Sto ripensando al significato del 25 aprile. A mio padre, ai miei zii, ai miei maestri, compagni partigiani che mi raccontavano degli anni della resistenza, di quelle giornate del 1945, delle speranze di poter conquistare un futuro migliore. Così la malinconia sale. “Certo”, mi spiegavano, “nessuno ci ha regalato né ci regalerà mai niente, né i fascisti, né i tedeschi, né i padroni. I diritti che abbiamo ottenuto ce li siamo conquistati, tutti, uno a uno. Con fatica, con il sangue versato, con i nostri sacrifici. Non è stato per nulla facile ma lo abbiamo potuto fare perché non ci siamo rassegnati, perché non abbiamo accettato di essere messi in disparte. Perché siamo stati e vogliamo continuare ad essere protagonisti, non pedine di un gioco che altri conducono.”
Io ho memoria di questo. La voglio avere, ne ho bisogno. Così domani, di prima mattina, andrò a trovare uno dei miei maestri, Quirino Traforti, che aveva neppure 16 anni quando fu fucilato nel 1944 alla Piana di Valdagno e sopravvisse anche a due colpi di grazia. Quirino che lottò per i diritti dei lavoratori tutta la vita, che non si piegò di fronte alle minacce e ai tentativi di corruzione di quel Marzotto diventato conte durante il fascismo. Il compagno Quirino che fu, per questo, licenziato in tronco …
Quirino Traforti che visse sempre a testa alta, senza mai piegare la schiena e mai connon si tolse mai il cappello di fronte al padrone. Quirino Traforti che non si sentìva un eroe ma solo un uomo libero che aveva fatto quello che ha fatto perché non avrebbe potuto farne a meno. Perché non poteva accettare di perdere quella libertà e quella solidarietà di classe per le quali aveva combattuto.
Andrò al cimitero della Piana dove riposa da 11 anni per avere coscienza, per “riattivarla” davanti al suo esempio. Rafforzerò la convinzione che non bisogna mai considerarsi vinti, che restare indifferenti di fronte alle ingiustizie significa, per i comunisti, commettere un delitto, che bisogna sempre lottare per un mondo migliore, perché non ci sia più sfruttamento di nessun essere umano, perché la solidarietà ritorni ad essere un valore fondamentale della nostra esistenza, perché chi vive del proprio lavoro non debba essere costretto ad accettare condizioni precarie che mettono in discussione la sua salute, la sua vita, il rispetto per sé e per gli altri.
È partendo dall’esempio di Quirino e dei tanti combattenti per i diritti di ognuno, che si rende vivo il 25 aprile. Con la memoria del suo significato profondo, ricordando cosa è successo e chi lo ha reso possibile e, soprattutto, con lo sguardo verso un futuro che dobbiamo costruire e che possiamo rendere migliore e più giusto solo continuando a lottare.
Giorgio Langella