Resistenza alla Baia dei Porci e resistenza al Covid: la lezione di Cuba

di Luca Cangemi, Responsabile Dipartimento Scuola e Università PCI
e
Salvatore Ferraro, Responsabile Scuola e Università FGCI

Fu la forza del popolo cubano l’ossatura che permise di sconfiggere la tentata invasione alla Baia dei porci 60 anni fa. Gli invasori erano esuli cubani, scacciati da Cuba dopo la caduta del regime di Batista.

La loro composizione sociale era costituita da grandi proprietari terrieri e ricchi borghesi, da ex latifondisti ed ex industriali che, perdendo molte delle loro ricchezze, avevano scelto di riconquistarle unendosi all’esercito di “liberazione” cubana. Ciò si evince chiaramente dall’elenco dei prigionieri catturati dopo la disfatta della Baia dei Porci:

  • 135 ex militari dell’esercito di Batista, poliziotti e criminali al servizio del dittatore;
  • 165 appartenenti a varie altre categorie, in buona parte giocatori d’azzardo e avventurieri.
  • 800 appartenenti a ricche famiglie o abbienti (200 dei quali iscritti ai club privati più esclusivi
    ed aristocratici dell’isola; 77, veri e propri latifondisti);
    Le 800 famiglie precedentemente menzionate possedevano da sole:
  • 303603,76 ettari di terra espropriata
  • 9676 abitazioni;
  • 70 industrie di vario tipo;
  • 10 zuccherifici;
  • 2 banche;
  • 5 miniere.

Il controllo delle operazioni alla baia lo aveva la C.I.A, i 6 capi del fronte “rivoluzionario” – costituiti da ex-soldati batistiani – non ebbero, come affermarono due autorevoli testate statunitensi, il New York Post e la rivista Time, nemmeno voce in capitolo nel corso dell’invasione che mirava a liberare il “loro” popolo, né tantomeno, spediti in un casolare vicino ad un aeroporto sperduto in Florida prima dell’inizio dell’operazione, poterono sentenziare sui piani d’invasione e assistere o dare comunicazione di quelli.

L’implicazione diretta degli Stati Uniti è chiarissima, da quanto affermano documenti storici ed evidenziarono
già all’eopca anche diversi politici statunitensi e i prigionieri stessi di quell’avventato gesto durante l’interrogatorio. False, invece, sono da ritenere le implicazioni che videro Unione Sovietica e Cina coinvolte in questo conflitto, come Radio Swan stava propagandando.

Tant’è vero che Jose Mirò Torra, controrivoluzionario che aveva individuato le frequenze della radio di Fernandez e, di fatto, poté sentire le comunicazione che il capo dell’Ejercito Rebelde dava ai suo soldati cubani, mai udì messaggi in lingua straniera. L’Unione Sovietica e la Cina il 18 aprile comunicarono casomai a Cuba la possibilità di dare loro un eventuale appoggio difensivo, qualora ci fosse stato un attacco diretto da una forza straniera.

Tra gli invasori il fronte era largo, ma tutti confermarono a battaglia terminata che erano stati ingannati circa i piani. Erano infatti convinti che, appena sbarcati a Cuba, popolo ed esercito insorgessero contro Castro; cosa che mai avvenne. E non avvenne perché furono forti le elargizioni di ogni bene al popolo cubano sin dopo la rivoluzione: nel ’61 si andava inoltre intensificando sull’isola la campagna di alfabetizzazione, erano state effettuate la riforma agraria e quella urbana: un enorme successo, che garantì migliori condizioni materiali alla vita dei cubani.
Non fu un caso che a Caleton, quando il 339° battaglione prese contatto col nemico, bastò udire un solo colpo di cannone per porre fine all’assalto degli invasori: i controrivoluzionari chiesero ai miliziani di arrendersi; inutilmente: la risposta fu “PATRIA O MUERTE”.

A sessant’anni da quei fatti, lo stesso spirito pervade tutt’ora la popolazione cubana, e permette ad essa di fornire una solidarietà sbalorditiva al mondo intero nonostante l’embargo.
Ma noi non dimentichiamo l’intervento di 250 medici cubani per fronteggiare l’ebola in Sierra Leone, Guinea e Liberia, non dimentichiamo le cure sempre gratuite effettuate dai medici a circa 20000 bambini di Chernobyl, non dimentichiamo gli interventi dopo le catastrofi naturali in Usa e in Pakistan.

E l’aiuto che Cuba continua a fornire ai paesi più poveri – e non solo a quelli – sin dall’inizio della pandemia si inserisce proprio in questo percorso di solidarietà mai cessato. 1189 Tra medici e infermieri sono stati inviati in 40 paesi nel mondo durante l’ultimo anno, tra cui l’Italia. Questa la dimostrazione di solidarietà di un grandissimo popolo, un piccolo stato che si è dotato in pochissimo tempo di 5 vaccini, 2 in fase di sperimentazione e 3 in terza fase; e che nonostante i pochi mezzi e il blocco economico si è offerto di donarli gratuitamente a chi ne facesse richiesta. Un popolo che merita la nostra solidarietà: è per Cuba e per il diritto alla salute che oggi dobbiamo lottare!

No al bloqueo! Viva Cuba!

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