Di Luca Cangemi, segreteria nazionale PCI
La morte di Paolo Pietrangeli provoca in tante compagne e in tanti compagni sentimenti molto forti.
Se ne va un compagno dalle straordinarie doti umane, sempre dispiegate nella sua militanza politica e nella sua attività artistica e culturale.
E se ne va un compagno che ha profondamente segnato, con la sua musica e le sue parole, l’esperienza di generazioni intere che hanno compiuto la scelta comunista e l’hanno fatta vivere nelle lotte e nella quotidianità , nelle fasi di avanzata politica e sociale come in lunghi anni di resistenza difficile.
Dal rimpianto e dal riconoscimento così diffusi in queste ore emerge la forza e le caratteristiche di questo segno, la capacità delle canzoni di Paolo di esprimere una scelta politica che è anche una scelta di vita, il desiderio di un radicale cambiamento che diventa pratica organizzata, solidale e collettiva, un bisogno di nuovi rapporti tra le persone che trova nella militanza comunista uno strumento per perseguire un progetto ma anche una anticipazione concreta.
Certo inevitabile appare a molte e molti riflettere, in questa circostanza, sulla condizione attuale della società italiana così attraversata da fenomeni regressivi e così lontana da quella che vide la nascita delle canzoni più note di Paolo Pietrangeli, a partire dalla celebre Contessa, tanto citata in questi giorni. E inevitabile appare soffermarsi con la mente sulle lacerazioni e sulle sconfitte di quel mondo che si riconosce, oggi, in quelle canzoni.
Io credo però che pur nella tristezza del momento e nell’analisi realistica e spietata della situazione si debba sottolineare come l’emozione stessa per la scomparsa di Paolo ci parli dell’esigenza di riprendere il filo di una storia, ci parli dell’attualità bruciante delle idee e delle scelte scolpite nelle note e nelle parole di Paolo.
Oggi Contessa si muove tra i conti cifrati, cantano i Modena City Ramblers, e il figlio dell’operaio non solo diventa ancora difficilmente dottore ma quando lo diventa spesso è sfruttato più del padre e del nonno. E denunciare lo sfruttamento è più necessario e urgente degli anni Sessanta.
Ciao Paolo, canteremo ancora nelle strade e nelle piazze le tue canzoni.
Ciao indimenticabile Paolo, con Karlmarxstrassse, Mio caro padrone domani ti sparo, Igazio e tante altre sono cresciuto io ai tempi della FGCI negli anni ’70 e poi ci ho cresciuto i miei figli. Care compagne, cari compagni, educhiamo i nostri figli all’insegna della cultura della moralità , della intolleranza alle ingiustizie e della conoscenza. Conoscenza della Costituzione del 1948, delle condizioni che hanno portato alla nascita ed al crollo del nazifascismo, alla guerra fredda, ecc… In poche parole facciamo ciò che dovrebbe fare la scuola e che in malafede non rende obbligatorio. Hasta siempre ! Maurizio Bonacci (Fed. di Siena)