A proposito di COP26 e Nucleare

Edoardo Castellucci, Dipartimento Nazionale Ambiente e Territorio PCI

La Conferenza sul Clima, COP26, di Glasgow doveva essere il punto di partenza per l’azzeramento delle emissioni nette, accelerando il processo di fuoriuscita dal carbone e la transizione verso veicoli elettrici, riducendo la deforestazione e incoraggiando investimenti sulle rinnovabili, si è rivelato l’ennesimo parto di un topolino da parte della montagna.La Conferenza si è chiusa con un accordo per un generico impegno a ridurre l’utilizzo del carbone e a mantenere l’aumento della temperatura entro 2°C.Un passo indietro, un accordo debole e al ribasso, rispetto a quanto era stato prospettato con la Youth4Climate e la Pre-COP26 di Milano e col G20 di Roma, ed alle raccomandazioni scientifiche sul mantenimento della temperatura all’obiettivo di 1,5°C.Anche quella di Glasgow, come le precedenti, non è sfuggita alla regola che le Conferenze sul Clima, hanno sempre disatteso ed ignorato le promesse fatte, ed ogni volta hanno prevalso gli interessi di compagnie ed imprese ed oggi di Paesi che sono i maggiori consumatori di carbone come India, Cina e Stati Uniti.Questa volta avrebbe dovuto essere diverso, perché nel frattempo era stata pubblicata la prima parte del Sesto Rapporto di Valutazione (AR6) dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’ONU, che sarà completato nel 2022, che indica chiaramente, nei cinque scenari proposti, che, nei prossimi decenni, è atteso un aumento della temperatura, che con un aumento fino a 1,5°C porterà stagioni calde più lunghe e stagioni fredde più brevi, mentre con un aumento fino a 2°C si raggiungerebbero soglie di tolleranza critiche per la salute e per l’agricoltura.Si è mantenuto l’obiettivo della Conferenza di Parigi, quello di rimanere sotto la soglia di 2°C, ben sapendo che i piani climatici dei Paesi spingono verso un riscaldamento globale di 2,4°C, e si è rinviata alla Cop27 in Egitto l’adozione di una roadmap per la riduzione delle emissioni climateriali al 2030 con l’obiettivo di un taglio del 45% rispetto al 2010 per arrivare a 0 al 2050, ben sapendo che Paesi come Russia e India hanno già dichiarato che sposteranno l’obiettivo rispettivamente al 2060 e al 2070.Una Conferenza deludente, anche per le prospettive legate alla transizione per la neutralità climatica.Lo dimostra la posizione sul nucleare che torna prepotentemente sulla scena e che vede Germania, Austria, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Spagna sottoscrivere, nella conferenza stampa in ambito COP26, una dichiarazione contro l’inserimento del nucleare nella tassonomia verde UE, come vorrebbe la Francia insieme a Bulgaria, Croazia, Finlandia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.Conferenza stampa a cui l’Italia non ha partecipato e che la dice lunga su quali sono gli obiettivi rispetto all’energia dell’atomo, a cui il Ministro Cingolani dimostra il suo sostegno come lo fa per il mantenimento dell’industria del gas, considerata la risorsa più sostenibile nel medio e lungo termine, rispetto alle rinnovabili, “ritenute meno impattanti, ma che non risolvono tutti i problemi”Nonostante siano passati 34 anni dal primo referendum e 10 dal secondo, nei quali il Popolo italiano ha detto NO, il conto con il nucleare non è stato ancora archiviato e continuano ad essere presenti sul nostro territorio centri che producono e custodiscono rifiuti radioattivi come: le ex centrali nucleari (Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano); i quattro impianti del ciclo del combustibile (Saluggia, Casaccia, Rotondella, Bosco Marengo); i centri di ricerca nucleare e quelli di gestione rifiuti industriali; a cui si aggiungono i rifiuti prodotti in ambito sanitario (diagnostica e terapia).Ma la dice lunga anche sulle politiche climatiche che il Ministro della Transizione ecologica sta attuando e su cui c’è molto da lavorare come dimostra il Climate Change Performance Index (CCPI) 2022, il Rapporto sulle prestazioni climatiche di 63 paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali, che ha relegato l’Italia al 30° posto, ben quattordici posizioni perse dal 2016, a causa del rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e per i bassi risultati della politica climatica.A fronte di ciò il PCI, come sottolineato nel “Programma + Stato – Mercato” e in altre comunicazioni, ritiene sia necessaria una nuova politica Energetica e Climatica che: 1) riaffermi le ragioni del NO all’utilizzo del nucleare che “non può essere una soluzione alla crisi climatica” – come afferma il ministro dell’Ambiente tedesco – “in quanto sono tecnologie troppo rischiose, lente e non sostenibili e distoglierebbero fondi dalle energie rinnovabili”; 2) disinneschi la corsa alla Finanziarizzazione ed alla Green economy, la nuova forma di colonialismo come l’ha definita Evo Morales, che privilegiano politiche energetiche delle centrali a biomasse e/o delle centrali geotermiche, queste ultime decisamente climateriali e particolarmente dannose per l’ambiente per la quantità di emissioni in atmosfera di CO2 e metano, che a parità di energia prodotta inquinano più di una centrale a carbone; 3) favorisca una politica di nazionalizzazione, dove lo Stato assuma il ruolo primario nella gestione delle risorse energetiche.La Conferenza di Glasgow poteva essere l’occasione per superare il sistema economico imposto dal capitale e per invertire la rotta, impedendo il collasso del nostro pianeta, perché senza una trasformazione del sistema socio economico dominato dalla logica del profitto e dell’accumulazione non sarà possibile nessuna soluzione energetica e climatica.Siamo per dare alle future generazioni una nuova prospettiva di vita che non sono le soluzioni dettate dal capitale, ma è la distanza dalla politica asservita alla logica del profitto per una economia al servizio dell’uomo, della comunità, dell’ambiente, e non viceversa.

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