giugno sul presidente Trump e i leader europei della Nato che, nell’anniversario del D-Day, autocelebravano a Portmouth «la pace, libertà e democrazia assicurate in Europa» impegnandosi a «difenderle in qualsiasi momento siano minacciate». Chiaro il riferimento alla Russia.
I grandi media hanno invece ignorato o relegato in secondo piano, a volte con toni sarcastici, l’incontro svoltosi lo stesso giorno a Mosca tra i presidenti di Russia e Cina. Vladimir Putin e Xi Jinping, quasi al trentesimo incontro in sei anni, hanno presentato non concetti retorici ma una serie di fatti.
L’interscambio tra i due paesi, che ha superato l’anno scorso i 100 miliardi di dollari, viene accresciuto da circa 30 nuovi progetti cinesi di investimento in Russia, in particolare nel settore energetico, per un totale di 22 miliardi.
La Russia è divenuta il maggiore esportatore di petrolio in Cina e si prepara a divenirlo anche per il gas naturale: a dicembre entrerà in funzione il grande gasdotto orientale, cui se ne aggiungerà un altro dalla Siberia, più due grossi impianti per l’esportazione di gas naturale liquefatto.
Il piano Usa di isolare la Russia con le sanzioni, attuate anche dalla Ue, e con il taglio delle esportazioni energetiche russe in Europa, viene in tal modo vanificato.
La cooperazione russo-cinese non si limita al settore energetico. Sono stati varati progetti congiunti in campo aerospaziale e altri settori ad alta tecnologia. Si stanno potenziando le vie di comunicazione ferroviarie, stradali, fluviali e marittime tra i due paesi. In forte aumento anche gli scambi culturali e i flussi turistici.
Una cooperazione a tutto campo, la cui visione strategica emerge da due decisioni annunciate al termine dell’incontro:
la firma di un accordo intergovernativo per espandere l’uso delle monete nazionali, il rublo e lo yuan, negli scambi commerciali e nelle transazioni finanziarie, in alternativa al dollaro ancora dominante;
l’intensificazione degli sforzi per integrare la Nuova Via della Seta, promossa dalla Cina, e l’Unione economica eurasiatica, promossa dalla Russia, con «la visione di formare in futuro una più grande partnership eurasiatica».
Che tale visione non sia semplicemente economica lo conferma la «Dichiarazione congiunta sul rafforzamento della stabilità strategica globale» firmata al termine dell’incontro. Russia e Cina hanno «posizioni identiche o molto vicine», di fatto contrarie a quelle Usa/Nato, riguardo a Siria, Iran, Venezuela e Corea del Nord.
Avvertono che il ritiro degli Usa dal Trattato Inf (allo scopo di schierare missili nucleari a raggio intermedio a ridosso sia della Russia che della Cina) può accelerare la corsa agli armamenti e accrescere la possibilità di un conflitto nucleare.
Denunciano la decisione Usa di non ratificare il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari e di preparare il sito per possibili test nucleari.
Dichiarano «irresponsabile» il fatto che alcuni Stati, pur aderendo al Trattato di non-proliferazione, attuino «missioni nucleari congiunte» e richiedono loro «il rientro nei territori nazionali di tutte le armi nucleari schierate fuori dai confini».
Una richiesta che riguarda direttamente l’Italia e gli altri paesi europei dove, violando il Trattato di non-proliferazione, gli Stati uniti hanno schierato armi nucleari utilizzabili anche dai paesi ospiti sotto comando Usa: le bombe nucleari B-61 che saranno sostituite dal 2020 dalle ancora più pericolose B61-12.
Di tutto questo non hanno parlato i grandi media, che il 5 giugno erano impegnati a descrivere le splendide toilettes della First Lady Melania Trump alle cerimonie del D-Day.