Tim e il suo amministratore delegato Gubitosi sono “costretti” a guardare con interesse e ad aderire all’offerta del Fondo americano poichè la società è oberata dai debiti, 36 miliardi a fronte di un valore, probabilmente sovrastimato, di 11 miliardi. Pensate se ad un artigiano, che ha un’azienda del valore di 11mila euro e debiti per 36 mila, sarebbe consentito di non fallire e sopravvivere. Tim sta in piedi perchè la Cassa Depositi e Prestiti detiene il 10% del patrimonio azionario e sta nel Consiglio di Amministrazione col compito precipuo di offrire la garanzia dello Stato italiano agli azionisti e agli investitori, altrimenti l’impresa sarebbe travolta dai mercati e andrebbe in default rimangiata dalle banche. Tim costituisce un altro dei fulgidi e scandalosi esempi (innumerevoli in Italia) di fallimento delle privatizzazioni. Alla guida del colosso pubblico della telefonia prima e della rete di tlc, adesso si è succeduta molta parte della casta (mi verrebbe detto della ghenga) di padroni e manager del firmamento industrial finanziario italiano che hanno imperversato in lungo e in largo, da Agnelli, a Tronchetti Provera, a Colaninno, a VIvendi a Gamberale e Guibitosi e altri. La Telecom prima e la Tim dopo hanno operato come campioni nazionali riconosciuti godendo praticamente di un regime monopolistico, cioè praticamente in una condizione straordinaria di favore. Nonostante questo l’incapacità, le lotte di potere e di interesse che hanno praticato padroni e manager e le vere e proprie spoliazioni ed estorsioni, praticate in nome dei loro interessi a danno dell’azienda, la hanno mantenuta e ridotta in questo stato di dissesto mascherato. Il grosso dell’indebitamento fu accumulato, dopo la prima privatizzazione concessa ad Agnelli, dalla seconda operata (in accordo col governo D’Alema, 1999, che voleva un imprenditore amico per la sinistra) da Colaninno che, come si ricorderà, comprò Telecom con in debiti di una sua azienda fantasma priva di capitali, senza alcun disturbo da parte della autorità di controllo. Da allora i “successi” del gruppo sono stati “coperti” dall’aumento della montagna di debiti di sui s’è detto.
Oggi Tim ha il ruolo di impresa chiave e strategica essendo ad essa affidata la costruzione/realizzazione della rete di tcm e dei relativi sevizi attraverso la proprietà e la gestione delle infrastrutture di rete. Ora il fatto che questo compito possa essere affidato ad un Fondo straniero dovrebbe suscitare il massimo allarme e determinare un blocco immediato. Avremo un grande fratello americano (tanto per cambiare) che, in linea teorica, ma ove lo voglia, anche pratica, sarà in grado ci controllare, conoscere, spiare, manomettere un complesso infrastrutturale regolatore della vita di noi tutti. Invece di dire subito decisamente no all’operazione, il governo dice di avere messo in piedi un supercomitato di superministri col compito di “mettere dei paletti”(?). Si consuma, in questo modo, l’ennesima presa in giro degli italiani e l’ennesima, incredibile e inammissibile violazione della sicurezza del nostro Paese e della sua Costituzione a parte i conseguenti problemi dell’occupazione e dello sviluppo aziendale. La nostra privacy e la nostra vita non possono stare nelle mani di una società americana e di nessuna impresa di borsa.
Leonardo Caponi